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LA NASCITA DI YSYACH E DELLO SCIAMANESIMO “BIANCO”

Ysyach subì un destino simile: se nel corso del XIX secolo si svolse con una certa continuità, fu soprattutto nel periodo

sovietico che le celebrazioni subirono maggiori cambiamenti.

Dalla fine degli anni ’80 del XX secolo, Ysyach viene celebrato regolarmente.

L’importanza di Ysyach come momento di aggregazione sociale è talmente rilevante che vengono organizzati molti altri

Ysyach in ogni capoluogo di distretto e persino in alcune facoltà delle università presenti sul territorio della Jacuzia.

Generalmente ogni celebrazione si apre con l’accensione del fuoco sacro, prosegue co l’offerta di Kumys alle divinità e

si conclude con la rappresentazione di qualche soggetto tratto dai poemi epici Oloncho, oppure con qualche coreografia

di danza o spettacolo musicale.

La seconda parte di Ysyach è dedicata interamente ai ritrovi tra compaesani, parenti, amici, che spesso si riuniscono per

consumare insieme abbondanti pasti o semplicemente uno spuntino.

Molti degli attori sociali che, in quello scenario post-sovietico spesso confuso presero parte attivamente al processo di

rinascita culturale e spirituale, furono spesso filosofi, linguisti, storici e naturalmente sciamani.

Di fatto Ysyach diventò una festa comune a tutto il popolo jacuto. Da quel momento in poi si intensificò anche la

ripartizione tra bianco e nero, superiore e inferiore. Il nero venne collegato all’allevamento bovino a tutto ciò che era

femminile, allo sciamano “tradizionale” che non avrebbe potuto prendere parte a Ysyach, lui che spingeva gli allevatori

a sacrificare i cavalli, mentre le nobili bestie dovevano essere donate intonse alle divinità creatrici.

Gli sciamani “bianchi” cantavano invocazioni alle divinità protettrici.

Non avevano contatti con il mondo inferiore e nero. Per questo lo sciamano, anche se gli si attribuivano tratti “neri”

rimase indispensabile in quanto era il solo ad essere realmente presente nella pratica popolare.

4- UN POTLATCH NELLA SIBERIA ORIENTALE. IL CAVALLO TRA ECONOMIA DI SUSSISTENZA E

RAPPRESENTAZIONI SIMBOLICHE.

Nel 1987 la pubblicazione de L’invenzione della Tradizione, innescò un acceso dibattito sulle implicazioni critiche del

concetto di tradizione. Secondo i due curatori, Hobsbawn e Ranger, le tradizioni inventate erano “un insieme di

pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica.

Secondo Lenclud la tradizione non è un prodotto del passato che è trasmessa passivamente agli attori sociali di oggi, ma

è un’interpretazione dello stesso che avviene in funzione di criteri contemporanei.

Linnekin rileva che “la tradizione è un modello cosciente di stili di vita passati che una collettività usa nel presente per

la costruzione della propria identità. La tradizione, essendo un prodotto storico e situazionale, è per forza di cose

inventata”.

L’autrice sostiene inoltre che le tradizioni non sono mai inventate dal nulla, ma sono costantemente re-interpretate e

arricchite di contenuti dinamici.

Quindi, se le tradizioni sono parte di un più ampio processo, nel quale sono costruite in opposizione a qualcosa,

l’attenzione va rivolta non tanto a come esse sono inventate ma perché.

Il concetto di tradizione rappresenta il punto di partenza di questo contributo, che si pone l’obbiettivo di fornire una

panoramica sul revival religioso e sulle sue implicazioni nell’attuale Jacuzia.

GLI JACUTI, L’ALLEVAMENTO E LO SCIAMANESIMO

Gli Jacuti sono allevatori di cavalli e bovini. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, coniugarono l’allevamento

con l’agricoltura.

Tutti i tentativi di adattamento al territorio jacuto di altre specie di cavalli, all’infuori di quelli jacuti, si sono rivelati

fallimentari: questo dimostra che solo i cavalli jacuti sono in grado di resistere al clima. Sono di taglia più piccola,

hanno una pelle più spessa che d’inverno si ricopre di un folto strato di pelliccia.

Durante il periodo invernale le ore di luce sono notevolmente inferiori rispetto a quelle di buio.

I cavalli jacuti e i puledri in particolare non sono in grado di sopravvivere completamente in autonomia senza gli

allevatori che durante l’anno, forniscono loro il formaggio.

Il fatto che l’allevamento bovino sia concepito come un’occupazione sedentaria e quello delle renne implichi un certo

nomadismo, dimostra quanto l’allevamento equino sia inteso non solo come un evento naturale ma anche culturale.

Il fatto di mettere in evidenza il carattere selvaggio del cavallo risponde bene sia ad un problema di economia del

lavoro, legato al fatto che il cavallo può nutrirsi da solo, sia ad una preoccupazione di ordine religioso. Mantenere il

cavallo allo stesso tempo vicino agli uomini e non lontano dagli animali selvatici, fa di lui una buona figura ausiliaria

anche per lo sciamano.

GLI JACUTI E I LORO CAVALLI DA UN PUNTO DI VISTA STORICO

L’allevamento, almeno fino al XX secolo, non rappresentava l’unica fonte economica degli Jacuti, che vivevano anche

di caccia.

Caccia e allevamento corrispondevano quindi a due modalità economiche e religiose che coesistevano nella società

jacuta.

