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A Basilea si verificò un chiaro esempio di discussione pubblica e di democrazia diretta. Al tempo
dell’intervista trovava che i musei fossero in grave pericolo per via della privatizzazione che porta
inevitabilmente i curatori ad essere sconfitti dalle idee di circoli finanziariamente potenti. È
interessato dalla posizione dell’artista in relazione alla percezione dello spettatore a volte crea un
passaggio che lo spettatore sfrutta per arrivare all’opera, in altri casi no.
SETH SIEGELAUB (1942)
È un mercante, editore e curatore indipendente. Le sue mostre si sono concentrate sull’arte
concettuale.
“The Context of Art/The Art of context” è un progetto attraverso cui cerca di capire perché ci sia
tanto interesse per le mostre sul periodo concettuale e si domanda come nasca la storia dell’arte.
Perciò chiede a degli artisti attivi a partire dalla fine degli anni 70 di darci le loro riflessioni sul
mondo dell’arte. Il risultato delle risposte scritte e delle registrazioni sui nastri viene pubblicato su
Art Press. Gli artisti intervistati furono circa 110. Il livello delle risposte fu molto eterogeneo. Cerca
di scoprire come sia cambia il rapporto dell’artista con il mondo dell’arte rispetto alla situazione
odierna, ma deduce che solo pochi tra loro notino delle differenze significative.
Lui è stato molto influenzato dall’attività di guerrilla e dalla città di NY riporta nel suo lavoro
queste influenze cercando di evitare strutture statiche e conformiste per indirizzarsi verso spazi più
flessibili. Dopo un breve periodo alla direzione di una galleria scopre che non è il mestiere che fa
per lui dato che il ritmo di produzione è troppo alto, 8-10 mostre l’anno sono troppe, ed è
impossibile azzeccarle tutte.
Lui ritiene che una delle funzioni più importanti dei musei sia quella di uccidere le cose dando loro
autorità e distanziarle dal pubblico estrapolandole dal contesto quotidiano. Lui non ha mai avuto
molti contatti con i musei, è il problema di questi è di tipo strutturale solo un museo senza autorità
potrebbe sembrargli interessante e spontaneo. I musei mai come ora dipendono da grandi interessi e
si dovrebbe tornare a riflettere su come venivano organizzate le mostre in quegli anni.
Xerox Book: è una mostra di gruppo a forma di libro, anche chiamata il libro delle fotocopie. Lui
proponeva all’artista un ‘contenitore’ delimitato entro cui lavorare. La stretta collaborazione con
l’artista era fondamentale.
Tra una mostra organizzata da lui e quella successiva scorre parecchio tempo, inoltre egli crea una
forte continuità con gli stessi artisti, può essere considerato una sorta di curatore di famiglia
(Obrist).
Gli è stato più volte chiesto di ripetere delle mostre ma è contrario, perché gli sembra di poter
cadere nella parodia di sé.
L’Artist’s Contract era un progetto che prevedeva di valutare gli interessi intrinseci ad un’opera
d’arte per poi spostare la relazione di potere di questi interessi a quelli dell’artista. Rappresentava la
soluzione a una serie di problemi sul controllo che gli artisti hanno sulle proprie opere. Infatti il
problema dell’arte come proprietà capitalista e dell’unicità dell’oggetto era già nell’arie negli anni
60, ma non era solo un problema teorico-politico ma anche pratico, nel senso che la vendita di idee
o di progetti era qualcosa contro cui il mondo dell’arte non si sarebbe mai rivoltato. (Copyright).
Per le immagini d’arte tradizionali esistono numerose società di artisti in Europa, all’interno
dell’UNESCO, che si occupano degli interessi, ma per le immagini meno quotate e in particolar
modo dell’arte contemporanea non è uguale.
Le mostre che ha curato si muovevano da un interesse specifico per alcuni artisti verso uno più
generico per l’arte e i suoi processi. L’esposizione 18.PARIS.VI.70 curata con Michel Claura in cui
quest’ultimo fu la mente e l’organizzatore mentre Siegelaub rappresentava l’aspetto pratico
(sicurezza ecc.).
La scomparsa del curatore è illusoria e lui cerca di rendere questa figura meno celata, più aperta e
consapevole delle proprie responsabilità nel processo artistico. Si parla dei curatori come di pittori
che utilizzano gli artisti come forma di pittura. Il problema è stato proprio quello di accettare che
anche il curatore fosse un attore di quel processo e che aveva un effetto su ciò che veniva esposto.
Usavano la parola demistificazione per rendere l’idea di cosa facessero, per spiegare il rapporto
diretto con il processo espositivo dell’arte.
WERNER HOFFMANN (1928)
Non è un museologo ma uno storico dell’arte, non è un tradizionale direttore di museo. L’esperienza
iniziatica a questa carriera fu la mostra di Goethe a cui dovette partecipare e di cui curò una sezione.
Si rese conto che questo periodo era come una miniera, un conglomerato di periodi di
sperimentazione artistica. Tentò di estendere il tema fino all’arte contemporanea. Grazie ad Otto
Benesch ottenne mansioni curatoriali terminati gli studi. Gli diedero da fare il catalogo d’arte per
l’Albertina di Vienna, ma non si impegnò e venne licenziato. Molto amico di René d’Harnoncourt
colui che lo spinse a spostarsi negli USA, dato che il periodo secessionista lo aveva stancato. René
gli procurò una borsa di studio per il viaggio. Primi passi nel giornalismo e nell’arte
contemporanea.
