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Benché le vicissitudini del castigliano non abbiano dato luogo a una vera e propria questione
della lingua come quella italiana, questo periodo conobbe molte discussioni su problemi, usi e
modelli linguistici:
1. latino e spagnolo: anche se la maggior parte delle opere tecniche si continuavano a
scrivere in latino, umanisti come il Brocense o Pedro Simòn Abril chiedono già che
l'insegnamento della filosofia, della medicina e del diritto sia impartito nella lingua
viva e non in latino. Dall'esaltazione umanistica del vernacolo di fronte al latino si
passerà presto all’esaltazione dello spagnolo di fronte agli altri volgari; uno degli
argomenti usati per dimostrare tale supremazia fu appunto la (pretesa) maggior
vicinanza dello spagnolo al latino: e si composero interi testi(spesso sonetti) che
potevano essere letti sia come se fossero scritti in spagnolo, sia come se fossero
redatti in latino.
2. La patria della lingua pura: l'annosa contesa fra il castigliano vecchio di Burgos e
quello nuovo di Toledo si era risolta a favore del secondo: la supremazia di Toledo
fu assicurata dalla presenza della Corte, confermata dall'opera di Garcilaso de la
Vega e accettata dalla maggioranza degli scrittori, compresi i non-castigliani. Tre
ragioni giustificano la preminenza di Toledo: la sua centralità geografica, la
lontananza dal mare(il che rende difficile che le genti straniere corrompano l'idioma,
il clima e l'aria fine, che stimolano una peculiare competenza linguistica nei toledani.
Se una minoranza esalta altre varietà di spagnolo è frequente nelle polemiche
dell'epoca che i castigliani manifestino disprezzo in particolare verso l'Andalusia
linguistica. Ma altri ingegni più equilibrati rivendicano la validità della “lengua
comùn” senza frontiere regionali. Cervantes elogia la descrizione che è una qualità
prettamente umanistica.
3. L'uso. Castigliano e spagnolo: in Spagna non ci fu un’imitatio dei testi castigliani
antichi. L'unico autore medievale fatto oggetto di commenti rinascimentali fu Juan
de Mena. Nella pratica si esistette una “norma”, questa fu unicamente l'uso della
“corte”, cioè della capitale del regno, ma avendo la corte molte succursali nella
penisola e in America, il castigliano di un idioma nazionale, inverando la profezia di
Antonio de Nebrija: "La lingua sarà sempre compagna dell'impero". Già Juan de
Valdès, osservando le differenze lessicali fonetiche nelle diverse province del regno
"tra la gente volgare", aveva sottolineato che “la gente noble” e colta parlava bene
in qualsiasi luogo della Spagna. Nel secolo XVI il nome di lengua española si
sovrappone a buon diritto a quello di lengua castellana; due le ragioni di questa
preferenza: fuori di Spagna la prima designazione sembrava più adeguata, e nella
penisola aragonesi e catalani non si sentivano partecipi dell'aggettivo castigliano
ma si di spagnolo.
La prima grammatica dello spagnolo fu la Gramatìca castellana di Antonio de Nebrija (1492),
umanista educato in Italia, che applicò al volgare lo stesso metodo della sua grammatica latina.
Stranamente il libro non venne ripubblicato fino al settecento, ma in verità nei secoli d'oro furono
assai poche le grammatiche spagnole scritte per ispanoparlanti. Molti invece sono i trattati di
ortografia: il più rivoluzionario è quello di Correas, il cui scopo era eliminare le grafie inutili. Ma di là
dalle polemiche, l'unificazione ortografica si deve soprattutto alle tipografie madrilene del seicento,
le cui norme vennero adottate in tutte le impero. Le prime opere lessicografiche sono dizionari
bilingui latino-spagnolo e spagnolo-latino. Il primo dizionario monolingue, con le definizioni dei
lemmi è del 1611. Molte le grammatiche e i dizionari ad uso degli stranieri, di grande interesse
anche per le descrizioni di tipo "contrastivo" che forniscono dei suoni castigliani dell'epoca. E
mentre sono molte le grammatiche dello spagnolo per stranieri, piuttosto scarso risulta l'interesse
degli spagnoli per gli altri idiomi.
I mutamenti dello spagnolo nei secoli d'oro lo portano ad acquisire una fisionomia molto vicina alla
lingua d'oggi; le difficoltà che si possono trovare nella lettura di un autore del seicento risiedono
essenzialmente nell'apparato retorico barocco sotteso alla maggior parte dei testi
1. Fonetica: nel vocalismo diminuiscono le oscillazioni fra le vocali atone: tuttavia sono
piuttosto frequenti la e invece della i e la o per la u; più radicali furono i mutamenti
nel consonantismo, la maggior parte dei quali diventarono norma a cavallo delle
due centurie auree:
a. La h- nella prima metà del cinquecento si aspirava a Toledo, ma non si
pronunziava più a Burgos: prevalse questo secondo uso, anche se
l'aspirazione si è mantenuta in gran parte dell'Andalusia.
b. La distinzione tra [b] occlusiva e [β] fricativa si perde: la confusione era
iniziata nel Nord della penisola.
c. Pure dal Nord si irradiò l'assordamento di [dz] e di [z]. Di conseguenza nella
Castiglia i quattro suoni sibilanti /ts, dz, d, z/si ridussero a due fonemi sordi,
un solo fonema affricato e un solo fonema fricativo.
d. Sempre dal Nord si estese l'assordamento di [ž] la pronuncia di mujer passò
da [mužér] a [mušér]. Quindi, a 600 già avanzato, la fricativa palatale sorda
[š] passò alla fricativa velare sorda [x], che è il suono attuale della jota.
e. Da ultimo occorre citare alcuni “meridionalismos que salen del estado
latente en el siglo XVI”, cioè:
1) Il “yeìsmo”, ossia la pronuncia di [λ] come [j], fenomeno che
sporadicamente esisteva fin dalle origini dell'idioma ed è molto
comune in vari idiomi;
2) La confusione fra [-r] e [-l] finali di sillaba o di parola;
3) l'aspirazione e il dileguo della [-s] finale di sillaba o di parola,
con le vocali allungate per compenso;
ѣ
4) la spirantizzazione di [- -], Soprattutto nella terminazione -ado
ѣ
di partecipi trisillabi e tetrasillabi, e il dileguo di [- ].