Da un sistema all’altro cambia anche la relazione con gli spiriti e la concezione dello sciamanesimo che è ripartito in

sciamanesimo di caccia “nero” e in sciamanesimo di allevamento “bianco”.

In Jacuzia si credeva che due particolari categorie di spiriti, gli jör e gli abaahy, si cibassero di anime umane, causando

ai loro proprietari sofferenze e provocandone la morte. Per poter liberare queste persone dagli spiriti, era convocato uno

sciamano che avrebbe negoziato con loro e, come merce di scambio per la guarigione del malato avrebbe offerto un

cavallo.

Il cavallo poteva essere offerto simbolicamente agli spiriti in occasione di Ysyach.

IL RITUALE KYDAA

Un’altra occasione in cui il cavallo rappresentava un’offerta non cruenta per gli spiriti, è illustrata in una pratica

particolarmente degna di attenzione si tratta del kydaa, rituale di liberazione dei cavalli.

Le fonti forniscono una descrizione del rituale che segue la medesima sequenza: tre volte nel corso della loro vita, i

capoclan jacuti, i tojon, facevano allontanare dalle loro mandrie un numero determinato di cavalli che venivano donati

agli spiriti protettori dell’allevamento per “rimpolpare” le loro mandrie nel mondo soprannaturale.

Il compito di allontanare i cavalli dalla mandria non era svolto direttamente dal capoclan, ma da una persona che

apparteneva ad un altro clan che veniva appositamente ingaggiata e lautamente ricompensata. In una società in cui le

credenze religiose erano legate sia ad un’attività di caccia, sia di allevamento, il rituale kydaa ristabiliva relazioni

egalitarie tra gli esseri umani e gli spiriti per proteggere gli interessi in gioco in un legame di filiazione.

Il rituale kydaa è stato spesso accostato, in modo particolare da studiosi occidentali, alla pratica del potlatch, soprattutto

in due punti:

• il primo vede, conformemente agli studi condotti da Bernett e in seguito da Mair, il potlatch come una

distribuzione di beni fortemente competitiva: in ogni scambio rituale di doni, è dunque implicito un elemento

di sfida.

• Il secondo prende in considerazione il fatto che si ottiene più prestigio dalla dispersione dei propri beni che

non dalla fama del loro possesso. Sempre Mair ricorda che, sebbene l’onore e il potere non siano oggetti

materiali, la gente li considera dei veri e propri beni.

Thurnwald osserva inoltre che “il possesso del bestiame risulta sovente collegato a delle concezioni magiche perché il

bestiame ha la prerogativa di “autoaccrescersi”.

L’uso di questo particolare portatore di valore negli scambi diretti è molto ridotto, essendo limitato ad esigenze

particolari. Questo perché lo scambio di tali risorse ha una funzione più sociale che economica”.

Nel caso della Jacuzia è questo secondo punto che appare maggiormente degno di nota. È infatti attraverso il rituale

kydaa che i capoclan accrescevano il loro prestigio sociale tramite un accumulo di beni e una conseguente perdita di

questi ultimi.

È importante sottolineare che gli studiosi jacuti contemporanei lo considerano sotto un altro punto di vista: essi cercano

di iscrivere le narrazioni riguardanti il rituale nel passato storico dei loro antenati.

Il fatto che il rituale kydaa sia stato documentato per la prima volta nella letteratura etnografica proprio negli anni ’30

del secolo scorso, non è casuale: fu in effetti in quell’epoca che in Jacuzia ebbe luogo la collettivizzazione delle terre da

parte del regime sovietico, mirata in particolar modo ad annientare le ricchezze dei contadini ricchi, i kulaki.

Non va dimenticato che proprio nel periodo sopraccitato, la Jacuzia fu testimone della formazione di una classe

intellettuale propriamente jacuta che, facendo leva su questioni come l’allevamento rifletteva sulla possibilità di

invocare un’autonomia nazionale.

In seguito allo sfaldamento del regime sovietico, essi cominciarono a lavorare alacremente per la formazione di una

coscienza nazionale jacuta, che avvenne attraverso strategie ormai note di costruzione identitaria, quali il ricorso alla

memoria, di uno degli elementi più rilevanti nell’intera storia economica e sociale della Jacuzia: il cavallo.

IL REVIVAL DELLO SCIAMANESIMO, GLI SCIAMANI “BIANCHI” E LA CREAZIONE DI UN’IDENTITA’

JACUTA

Negli ultimi due decenni in particolare, il cavallo è diventato un animale buono da pensare: la sua importanza simbolica

è cresciuta proporzionalmente alla sua assenza dalla vita quotidiana.

Il ruolo utilitario del cavallo non è scomparso del tutto poiché oggi è ancora utilizzato per il latte e la carne, ma è la sua

dimensione simbolica che è stata ed è tutt’oggi posta in evidenza.

L’uso simbolico del cavallo è anche presente in diverse forme di revival degli sciamani.

Gli sciamani “bianchi” rappresenterebbero una sopravvivenza del tengrianesimo: esso si rifà all’insieme di credenze

religiose proprie di popolazioni nomadi turco-mongole dell’Asia centrale che, prima dell’avvento dell’Islam pregavano

una divinità chiamata Tengri.

Coloro che sostengono il ritorno del tengrianesimo, affermano che esso offre una visione del mondo che si adatta

perfettamente al contesto contemporaneo.

È individualista, non possiede dogmi, né clero, proprio come lo sciamanesimo.

Esso è anche carico di valenze nazionaliste poiché non si limita a proporre il “ritorno” di una religione in co

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
14 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Arianna21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Zola Lia.