Hoffmann propose un’idea di museo dell’arte dallo Jugendstil in poi, che non si sostituisse alla vita
ma trovasse spazio in essa.
Dopo NY si trasferì a Parigi dove decise di pubblicare un libro sul XIX secolo che non fosse
strutturato secondo la critica degli stili ma per tematiche. Dopo venne nominato direttore al
7
Museum des 20.Jahrhunderts di Vienna, che stava per essere fondato. Era l’unico giovane candidato
ad essere preso in considerazione. Come direttore fondatore si trovò molto isolato. La questione fu
quella di trasferire l’idea di museo sostenuta al MOMA nella situazione viennese. Allora, egli
tracciò la mappa di ciò che sarebbero stati i musei d’arte moderna europei. Il catalogo aveva un
formato insolito e una impaginazione molto moderna. Questo museo aveva fin dall’inizio una sua
collezione, alcune opere acquistate durante il suo soggiorno a Parigi.
Trova che sia molto più bello creare una mostra che un libro perché si ha una visione d’insieme
finale. In quel periodo era normale che tutti si prestassero le opere. Nel 1970 diventa direttore della
Kunsthalle di Amburgo non riesce più ad intrattenere un rapporto diretto con gli artisti, questa
istituzione è molto tradizionalista, frequentata da un ceto alto, aveva una storia centenaria ed era
circoscritta al genere della pittura. Elaborò delle mostre-laboratorio nella cupola mentre nello
scantinato organizzò la mostra di collezione. Era un esempio di interdisciplinarietà egli invitò un
compositore.
Warbburg rappresentava per lui uno dei personaggi più carismatici di Amburgo e dice che avrebbero
dovuto avvicinare di più Warburg alla gente. Per questo motivo organizzò una mostra su di lui e
fece assegnare a cadenza annuale il premio Warburg.
Tra gli anni 69-74 sviluppò gradualmente un ciclo di mostre Kunst um 1800. Un artista da solo non
l’ha mai interessato a lui importava la contestualizzazione.
WALTER ZANINI (1925)
Brasiliano, curatore della 6 e 7 edizione della Biennale di San Paolo. In un primo momento abita a
Parigi, poi diviene direttore del MAC di San Paolo, le condizioni erano precarie e non definitive, il
luogo era in prestito temporaneo. Il budget era mediocre e l’esecutivo troppo piccolo. Cercò di
organizzare mostre itineranti della collezione con un programma educativo. Una delle sue attività
preferite era lavorare con giovani artisti brasiliani organizzando mostre retrospettive del movimento
modernista brasiliano. Creò la mostra annuale Jovem Arte Contemporanea (JAC), nonostante il
paese stesse attraversando un lungo periodo di dittatura militare. La censura si estendeva a tutti gli
eventi culturali, le arti visive non ne soffrirono come teatro e cinema. Alcune mostre furono chiuse
altre sequestrate. Al MAC gli eventi e i programmi dedicati alla sperimentazione continuarono. Il
pubblico principale era rappresentato da studenti.
JAC 72 mostra libera dal carattere concettuale, opere site specific, non vi erano restrizioni di età,
nonostante fosse concepita per i giovani. Partecipò anche Jannis Kounellis che propose la
riproduzione non stop di VA’ PENSIERO. Un aspetto interessante fu la modalità di lavoro in corso.
L’atmosfera era laboriosa, l’istituzione era guidata dagli artisti. Fin dalla creazione gli artisti erano
anche insegnanti, si delineava come un museo universitario. Il pubblico spesso si univa agli artisti
dando loro una mano per la realizzazione di opere. La mostra nel suo insieme aveva carattere
politico, pensato come una realtà più aperta meglio integrata nella società.
Le mostre di arte postale erano esposte senza la presenza dell’artista e successive a JAC, l’arte
postale ha radici futuriste e dadaiste e prevede gli scambi di opere tra gli artisti. Parteciparono a
questa strategia di comunicazione grazie ad Internet, che gli permise di mantenere una
corrispondenza incredibile con artisti di diverse parti del mondo. Esponevano tutto il materiale
ricevuto senza limitazioni. Ciò che gli artisti producevano in campo multimediale (cartoline,
pieghevoli, telegrammi, riviste ecc.). La grande eterogeneità dei materiali veniva esposta secondo
l’ordine alfabetico degli autori. Le opere furono conservate al termine della mostra.
Biennale del 81 l’evento più concettuale in Brasile fino ad allora. Il MAC fu il primo a stabilire un
settore di video arte. La biennale di San Paolo aveva per troppo tempo delineato la propria struttura
paragonandosi a quella di Venezia, con la dittatura molti artisti avevano sabotato questa istituzione.
Non aveva fondi rilevanti, dipendeva dalle decisioni di ciascuno stato, dalla scelta degli artisti.
Quando il MAC fu alla Biennale cercarono di cambiare questo stato di cose. Spinsero gli stati ad
aderire al concetto stabilito dall’istituzione e chiamarono direttamente degli artisti. Crearono un
team di curatori.
Uno dei suoi modelli era Sandberg che immaginava un museo aperto sperimentale sempre più
vicino alla vita, in opposizione al tradizionale elitarismo. Negli anni 60 e 70 in Europa tutti i
direttori museali erano vicini agli artisti. Anche in Brasile si coinvolsero gli artisti tanto da inserirli
anc