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Per avviare il debriefing l’animatore deve preparare i partecipanti aiutandoli ad uscire dal
gioco, e può farlo attraverso il gesto simbolico di raccogliere tutti i materiali del gioco e di
porli in un angolo lontani dal gruppo. Si deve subito dopo avviare il debriefing senza fare
nessuna una pausa perché altrimenti si andrebbe a perdere la carica che i partecipanti
hanno in quel momento. L’animatore deve quindi porre tutti i partecipanti in cerchio e deve
iniziare a spiegare cosa sta per accadere. Molto brevemente richiamerà poi i punti salienti
del gioco, chiedendo contemporaneamente ai partecipanti di ricordare cosa pensavano nel
momento in cui giocavano e come si sentivano, nel caso in cui l’animatore ha ripreso il
gioco con una telecamera questo sarà il momento in cui potrà mostrare il video ai
partecipanti. Da questo momento in poi ha inizio il debriefing che comprende tre fase:
Fase di descrizione: in cui i partecipanti sulla base delle domande poste loro
- dall’animatore (del tipo: come vi siete sentiti?cosa avete provato?che cosa è
successo?qual’era la sfida principale?l’avete vinta?) descrivono quanto è avvenuto
sul piano emotivo durante il gioco. E’ importante che l’animatore faccia presente
che nessuno è obbligato ad intervenire o a rispondere alle domande e che inoltre
non si dovranno esprimere critiche o commenti su quello che i partecipanti dicono.
Sarà poi carino che l’animatore ringrazi ogni persona che interviene. Dopo questa
prima fase sarà utile, se c’è tempo, fare una breve pausa che permetterà ai
partecipanti di distendersi un pò
Fase di analisi/analogia: qui i partecipanti andranno ad analizzare ciò che è
- avvenuto nel gioco e a fare parallelismi con situazioni della vita reale, sempre
attraverso le domande dell’animatore (del tipo: quali situazioni del gioco vi hanno
ricordato episodi della vita reale?vi è mai capitato di trovarvi in una situazione
simile?che cosa suggerisce l’esperienza di gioco su come comportarsi in una
situazione della vita reale come questa?)
Fase di applicazione: qui i partecipanti valutano quali sono le scoperte che hanno
- fatto e quali sono per loro più rilevanti, sempre attraverso le domande
dell’animatore (del tipo: quale prevedete potrà essere la prossima esperienza della
vita reale in cui potrete applicare gli apprendimenti di questo gioco?qual’è il singolo
principio più importante che avete appreso da questo gioco?)
Le Metodologie (dell’animatore):
La parola metodo all’origine significa “via che conduce oltre”. Quando parliamo di metodo infatti
non dobbiamo far riferimento a qualcosa di prestabilito e statico ma a un qualcosa che si
costruisce strada facendo lungo il percorso man mano che si aprono delle vie e se ne schiudono
delle altre. In educazione accettare questo crea una specie di instabilità e di incertezza, le quali
però portano con se il grande vantaggio di costringere l’individuo a rimanere in una situazione
costante di apprendimento. E’ in questo senso che l’educatore/animatore deve intendere il metodo
che decide di utilizzare, come un “apprendimento ad apprendere”.
Alcune tra le metodologie più usate nella formazione sono:
- La metodologia autobiografica
- // // umoristica
- // // dell’ascolto
- // // collaborativa
Della metodologia “dell’ascolto” abbiamo già parlato precedentemente, per quanto riguarda invece
quella “autobiografica”, essa è una delle metodologie utilizzate nell’educazione degli adulti e
consiste nel far si che l’individuo effettui una rilettura attenta e critica della proprio vita in modo che
egli possa conoscere meglio se stesso e riprogettare quelle aree che appunto durante il corso
della vita non ha pienamente sviluppato, ricostruendo così più genuinamente la propria identità. E
ciò può essere fatto solo attraverso la narrazione e l’aiuto da parte persone competenti (tale
esperienza risulterà costruttiva non soltanto per coloro che raccontano ma anche per coloro che
ascoltano).
Accanto a queste poi ve né un’altra che è la metodologia “umoristica” la quale aiuta l’individuo (sia
esso l’educatore sia esso l’allievo) ad osservare e riflettere sulle proprie reazione giungendo a
ridere di se stesso e a prendere le distanze dai propri vissuti.
Altra metodologia ancora è quella “collaborativa” che si basa sull’ espressa e prestabilita
collaborazione tra i partecipanti.
Al suo interno troviamo:
- La maieutica di gruppo: nell’ottica socratica la maieutica è il criterio di ricerca della verità e
consiste nel sollecitare il soggetto a ritrovarla in se stesso e a tirarla fuori, si basa quindi
sulla partecipazione attiva del soggetto. Nel caso della maieutica di gruppo si usa il metodo
dell’erotèma cioè di un argomento che viene svolto insieme da tutti i partecipanti mediante
una serie di domande poste dall’educatore/animatore ai singoli individui del gruppo. Questo
fa uscire i soggetti dal loro individualismo e stimola la riflessione.
