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LA TUTELA IN FRANCIA TRA RIVOLUZIONE E SECONDO IMPERO
VIOLLET-LE-DUC
FEDERICO TRAVAGLINI
JOHN RUSKIN
WILLIAM MORRIS
CAMILLO BOITO
Camillo Boito (1836 - 1914) lavora per quasi tutto il XIX secolo; nell'arco della sua carriera, i criteri
sul restaurare si sono fortemente mutati così come il suo giudizio riguardo al restauro. In gioventù,
Boito considerava Viollet-le-Duc un'autorità indiscussa e riconosciuta, egli, infatti aderì al modello
dell'architettura medioevale e, anche le sue prime esperienze di restauro, propone rifacimenti in
stile. Boito, infatti, sosteneva che le rovine di un vecchio castello medioevale sono mute per i più:
la progressiva estinzione di segni e degli elementi connotativi nega ogni immediata
comunicazione, inducendo ad interrogativi senza risposta; tali interrogativi possono essere sciolti
soltanto dagli studiosi che sanno dedurre la verità raccogliendo pazientemente le informazioni da
documenti e dati diversi. La rappresentazione del vero e la completa finzione stimolano come a
teatro le emozioni di ognuno. Più tardi, invece, muterà le sue tesi affermando che la conoscenza
profonda dell'architettura, quella delle stratificazioni successive che documentano l'appartenenza
alle diverse epoche, dovrebbe indurre, viceversa, al rispetto delle testimonianze di arte e storia.
L'imitazione delle forme del passato e l'uso dei vari stili nella progettazione architettonica
(eclettismo) costituiscono un ostacolo alla moderna architettura e conducono, nel restauro, al
ripristino, ossia a quel tipo di intervento che tende a restituire all'edificio lo stile delle origini, e che
finisce per proporne una dimensione ingannevole. L'unità di stile compete alla nuova architettura,
non ai vecchi monumenti.
I restauratori possono causare manomissioni irreversibili ai monumenti, a volte soltanto per
ignoranza, a volte per estrema abilità. Nel primo caso l'opera è perduta per sempre, mentre nel
secondo, a lavoro compiuto, nessuno saprà distinguere i rifacimenti e le integrazioni dalle parti
originarie, il falso dall'autentico. Meglio allora parlare di conservazione; la conservazione è
benefica e la prudenza deve costituire una regola inderogabile quando si opera su un oggetto
antico. Per i restauri architettonici sono da osservare due criteri essenziali:
- bisogna fare l'impossibile per conservare al monumento il suo vecchio aspetto artistico e
pittoresco;
- bisogna che i compimenti e le aggiunte, se sono indispensabili, mostrino di non essere opere
antiche ma opere d'oggi.
Queste conclusioni costituiscono il superamento delle teorie di Viollet-le-Duc e di Ruskin,
considerate da Boito contrapposte. Il concetto di monumento, alla sua epoca, si applicava solo a
quegli oggetti privilegiati dal criterio selettivo del metodo storicistico, e la principale ragione
dell’azione di conservazione è la loro classificazione ed il recupero del loro modello architettonico
perseguito con un linguaggio che riprendeva quello del passato (eclettismo storicistico), che
permetteva una mediazione fra coerenza architettonica e leggibilità delle aggiunte.
Boito distingue l'arte del restauro in tre categorie:
- restauro archeologico: riguarda il periodo dell'Antichità;
- restauro pittorico: riguarda il periodo del Medioevo;
- restauro architettonico: riguarda il periodo del Rinascimento.
Per quanto riguarda le questioni delle aggiunte, nella maturità, Boito afferma che esse devono
considerarsi non come veri e propri restauri ma come nuovi corpi di fabbrica, nei quali
l'espressione dell'arte di oggi, non solo giova al monumento, ma è necessaria per l'arte
contemporanea. Inoltre, sostiene che tutte le stratificazioni posseggono il loro valore e, pertanto,
devono essere rispettate; le rimozioni inevitabili vanno dunque limitate a ciò che realmente
disturba. La liberazione del monumento appare dunque lecita se rafforza le qualità artistiche del
monumento (anticipando le teorie di Brandi sull'importanza del valore storico e di quello estetico).
In Boito la fascinazione per l'arte coincide con il richiamo al Medioevo comune a tanti protagonisti
dell'800 europeo; questa scelta lo condannerà agli occhi delle generazioni successive.
Nel 1883 Camillo Boito partecipa al IV Congresso nazionale degli ingegneri e architetti come
membro della commissione esecutiva ed in questa occasione egli propone una teoria del restauro
fondata sulla legittimità dell’istanza storica e sulla necessità della salvaguardia della autenticità del
monumento; riprendendo anche una massima di Didron (1839): "meglio consolidati che riparati,
piuttosto riparati che restaurati". Le conclusioni raggiunte dalla commissione di architettura
verranno raccolte in un documento noto come la prima Carta del Restauro italiana.
I principi fondamentali della Carta del restauro sono:
- differenza di stile fra il nuovo e il vecchio;
- differenza di materiali di fabbrica;
- soppressione di sagome e di ornati;
- mostra dei vecchi pezzi rimossi, aperta accanto al monumento;
- incisione in ciascun pezzo rimosso della data del restauro;
- epigrafe descrittiva incisa sul monumento;
- descrizione e fotografie dei diversi periodi del lavoro, deposte nell’edificio o in luogo prossimo
ad esso, oppure descrizione pubblica per le stampe;
- notorietà.
