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In definitiva, le evidenti difficoltà a circoscrivere l'ambito lessicale e semantico tendono a
ripercuotersi inevitabilmente sulla possibilità di giungere a formulare una definizione oggettiva ed
esaustiva di paesaggio. Un contributo sostanziale in questa direzione può però derivare dall'analisi
dell'evoluzione storica e teorica del concetto di paesaggio.
Capitolo 2: evoluzione del concetto di paesaggio
Per individuare i primi rudimenti di una geografia del paesaggio, occorre risalire a periodi storici
molto remoti, ovvero all'antica Grecia. Vale la pena rimarcare la spiccata sensibilità dei Greci nei
confronti degli aspetti estetici, scenografici e simbolici dei luoghi. Nei testi dei geografi greci
compaiono spesso descrizioni di luoghi che, per essere basate soprattutto sugli aspetti visivi e per
aver preso in considerazione spazi relativamente ampi e omogenei nella loro globalità e
complessità, possono a loro volta richiamare alla mente una remota idea di paesaggio. Ma questa
presumibile somiglianza di contenuti con gli studi di carattere empirico – analitico redatti
nell'ambito della moderna geografia del paesaggio non deve trarre in inganno e far ipotizzare degli
anacronistici antecedenti culturali. Mancava infatti nel mondo greco, e non poteva essere altrimenti
in questa fase di evoluzione del pensiero geografico, un concetto di paesaggio assimilabile a quello
attuale, con le sue potenzialità d'indagine e di sintesi nell'ambito della conoscenza del territorio,
mentre semmai era più sviluppato quello di regione, sia pure limitatamente agli aspetti del tutto
formali. La descrizione degli scenari che facevano da sfondo agli avvenimenti narrati dagli storici e
dai logografi, infatti, rispondeva in definitiva ad una semplice esigenza di chiarezza espositiva,
soprattutto quando si trattava di illustrare e spiegare realtà esotiche assolutamente estranee alla
cultura greca.
Un contributo ben più sostanziale all'affinamento delle tematiche e del concetto di paesaggio è in
effetti quello che si ricollega allo sviluppo delle arti figurative verso la fine del medioevo e del
rinascimento. Agli inizi dell'epoca rinascimentale una serie di fattori predisponenti di natura
strutturale e culturale aprono di fatto le porte ad una riflessione teorica e metodologica sull'uso, la
sistemazione e la rappresentazione degli spazi. Con l'introduzione della teoria e della tecnica della
prospettiva, si stabiliscono in effetti i criteri per la rappresentazione grafica degli spazi,
privilegiando il reale rispetto all'ideale e il metodo rispetto all'estro dell'artista.
Il merito di aver portato alla ribalta la concezione di paesaggio nell'ambito della ricerca geografica
spetta ad uno dei padri fondatori della disciplina, per quanto concerne la sua evoluzione moderna e
contemporanea, vale a dire Alexander Von Humboldt, il quale riesce a combinare nell'ambito del
termine paesaggio la doppia valenza di paesaggio come percezione estetico – sentimentale e come
ordinamento razionale dello spazio terrestre. Il Kosmos (1845 – 1858), l'opera che convinse l'intera
borghesia europea, russa e americana ad apprendere le scienze naturali, porta il concetto di
paesaggio definitivamente mutato per la prima volta da concetto estetico in concetto scientifico,
passando dalla letteratura artistica e poetica alla geografia caricandosi di un significato del tutto
inedito. Humboldt è convinto che ogni osservazione scientifica riposi su di una credenza metafisica,
ovvero l'uomo non osserva a caso qualcosa ma soltanto ciò che gli interessa. Humboldt spiega
inoltre come il paesaggio e la sua rappresentazione possano costituire uno stimolo ad approfondire
la conoscenza della natura. Il paesaggio quindi può rappresentare il punto di partenza per stimolare
il desiderio di approfondimento degli elementi del sistema naturale e delle leggi che ne regolano il
funzionamento e lo strumento per portare avanti l'opera di riconversione culturale della borghesia
europea.
Le idee di Humboldt vennero riprese e sviluppate dall'amico e contemporaneo Karl Ritter che
introdusse l'elemento umano nel paesaggio e pose come fine principale della ricerca geografica il
riconoscimento delle leggi che regolano il funzionamento del mondo, inteso come frutto della
provvidenza divina. Si tratta dunque di una chiara concezione teologica, nel cui ambito il paesaggio
non è considerato semplicemente per il suo aspetto esteriore e per la sua maggiore o minore qualità
estetica, ma in quanto espressione materiale del volere divino che il geografo ha il dovere di
conoscere e descrivere per celebrarne la somma grandezza e l'amore nei confronti dell'umanità. In
definitiva l'interpretazione di Humboldt è illuminista, mentre quella di Ritter è romantica.
Già a partire dagli anni settanta del XIX secolo altri contributi critici contribuirono ad identificare
nel paesaggio uno dei principali oggetto di studio della geografia scientifica. È da questo momento
che il paesaggio viene riconosciuto come un oggetto di studio da parte della geografia in quanto
“poiché il paesaggio è l'unica forma di realtà accessibile al geografo, esso equivale alla realtà
geografica stessa”.