2. Morfologia: i mutamenti morfologici di questo periodo sono meno notevoli di quelli
fonetici e lessicali.
a. “leìsmo” e “laismo”. Il primo fenomeno consiste nel dire le veo per lo veo
quando il pronome oggetto diretto si riferisce a persona di sesso maschile; il
secondo consiste nel dire la doy per le doy quando il pronome oggetto
indiretto si riferisce a persona di sesso femminile. Questi due fenomeni
riordinano i pronomi secondo il genere, senza badare alla funzione
sintattica: sempre le(s) per il maschile, la(s) per il femminile e lo per il neutro;
sempre fra i pronomi ricordiamo la vittoria di nosotros, vosotros su nos, vos
in riferimento a vari individui;
b. negli aggettivi si naturalizza il superlativo in -ìsimo sotto la doppia influenza
del latino e dell'italiano.
c. Nei pronomi di cortesia si relega il tu all’intimità familiare.
3. Sintassi:
a. Si estende l’uso della preposizione a davanti all’accusativo di persona o di
cosa personificata.
b. Haber passa dall’essere quasi un sinonimo di tener a contendersi il ruolo di
ausiliare con ser.
4. Lessico:
a. Eliminazione di parole antiquate come atender(sostituito da
esperar),so(debajo).
b. Ammissione di termini tecnici nel linguaggio corrente: particolarmente
termini filosofici, scientifici, militari,giuridici.
c. Cultismi. L’autore che sfrutta meglio la deformazione dei cultismi è
Cervantes.
d. Stranierismi: soprattutto americanismi che si riferiscono a cose prima
sconosciute. Anche l’Italia influisce per le strette relazioni politiche e
culturali.
Gli ebrei spagnoli espulsi nel 1492, chiamati in seguito sefarditi(sefardìes, da Sefarad, che in
ebraico significa “Spagna”) si stabilirono in maggioranza in diversi punti dell’impero ottomano; altri
emigrarono nell’Africa del nord o in differenti luoghi dell’Europa. Gli ebrei rimasti in Spagna
subirono le conseguenze dell’ossessione della “limpieza de sangre”. I sefarditi hanno conservato le
loro tradizioni e il loro idioma si mantiene piuttosto fedele allo spagnolo di 500 anni fa.
Con il 700 la Spagna torna ad aprirsi all’Europa, sia per il cambiamento dinastico dagli Asburgo ai
Borbone, sia perché l’influenza culturale francese e l’illuminismo diventano patrimonio di tutto
l’Occidente. Durante il secolo XIX la Spagna perde le colonie, ma la nascita degli stati
ispanoamericani non rompe la coscienza dell’unità dell’idioma. Inoltre con l’Ottocento comincia a
diffondersi il senso della democratizzazione della cultura e nel 1857 si ha il primo tentativo di
creare una scuola elementare per tutta la popolazione allo scopo di sradicare l’analfabetismo.
Viene fondata la Real Academia Española che in breve tempo pubblica il Diccionario (Diccionario
de Autoridades, 1726-1739), seguito dall’Orthografìa e dall Gramàtica, oltre al Quijote e il Fuero
Juzgo.
Nei nessi consonantici l’Academia impose una serie di forme latine ma ammise un gran numero di
eccezioni. Con l’ottava edizione dell’Ortografìa lo spagnolo acquisì l’aspetto grafico oggi vigente: in
particolare scompare la confusione tra la u e la v e fra i e y; si stabilizza l’uso di c, z con la
soppressione della cediglia; si eliminano i latinismi.
1. Il lessico intellettuale: la storia del vocabolario spagnolo dei secoli XVII-XX è la storia del
lessico intellettuale europeo e la maggioranza delle voci sono in realtà cultismi elaborati in
Francia e facilmente adattati alla struttura linguistica castigliana.
2. Stranierismi: Nei secoli XVIII e XIX entra nella lingua spagnola una vera valanga di gallicismi.
Nella vita sociale e nella moda(galante, hombre de mundo, chaqueta), nel lessico di
casa(chale, hotel,sofà), nel commercio(aval, bolsa, garantìa),nella politica e nella
burocrazia(chovinismo, debate, comité). Anche se l’inglese è cronologicamente l’ultimo
arrivato, la sua presenza nel lessico spagnolo è impressionante, soprattutto nel novecento il
prestigio degli Stati Uniti ha introdotto anglicismi in moltissimi campi lessico-semantici: nella
casa, nella moda, nel cinema, nella vita sociale, nella musica e nei balli, nello sport,
nell’economia, nella guerra, nell’informatica, ecc. L’influenza dell’inglese ha pure incrementato
la produttività di alcuni elementi di derivazione, per esempio sostantivi in –dad a partire da
aggettivi in –ivo, ha introdotto i prefissi maxi- e mini-. L’influsso dell’italiano si r