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IL PROCESSO PERCETTIVO
Il riconoscimento di un oggetto richiede due operazioni fondamentali:
1. La descrizione, cioè la trasformazione delle immagini sensoriali in un’immagine dell’oggetto;
2. Il confronto dell’immagine costruita con i dati in memoria.
• Analisi delle qualità primarie. Treisman ha messo in evidenza che un primo passo verso il riconoscimento di
oggetti consiste nel prendere in esame tratti essenziali presenti nella scena visiva: le qualità primarie. Queste
sono l’inclinazione, la curvatura, la lunghezza il movimento ecc. si tratta di caratteristiche elementari che
siamo predisposti per natura ad afferrare. Ricerche di neurofisiologia suggeriscono che abbiamo strutture
cerebrali apposite specializzate nell’estrazione di queste qualità. Secondo Treisman l’analisi delle qualità
primarie si svolge in due tempi:
o nella fase di identificazione le estraiamo dalla scena visiva. Operiamo automaticamente in parallelo.
Il prodotto è una sorta di lista delle qualità primarie presenti.
o Nella successiva fase di integrazione collochiamo le qualità estratte nello spazio e combiniamo
quelle che vanno assieme.
A riprova ci sono anche le combinazioni illusorie indotte sperimentalmente.
• Ricostruzione della forma. L’analisi delle qualità primarie è solo un primo passo nella descrizione
dell’oggetto. Il passo successivo è ricostruirne la forma, il che richiede di mettere assieme le qualità primarie
rintracciate nella scena a un livello più complesso di integrazione. la ricostruzione avverrebbe in tre fasi:
o Scomposizione
o Identificazione
o Assemblaggio
Sembra che la profondità venga calcolata su due indicatori binoculari, la convergenza oculare e la disparità
binoculare e su vari indicatori monoculari.
Per un riconoscimento preciso invece i dettagli sono importanti anche se non è necessario ricostruirli tutti. È
sufficiente ricostruire alcune proprietà distintive dell’oggetto.
• Trasformazione realistica. Ad assemblaggio ultimato l’immagine dell’oggetto è grosso modo isolata e
tridimensionale. Per definirla meglio occorre renderla indipendente dal contesti di osservazione, in modo da
presentare alla coscienza l’oggetto con le sue proprietà permanenti. Per questo ricostruiamo le parti coperte e
applichiamo meccanismi di trasformazione noti come costanze percettive: di grandezza, forma, posizione,
colore.
• Codifica. La descrizione è ultimata e si può passare al confronto con le conoscenze in memoria. Le info
raccolte vengono ora tradotte in concetti, cioè in rappresentazioni mentali di categorie di oggetti.
• Riconoscimento consapevole. È l’unico passaggio di cui ci rendiamo conto: tutti i precedenti erano
inconsapevoli. La coscienza entra in scena e seleziona tra i tanti concetti attivati quello che, vista la situazione
in cui siamo va scelto, decidendo che cosa c’è da vedere.
Non ci rendiamo conto del lavoro svolto della mente, perché fino all’ultima tappa il processo è inconsapevole. La
percezione è così rapida perché alcune elaborazioni avvengono in parallelo. La selezione può avvenire sulla base di
programmi innati o superappresi che si innescano automaticamente in presenza di certi stimoli.
Il processo è al tempo stesso bottom-up e top-down: va dai dati alle conoscenze e dalle conoscenze ai dati. A rendere la
percezione estremamente rapida concorre anche l’uso di sistemi combinatori, quali l’alfabeto delle qualità primarie e
l’alfabeto dei geoni.
LE AGNOSIE
Sono rari disturbi della percezione studiati fin dalla seconda metà del XIX secolo. Conseguono a lesioni cerebrali e
consistono in difficoltà a riconoscere gli oggetti, generalmente limitate a una modalità sensoriale. Il termine agnosia è
stato introdotto da Freud proprio con l’intento di sottolineare che il deficit riguarda l’organizzazione cognitiva dei dati,
piuttosto che la loro raccolta con i sensi. Le agnosie colpiscono la trasformazione dei dati sensoriali in conoscenza,
lasciando intatta la conoscenza: il paziente è perfettamente in grado di dire ciò che sa dell’oggetto se gli viene nominato
o se lo percepisce attraverso un’altra modalità sensoriale.
Il neurologo Lissauer al quale dobbiamo il primo lavoro sistematico sull’argomento ha introdotto la distinzione tra
agnosia:
• appercettiva, in cui il paziente è incapace di organizzare i dati dei sensi in una struttura percettiva;
• associativa, in cui non riesce ad associare l’immagine percepita alle conoscenze che ha in memoria.
La distinzione in linea di massima è ancora valida e dice che le agnosie possono compromettere l’una o l’altra delle due
operazioni, la descrizione e il confronto.
Oggi sappiamo che si possono distinguere almeno tre forme di agnosie appercettive, che colpiscono momenti diversi
della descrizione. L’agnosia per le forme o dismorfia.
Nell’agnosia integrativa, la ricostruzione della forma sembra compromessa in fase di assemblaggio. Tipicamente il
paziente descrive o disegna gli oggetti, anche pezzo per pezzo, incapace di formarsene una rappresentazione unitaria.
Nell’agnosia trasformazionale il paziente è incapace di riconoscere gli oggetti solo quando gli vengono presentati in
modo non convenzionale.