Le matrici culturali di questo tipo di approccio oggettivista e fiscalista sono da ricercare in
particolare nella diffusione dell'evoluzionismo darwiniano sviluppatosi nell'ambito della corrente
filosofica positivista e nei successi delle scienze naturali. Al centro degli interessi di questo filone di
pensiero geografico si colloca appunto il rapporto uomo – ambiente con quest'ultimo che svolge una
funzione determinante e vincolante sul primo, fino a condizionarne l'evoluzione dal punto di vista
antropologico, culturale e perfino intellettuale.
Ad una simile visione determinista e fiscalista del rapporto uomo – ambiente si oppone ben presto
la scuola francese, con una visione possibilista che può essere contenuta in queste proporzioni:
- la natura non esprime solo vincoli ma anche possibilità di occupazione del territorio e di
utilizzazione delle risorse fisiche
- le comunità, pur all'interno di evidenti condizionamenti, esercitano una scelta tra le possibilità loro
offerte dall'ambiente fisico
- la scelta è compiuta in base alla cultura e alla tecnologia e risente anche di circostanza storiche
- di conseguenza, su questi ultimi aspetti che fanno dell'uomo un fattore geografico, va messa a
fuoco l'attenzione del geografo, che deve restare sensibile e cogliere il substrato fisico
dell'organizzazione del territorio
In altre parole, il paesaggio non viene più inteso come un insieme di elementi fisici, per la cui
analisi occorre fare riferimento soprattutto alla geomorfologia, alla geologia, all'idrografia e alla
botanica, ma come un sistema di caratteri naturali ed antropici, nel quale l'organizzazione sociale, la
tecnologia e la cultura giocano un ruolo altrettanto determinante rispetto all'ambiente. Il concetto di
paesaggio naturale non viene tuttavia denigrato ed abbandonato completamente, ma viene
affiancato a quello di paesaggio geografico, nel quale tendono ad assumere particolare rilevanza le
componenti antropiche, culturali e storiche.
La centralità del tema del paesaggio, esasperata verso la fine del XIX secolo al punto da essere
ritenuta l'unico autentico oggetto d'indagine della geografia, viene accolta almeno inizialmente in
maniera abbastanza passiva ed assiomatica dalla comunità scientifica internazionale, in virtù
soprattutto del ruolo trainante ed egemonizzante svolto in questo periodo dalla geografia e dalla
cultura tedesca e della facile credibilità dei presupposti teorici ed epistemologici. Le conseguenze di
questo atteggiamento condizionarono in maniera evidente la produzione scientifica per parecchi
decenni, concretizzandosi in una lunga serie di contributi a prevalente carattere descrittivo e di
taglio soprattutto regionale.
Verso la fine del XIX secolo il tema del paesaggio entra anche nella cultura geografica italiana, per
merito soprattutto di Filippo Porena, il quale tende appunto a concentrare l'attenzione soprattutto
sugli aspetti esteriori, meglio percepibili, e ne evidenzia la capacità di suscitare emozioni e di
colpire la fantasia dell'osservatore, come traspare dalla stessa definizione di paesaggio come
“aspetto complessivo di un paese in quanto commuove il nostro sentimento estetico”.
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, la polemica sul ruolo e sulla tematica del
paesaggio nell'ambito della cultura geografica internazionale ha a questo punto assunto una
rilevante risonanza e centralità, al punto da costringere gli organizzatori del XV congresso
geografico internazionale, tenutosi ad Amsterdam nel 1938, a dedicare un'intera sezione a questo
specifico argomento. Al termine di un acceso dibattito, una commissione mista di geografi francesi
e tedeschi tentò di redigere un documento comune e definitivo sul concetto di paesaggio e suoi suoi
rapporti con quello di regione. I partecipanti riuscirono a trovare un accordo soltanto su una
definizione piuttosto generica, che tendeva comunque ad evidenziare come il paesaggio non fosse
da considerare soltanto nei suoi aspetti estetici ed esteriori, ma fosse costituito da una serie di
elementi naturali ed antropici legati tra loro da rapporti funzionali di interdipendenza, e potesse
essere analizzato in maniera sistematica e comparativa, in quanto ripartito sulla superficie terrestre
in un numero indefinito di tipi e sottotipi dalle dimensioni spaziali variabili. Veniva così accreditata
e incoraggiata la possibilità di classificare i paesaggi in base a criteri tassonomici, aprendo un
ulteriore filone di ricerca che avrebbe dato eccellenti risultati sotto il profilo scientifico e
metodologico. Il procedimento di individuazione e classificazione può essere così schematizzato e
articolato
- prima fare ---> stabilire i criteri attraverso cui definire i tipi e sottotipi di paesaggio e stabilire i
modi con cui valutarli (tale prima fase ha natura sistematica perché conduce all'analisi del
paesaggio in sé)
- seconda fase ---> identificare i tipi ed eventualmente i sottotipi di paesaggio, procedere alla loro
descrizione e illustrare i casi dotati di particolare interesse (questa seconda fase si sviluppa
attraverso un lavoro cartografico)
- terza fase ---> disaggregare il territorio studiato in base ai tipi di paesaggio
Solo dopo la seconda guerra mondiale il concetto di paesaggio viene ripreso come insieme estetico
ed armonico di fenomeni geografici che comincia ad essere apertamente messo in discussione in
quanto emerge la necessità di non limitare il campo d'indagine della geografia al solo paesaggio,
che resta comunque un tema di