- Il Cooperative Learning (CL): esso oltre che essere un metodo di
insegnamento/apprendimento è ancor prima un movimento educativo, la cui principale
caratteristica è la cooperazione tra studenti e risale alle sperimentazioni iniziate da A.Bell e
Lancaster tra il 1700 e il 1800. Le due linee di pensiero che contribuirono all’affermazione
di questo movimento furono il pensiero di Dewey e gli studi di Lewin. E’ un metodo che
consiste nella suddivisione della classe in gruppi di lavoro (in cui non c’è competizione e
ognuno è responsabile del proprio lavoro ma anche di quello degli altri, perché solo
lavorando insieme si può raggiungere l’obiettivo) in cui ogni individuo apprende perché
collabora con gli altri per il raggiungimento di un obiettivo comune (che può essere la
comprensione di un concetto per la soluzione di un problema, o la realizzazione di un
prodotto o di un servizio). Tale sistema risulta un’alternativa alla tradizionale lezione
frontale.Con tale metodo s’impara per mezzo degli altri, dagli altri e con gli altri. S’impara
per mezzo degli altri quando si crea un individuo del gruppo insegna qualcosa ad un altro e
c’è un feedback di ritorno sull’apprendimento raggiunto attraverso il dialogo con l’altro, si
apprende invece dagli altri quando un individuo osserva e analizza ciò che fa un altro in un
determinato campo (esempio: un allievo tennista che analizza i movimenti di un campione
e in questo caso la comunicazione però è monodirezionale) e infine si apprende con gli altri
quando c’è un obiettivo che si deve raggiungere in gruppo e che può essere raggiunto solo
dalla collaborazione di ciascun elemento (es: una squadra di calcio che impara uno
schema o un’orchestra che impara ad eseguire un brano).
Gli elementi chiave di tale metodo sono:
-l’interdipendenza positiva (si ha quando ogni membro del gruppo si preoccupa non solo
del proprio rendimento ma anche di quello dei compagni, perché sa che solo insieme si può
raggiungere l’obiettivo)
-l’interazione promozionale faccia a faccia e l’uso di competenze sociali (una buona
interazione significa un buon clima che si instaura tra i membri del gruppo e si presenta
come disponibilità ad aiutarsi,ad incoraggiarsi,ecc; le competenze sociali invece sono le
abilità comunicative, capacità di gestire i conflitti, di prendere decisioni,ecc. Spesso gli
insegnanti credono che gli alunni già le possiedono e quindi vanno direttamente a creare
dei gruppi di lavoro, in realtà però non è così e secondo gli studiosi è indispensabile prima
educare gli alunni a stare e lavorare insieme fornendo loro indicazioni chiare e precise
ovvero ad apprendere tali competenze sociali)
-la responsabilità individuale (la responsabilità nel CL è sia del gruppo nel suo insieme sia
nei singoli individui)
-la revisione e il perfezionamento continuo del lavoro di gruppo (ovvero una riflessione
sull’attività svolta per capire se le azioni dei membri sono risultate utili o meno e decidere
quali continuare o cambiare per migliorare il risultato)
E’ importante poi ricordare che di solito nella composizione dei gruppi di lavoro si cerca di
creare la maggiore omogeneità possibile (quindi ad esempio persone con capacità simili),
nel caso invece del CL si adotta il criterio della maggiore eterogeneità possibile quindi
diversi livelli di abilità,genere,classe sociale,cultura,ecc.
Esistono poi varie forme di CL ma qui parleremo solo della “Complex Instruction” di
Elisabeth Cohen della Stanford University in California. Secondo la Cohen la prima cosa da
fare è preparare gli alunni alla cooperazione, attraverso una serie di norme o regole su
come ci si deve comportare in gruppo, i gruppi poi vanno creati sul criterio di eterogeneità e
su gli obiettivi che intendono raggiungere, che possono essere di due tipi: obiettivi “di
routine” (rievocare fatti, capire la lezione dell’insegnante, ripetere un esperimento
scientifico,ecc) e obiettivi “concettuali” (saper vedere un problema sotto angolature diverse,
sviluppare un’ipotesi, padroneggiare concetti in vari contesti,ecc).
Per la Cohen poi il CL si deve attuare in questo modo: l’insegnante inizia con una lezione
introduttiva sull’argomento che vuole gli alunni apprendano, e sarà una lezione sintetica, in
cui si cercherà di non approfondire troppo la cosa e di non anticipare il lavoro che devono
svolgere i ragazzi (potrà poi fare uso di diversi strumenti come film o documentari), dopo di
che dovrà formare i gruppi (che dovranno essere composti da non più di cinque elementi) e
assegnare a ogni alunno un ruolo ben specifico (tra questi quello che deve essere sempre
presente è il ruolo del facilitatore):
-facilitatore (è colui che assicura che ognuno riceva l’aiuto necessario e che abbia ben
compreso cosa deve fare, deve trovare le risposte alle domande all’interno del gruppo e se
non riesce deve interpellare l’insegnante)
-controllore (controlla che tutti abbiano svolto il proprio lavoro)
-addetto ai materiali: ha la responsabilità preparare e disporre tutto il materiale di lavoro
-addetto al riordino
-relatore (ha la responsabilità di riferire alla classe le scoperte del gruppo)
-armonizzatore (si occupa di gestire i possibili conflitti, di far si che la comunicazione
all’interno del gruppo sia lineare e aperta, ecc)
Dopo aver assegnato i ruoli,