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A Pall Mall mostre - evento senza precedenti: la straordinaria collezione di dipinti

appartenuta al Duca d'Orléans, e destinata alla vendita attirò nelle ultime settimane

duemila visitatori al giorno.

Nel 1782 Parigi al Salon de Correspondance prima mostre per rendere omaggio ad un

artista in modo disinteressato, senza particolari finalità commerciali.

British Institution, un'istituzione amministrata da una ricca cerchia di aristocratici che

dai primi anni del XIX secolo organizza monografiche dedicate ai grandi protagonisti

dell'arte inglese.

Art Treasures of the Kingdom: vero blockbuster visitata da oltre un milione di

persone, allestimento cronologico, per accentuare carattere didattico della mostra si

ridussero i costi di trasporti e biglietti, organizzarono visite per i bambini e gli operai

e si ampliarono gli orari d'apertura al pubblico.

Le grandi esposizioni. Nel XIX secolo grande cambiamento: data la nascita della

borghesia e l'allargamento del pubblico potenziale degli acquirenti si richiese ad

artisti ed artigiani di ampliare la produzione di manufatti di qualità a un prezzo più

accessibile. Si moltiplicarono, così, le grandi esposizioni di arte, promosse e

sostenute dai governi e dalle associazioni di artisti. Le Grandi Esposizioni

diventarono il racconto di una nuova società produttiva e il resoconto animato di una

metropoli moderna; nonché l'occasione per la costruzione di edifici eretti per ospitare

le mostre: Christal Palace di Londra, Grand e Petit Palais di Parigi e Palazzo

dell'Esposizioni a Roma.

In Italia la prima esposizione internazionale si tenne a Torino nel 1902, in occasione

del cinquantenario dello Statuto albertino. Queste esposizioni diventavano

l'espressione del forte impulso alla produzione industriale, alla modernità, all'apertura

intellettuale verso un contesto culturale internazionale, all'esaltazione di nuove

tecniche costruttive. L'attività espositiva divenne un potente mezzo di

autocelebrazione.

Le organizzazioni di artisti. Il sistema dell'arte ottocentesco era impostato

rigidamente in tutta Europa, come l'Académie des Beaux-Arts a Parigi, queste

accademie legittimavano il lavoro degli artisti, controllandone la formazione,

orientando il mercato con le scelte per le acquisizioni delle opere nei musei. Il

rispetto dei canoni consolidati divenne il setaccio utile a filtrare e selezionare gli

espositori e diedero vita alle prime esposizioni indipendenti. Si pensi a Coubert che

decise di esporre a proprie spese nel Pavillon du Réalisme le tele rifiutate dalla giuria

dell'Esposizione Universale.

Nel 1863 fu autonomamente realizzato dagli artisti il Salon des Refusés su cui fu

esposta la scandalosa tele Le Déjeuner sur l'herbe de Manet. Si gettarono le basi per

un nuovo sistema dell'arte affrancato dal potere accademico e autonomo dal punto di

vista espositivo, nel quale emersero le figure del mercante-collezionista e del critico-

scrittore, compagno di strada e amico degli artisti.

Nel 1839, anno fatidico che segna la nascita della fotografia, furono organizzate a

Parigi due mostre fotografiche, che servirono per convincere, mostrare l'efficacia di

una tecnica di riproduzione del reale. Da questo momento la fotografia fu presente

alle Esposizioni Universali nelle sue diverse forme.

A partire dal XX secolo gli artisti si rendono conto dell'importanza degli allestimenti

espositivi e dell'illuminazione, da questo momento viene concepito l'ambiente stesso

come un'opera totale tanto da trasformarlo a seconda degli effetti che si volevano

ottenere sui visitatori. Le riflessioni degli artisti della Bauhaus si concentrarono

sull'illuminazione degli oggetti e sul ritmo degli elementi dell'allestimento e delle

opere nello spazio. Con la poetica futurista si acquisì la consapevolezza che a nuova

arte dovesse corrispondere un rinnovamento nella percezione stessa dell'ambiente

espositivo. Nacquero le Case d'Arte dove si sperimentarono nuove tecniche

artigianali in ambienti trasfigurati e le manifestazioni futuriste diventarono spettacoli

trasformando il pubblico in attore, in un modo di continuo straniamento e sorpresa.

I surrealisti giunsero a una completa teatralizzazione delle esposizioni: percorsi

labirintici, giochi sonori e di luce e perfino odori coinvolgevano il fruitore in un

viaggio attraverso l'inconscio. In Francia fu l'Académie des Beaux-Arts a tracciare

per molto tempo la storia espositiva del XIX secolo, in Italia questa si deve

principalmente all'istituzione delle società di promozione artistica. Nel 1829 venne

creata la società degli Amatori e dei Cultori, che espose per la prima volta ai Musei

Capitolini. Le opere invendute erano acquistate dalla stessa società ed estratte a sorte

tra i soci. Il ruolo svolto nell'orientare gli acquisti per le istituzioni pubbliche

portarono la società a divenire espressione di un'arte ufficiale basata sul consenso di

pubblico più che sulla ricerca espressiva. Nel 1884 gli Amatori e i cultori trasferirono

la propria sede nel Palazzo delle Esposizioni.