Carta del restauro del 1883:
articolo 1: “I monumenti architettonici, quando vi sia la necessità di porvi mano, devono piuttosto
venire consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati, evitando le aggiunte e le
rinnovazioni.”
articolo 2: “nel caso che aggiunte o rinnovazioni siano indispensabili, esse devono essere compiute
con carattere diverso da quello del monumento, ma non devono urtare troppo con il loro aspetto
artistico.”
articolo 3: “Quando si devono compiere cose distrutte o non ultimate in origine, i pezzi aggiunti o
rinnovati, pur assumendo la forma primitiva, devono essere di materia evidentemente diversa, o
portare incisa la data del restauro.
articolo 4: “Per i monumenti che traggono la bellezza dalle circostanze pittoresche in cui si
trovano, o dallo stato rovinoso in cui giacciono devono essere previste solo le opere di
consolidamento indispensabili.
articolo 5 teorizza il restauro filologico:
“Saranno considerate per monumenti e trattate come tali quelle aggiunte o modificazioni, che in
diversi tempi fossero state introdotte nell’edificio primitivo, salvo il caso in cui, avendo
un’importanza artistica e storica manifestamente minore dell’edificio stesso e nello stesso tempo
svisando e smascherando alcune parti notevoli di esso, sia da consigliarne la rimozione o la
distruzione.”
Articolo 6: “ Devono essere eseguite prima, durante e dopo ogni opera di restauro le fotografie del
monumento e poi trasmesse al Ministero della pubblica Istruzione insieme ai disegni delle piante,
degli alzati e dei dettagli; mentre una copia di questi documenti dovrà rimanere depositata presso
i monumenti restaurati.”
Articolo 7: “Una lapide da infiggersi nell’edificio ricorderà le date e le opere principali del
restauro.”
Restauro di Porta Ticinese a Milano (1860-1865)
Milano è il centro dell'attività di Boito, in particolar modo per quanto riguarda gli incarichi pubblici
sostenuti. Egli affrontò come primo lavoro nel 1861 il restauro di Porta Ticinese a Milano; al
restauro è affidata la salvaguardia di un reperto di storia medioevale minacciato di demolizione.
Nella città che si trasforma e che ridisegna la viabilità, gli ingressi al centro sembrano inutili
ingombri. Boito accomuna alle colonne antiche di San Lorenzo la medioevale Porta Ticinese che ne
costituisce lo sfondo. Nel 1860, con la delibera di mantenimento della Porta vi è l'inizio delle opere
destinate a mettere alla luce i resti medioevali occultati da stratificazioni posteriori. La
valorizzazione del monumento implica la demolizione delle capsule all'intorno: la rimozione di
coperture, sopralzi ed intonaci che vennero successivamente aggiunti al grande arco centrale in
pietra ed alle torri. La proposta di Boito consiste nell'isolare e ricomporre gli elementi
caratterizzanti la forma primitiva dell'edificio; inoltre furono completate da merlature guelfe la
torre occidentale ed il corpo centrale, mentre la torre orientale rimane incompiuta. Al monumento
vennero inoltre restituiti i caratteri del paramento in mattoni, il rivestimento lapideo delle
murature e le cornici delle finestre in pietra bianca.
Contemporaneamente a Porta Ticinese, Boito lavora anche al restauro di Santa Maria e Donato a
Murano; anch'esso eseguito secondo le teorie del restauro stilistico cercando di restituire all'opera
lo stile primitivo perduto. Mentre tra il 1895 ed il 1898 realizza un progetto di restauro per la
ricomposizione dell’altare di Donatello nell’Sant’Antonio di Padova.
ALFREDO D'ANDRADE
Alfredo D'Andrade, di origini portoghesi, si presenta per la prima volta sulla scena italiana nel 1882
come membro della Commissione d'arte per l'esposizione generale di Torino del 1884. Il tema è la
realizzazione di una mostra d'arte antica per costruire una storia degli stili dal Medioevo all'epoca
moderna, attraverso vari edifici; ma a causa dell'eccessiva ampiezza del periodo storico, si dovette
rivedere il programma. D'Andrade formulò un'ipotesi di intervento per la realizzazione del Borgo e
della Rocca medioevale del Valentino; il suo progetto riproduceva fedelmente un villaggio
medioevale piemontese del XV secolo sovrastato dal castello, e venne approvato dalla
Commissione. Camillo Boito celebrò il suo lavoro e, la notorietà che conseguì con quest'opera gli
valse, nel 1884, un nuovo incarico: fu nominato membro della Commissione per il restauro di
Palazzo Madama. Il monumento, a partire dall'epoca romana, aveva subito notevoli
trasformazioni, in modo particolare nel XV e nel XVII secolo con la costruzione della facciata
secondo il progetto dell'architetto Filippo Juvarra. Sulla base di un accurato studio storiografico e
di un rilievo della fabbrica, corredato da schizzi ed annotazioni che evidenziano la struttura
originaria e le diverse stratificazioni storiche, D'Andrade propose di mettere in luce, dove era
ancora possibile, le rovine delle costruzioni primitive e di restituire al palazzo l'immagine del XV
secolo. Il progetto, dunque, assume il carattere di un restauro in stile, anche se rigorosamente
scientifico, perché fondato su principi filologici e sopratutto documentato. Rispetto ai
contemporanei, la sua esperienza culturale ed operativa rappresenta l'unica chiave di lettura per
comprendere un personaggio