Anche delle agnosie associative esistono forme diverse.
Nell’agnosia associativa pura non sono disponibili le conoscenze da collegare alla rappresentazione degli oggetti in
quella modalità sensoriale.
Nell’afasia ottica è difettoso l’accesso alle conoscenze in memoria.
Di grande interesse è l’agnosia di consapevolezza, che interessa il riconoscimento di visi. Qui fa difetto la coscienza: il
paziente non è in grado di dire di chi sono i visi che vede ma i suoi comportamenti testimoniano che inconsciamente li
riconosce.
LA PERCEZIONE ARTIFICIALE
Nel campo della percezione artificiale c’è un fiorire di ricerche. Le più influenti però sono quelle condotte nel
laboratorio del MIT a partire dagli anni Settanta.
L’obiettivo dell’équipe del MIT è stato realizzare un’intelligenza artificiale in grado di vedere come un essere umano.
Le info raccolte vengono trasmesse a un’unità centrale di calcolo che è un sofisticato elaboratore parallelo.
La parte più impegnativa viene dopo, quando l’intelligenza artificiale deve trasformare l’immagine digitale in una
rappresentazione che possa essere riconosciuta. L’elaborazione dell’immagine digitale avviene in tre stadi:
• in un primo tempo viene prodotto lo schizzo primario, bidimensionale che delinea i contorni degli oggetti.
• Lo stadio successivo porta allo schizzo a due dimensioni e mezza, così chiamato perché si avvicina a una
rappresentazione tridimensionale senza realizzarla pienamente.
• Il terzo è il modello tridimensionale.
Gli stadi di elaborazione corrispondono alle tappe del processo percettivo come oggi si tende a ricostruirlo: la
produzione dello schizzo primario somiglia all’analisi delle qualità primarie e alla loro organizzazione in forme
elementari.
Le ricerche rimostrano che per percepire sono necessarie le trasformazioni dell’info ambientale operate da ciascuna
tappa del processo.
Un limite al lavoro svolto è che ci si è concentrati sulla descrizione degli oggetti, trascurando le fasi più avanzate di
confronto e di riconoscimento cosciente.
L’EVOLUZIONE DEI SISTEMI PERCETTIVI
Schematicamente si possono distinguere 3 tipi di sistemi percettivi nel regno animale:
• Sistemi meccanici. Si limitano a connettere determinati stimoli ambientali a determinati comportamenti, senza
che entri in gioco la conoscenza. Il sistema è costituito da un filtro che seleziona l’informazione rilevante, e da
un dispositivo di smistamento, che connette le informazioni a moduli comportamentali di un repertorio che
l’animale ha.
• Sistemi cognitivi. Anziché connettere meccanicamente l’animale discrimina tra categorie differenti di oggetti e
risponde conseguentemente. La percezione cognitiva rappresenta un passo avanti dal punto di vista evolutivo. I
sistemi meccanici sono sicuri ed economici, ma rigidi.
• Sistemi coscienti. Quando è la coscienza a dirigere la percezione, si fa un ulteriore passo avanti
nell’evoluzione, dato che è possibile scegliere che cosa percepire in ragione delle esigenze del momento.
Un aspetto interessante dei sistemi percettivi è che come in genere accade nell’evoluzione, con l’avvento dei più evoluti
i più elementari non scompaiono. Il nostro sistema è evolutivamente stratificato: contiene sistemi meccanici, cognitivi e
coscienti come l’uno sull’altro.
RICONOSCERE I VISI
Il riconoscimento delle facce ha un’enorme importanza per noi come del resto per le scimmie. Uomini e scimmie
formano società individualizzate, dove i membri si conoscono uno per uno e utilizzano le espressioni del viso per
comunicare stati interiori e atteggiamenti degli uni verso gli altri.
Lo schema del viso p innato e guida l’esplorazione delle facce fin dai primi momenti della vita. Lo studio dei
movimenti oculari mostra che già dai primi giorni i bambini preferiscono guardare figure di visi.
Sembra che nel cervello esista un sistema specializzato per il riconoscimento di visi. A riprova ci sono i casi di
prosopoagnosia cioè di disturbi del riconoscimento delle facce. Dato che riconoscere i visi richiede sottili
discriminazioni, si potrebbe pensare che la prosopoagnosia sia nient’altro che un’agnosia lieve in cui il paziente è
incapace di fini riconoscimenti.
Si pensa che il processo di riconoscimento dei visi sia in parte diverso da quello degli oggetti.
Farah ha ipotizzato che, mentre il riconoscimento di oggetti, almeno fino a un certo punto è analitico, quello di visi è
globale.
LA PERCEZIONE SUBLIMINALE
PERCEPIAMO A NOSTRA INSAPUTA?
Teoricamente dovrebbe essere possibile avere percezioni inconsce o subcezioni.
Il processo percettivo è fatto di parecchie operazioni, la maggior parte delle quali sono inconsapevoli. Se si arresta
quando l’elaborazione è molto avanti, ma la coscienza non è ancora intervenuta, possiamo dire che c’è stata percezione
senza consapevolezza. In un soggetto normale l’elaborazione potrebbe fermarsi prima della tappa finale se lo stimolo è
al di sotto della soglia della coscienza, di qui l’espressione percezione subliminale, perché è debole o non è oggetto di
sufficiente attenzione.
Sulla questione c’è stato e c’è tuttora dibattito.
Nel