Le rassegne periodiche in Italia. Il prestigio della capitale entrò in crisi quando nel

1895 venne istituita la Biennale di Venezia, crisi che si prolungò per tutto il XX

secolo. Nell'ultimo decennio l'Europa fu attraversata da diversi movimenti

antiaccademici detti Secessioni, che si affermarono anche in Italia. Apparvero le

mostre di arte libera e giovane a Venezia, mentre un gruppo animato da Giacomo

Balla dette vita alla Secessione romana. Con la GM le Secessioni ebbero termine e

nel 1920 in concorrenza con Venezia il Comune di Roma decise di istituire una

rassegna a cadenza biennale, che si tenne in un Palazzo delle Esposizioni

completamente ristrutturato. La seconda edizione non si caratterizzò per le

retrospettive ma per il compromesso attuato tra le tendenze d'avanguardia ed

espressioni d'arte ufficiale, ma soprattutto per la presenza di sale dedicate ai giovani.

La terza e ultima Biennale si tenne nel 1925 e vide la partecipazione della Società

degli Amatori e Cultori ai lavori organizzativi. Fu il retaggio ancora ottocentesco da

Salon dell'esposizione Biennale – con l'apparato celebrativo e la struttura fortemente

burocratica che accompagnava l'organizzazione dell'iniziativa, finanche il

cerimoniale dell'inaugurazione – a essere una delle cause della breve durata della

rassegna. Roma, centro del potere politico, doveva essere posta a capo di un sistema

dell'arte maggiormente centralizzato e più capillarmente controllato, come poi

avverrà nelle Rassegne sindacali e nelle Quadriennali romane.

Queste ultime volute dall'artista Cipriano Efisio Oppo e definite da Mussolini quali

scuola, palestra e vaglio dell'arte italiana prima di affrontare le competizioni

internazionali. Le prime 4 edizioni si tennero tutte a Palazzo delle Esposizioni, la

seconda Quadriennale è considerata dalla critica tra le più riuscite manifestazioni di

quel decennio con la collettiva dei futuristi, la netta prevalenza dei pittori della

Scuola Romana e la retrospettiva dedicata a Scipione. Nel primo dopoguerra alle

critiche rivolte all'organizzazione delle Quadriennali si rispose con una sorta di

assistenzialismo, trasformando le esposizioni in un affollamento di tendenze

artistiche non più frutto di una selezione locale; anche perché Mussolini e il Ministro

dell'Educazione nazionale Bottai non furono mai inclini a sostenere uno stile per non

generare malumori. Il premio Bergamo voluto dal Ministro a cui parteciparono tra gli

altri Guttuso e de Pisis fu aperto a tutte le tendenze artistiche.

Nel 1955 si inaugurò la prima Documenta che a partire dal 1968 divenne

un'esposizione incentrata sulla produzione contemporanea costituendo poi il

principale modello.

La Biennale di Venezia. Durante le prime Biennali si manifestò una forte attitudine

al compromesso e alla ricerca del consenso piuttosto che alla definizione di precise

scelte critiche. In occasione della seconda Biennale venne istituito il Premio alla

Critica e si trasformarono gli altri premi in acquisti per i musei nazionali e locali. In

un primo periodo le scelte della Biennale subirono l'influenza della cultura

mitteleuropea. Nel 1930 la Biennale fu trasformata in ente autonomo passando dal

controllo del Comune di Venezia a quello diretto dello Stato fascista. Nel dopoguerra

iniziò un periodo di rivisitazione dei movimenti di avangurdia, cui importante

contributo ebbe la mostra della collezione di Peggy Guggenheim presentata da Giulio

Carlo Argan. È anche grazie alla Biennale che si affermò in Italia il movimento

Informale. Da ricordare l'importanza degli allestimenti espositivi dell'architetto Carlo

Scarpa.

Nel '68 la contestazione coinvolse la Biennale: si misero in discussione il ruolo e

l'esistenza stessa dell'istituzione e i criteri di attribuzione dei premi, mentre alcuni

lavori vennero ritirati e altri furono coperti per protesta. Nel 1977 ebbe luogo la

“Biennale del dissenso”dedicata alla contestazione culturale nei paesi dell'Est

europeo e dell'URSS.

Negli anni 80 la Biennale attraversò diverse esposizioni a carattere tematico: Arte

come Arte, Arte allo Specchio, Arte e Scienza, le ultime curate da Calvesi. Particolare

attenzione destò la sezione dedicata agli artisti più giovani curata da Bonito Oliva,

denominata “Aperto” e che venne allestita nel 1993 negli ex Magazzini del Sale. In

questa sezione presentarono i loro lavori i 5 artisti della Transavanguardia: Sandro

Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino.

Con la metà degli anni 90 alla Biennale, che ormai ha compiuto 100 anni, arrivano gli

stranieri: le diverse sezioni “Musica”, “Architettura”, “Teatro”, furono affidate a

curatori internazionali; al “Ciname” rimase Gillo Pontecorvo, mentre per le “Arti

visive” fu nominato il critico francese jean Clair.

Il nuovo secolo è segnato dalla riforma che porterà l'ente verso la parziale

privatizzazione e la felice acquisizione dei nuovi spazi dell'Arsenale. Harald

Szeemann, già storico direttore di documenta a Kassel, allestirà nel 1999 la mostra

dAPERtutto dove si esposero, tra gli altri, artisti cinesi e coreani.

La mostra come racconto. Il museo come ci ricorda Valéry è un luogo

potenzialmente ostile e non accogliente, dove l'eccessiva quantità e l'affollamento

delle opere creavano confusione, spaesamento e senso di estraneità. Umberto Eco in

una conferenza al Guggenheim di Bilbao descrive il senso di inadeguatezza che

spesso avvolge il visitatore di fronte alla quantità di oper

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
18 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabio.dipi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della curatela e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Ferrario Rachele.