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LETTERATI, ARCHEOLOGI, ISPETTORI

La rivoluzione e i monumenti

L’opera di conservazione avviata dai Comitati rivoluzionari in seno alla Convenzione nazionale

(1793) si lega a due processi significativi della storia della Rivoluzione: il primo risiede

nell’alienazione alla nazione delle proprietà del clero, della corona e dell’aristocrazia francese

emigrata. Il secondo si riferisce alla distruzione ideologica a cui tali beni vengono sottoposti e alla

conseguente reazione di difesa di tale patrimonio. A tale scopo, verrà insediata nel 1790 la

Commissione dei monumenti con l’obiettivo di classificare e verificare lo stato dei beni acquisiti.

Riguardo ai beni mobili, il primo passo consisterà nel raggrupparli in depositi. Nascono così i

Musei, luoghi in cui l’opera perde il suo significato di simbolo politico per acquisire quello estetico.

Il medioevo tra letteratura, archeologia e retauro

All’assenza di una metodologia in campo museologico si affianca, nell’ultimo decennio del

Settecento, un diffuso orientamento da parte della cultura antiquaria ad esplorare il passato in modo

sistematico. Si pongono, in tal modo, le premesse per una cospicua opera di catalizzazione del

patrimonio storico francese che vedrà impegnato il governo negli anni a venire.

L’attività degli antiquari si affianca, a partire dal secondo decennio dell’Ottocento, a quella di

sempre più l’analisi del medioevo attraverso

studiosi che affineranno gli strumenti archeologici.

La conoscenza approfondita delle testimonianze medievali contribuirà al diffondersi di una

maggiore consapevolezza verso la politica della conservazione. Il dovere della conservazione da

parte di figure come Sebastian Mercier e il suo allievo Victor Hugo, anticipa questioni affrontate

successivamente in altro contesto culturale.

Victor Hugo (1802-1885) traduce in versi la sua condanna verso i predatori di rovine, società

finanziarie che acquistano a prezzi molto bassi i beni venduti dalla Stato. A questo Hugo affianca la

denuncia per lo stato di abbandono dei monumenti di Francia, richiamando il governo alle proprie

responsabilità.

Il restauro come attività istituzionale

Nel 1830 si assiste al passaggio dal concetto di “monumento nazionale” a quello di “monumento

storico”. Verrò istituita a tal proposito la figura di un <<ispettore generale dei monumenti storici>>

assicurarsi dell’importanza storica ed artistica dei monumenti,

che avrà i seguenti compiti:

raccogliere tutte le informazioni su di essi, mettersi in rapporti diretto con tutti coloro si occupano

di ricerche storiche e illuminare tutti al rispetto e alla conservazione dei monumenti.

EUGENE EMMANUEL VIOLLET-LE-DUC (1814-1879)

Per descrivere il pensiero di Viollet-le-Duc nel corso della sua lunga carriera basta estrapolare

dell’architettura francese.

alcune affermazioni dalla voce <<Restauro>> del suo celebre Dizionario

Scrive Viollet: <<restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o rifarlo, è ripristinarlo in

uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo>>.

Alla fine della voce afferma: <<decidere una disposizione a priori, senza essere confortato da tutte

le informazioni necessarie, significa cadere nell’ipotetico, e niente è più pericolo dell’ipotesi nei

lavori di restauro>>.

L’attività operativa di Viollet nel corso della sua esperienza non è lineare, ma ricco di spunti diversi

e frastagliato. Quello del rapporto tra teoria e prassi è uno dei motivi conduttori di tutta la

riflessione su restauro.

L’opera di Viollet-le-Duc è segnata dall’opposizione esercitata da circoli intellettuali o singoli

personaggi che in più occasioni muovono critiche al suo operato. Critiche che affondano le proprie

radici anche su temi di ordine politico o amministrativo, su polemiche intorno alla natura del gotico

e al suo ruolo nel XIX secolo, ai doveri dell’architetto e ai suoi percorsi di formazione.

La voce <<Restauro>> contiene una lezione di metodo derivante in gran parte dalle esperienze

progettuali e di cantiere condotte da Viollet fino al 1866. La voce è relativa ai problemi da

affrontare e ai modi con cui affrontarli, tenendo ben presente che: <<in questa materia i principi

assoluti possono condurre all’assurdo>>, invitando ad agire <<in funzione delle circostanze

E’ nello spirito critico e analitico che riconosce la vera chiave di volta alla quale

particolari>>.

affida il merito di aver prodotto un radicale cambiamento nel modo di intendere il restauro. Su

questo spirito egli fonda la consapevolezza che lo porta ad affermare che <<nessuna civiltà, nessun

popolo, nei tempi passati, ha inteso dare dei restauri come li intendiamo oggi>>.

L’architetto che progetta e dirige un lavoro di restauro, scrive Viollet-le-Duc <<deve agire come il

chirurgo accorto ed esperto, che tocca un organo solo dopo aver acquisito una completa

conoscenza della sua funzione ed aver previsto le conseguenze immediate o future dell’operazione.

Se agisce affidandosi al caso, è meglio che si astenga. E’ meglio lasciar morire il malato piuttosto

che ucciderlo>>. Questo tema accomuna Viollet ad un suo grande contemporaneo, John Ruskin.

Per entrambi arriva un momento in cui è preferibile la fine di un’architettura piuttosto l’invadenza

degli interventi. Per Viollet, però, la fine deve avvenire quando sia impossibile un rafforzamento

chirurgico, mentre per Ruskin, la cura può essere legittima quando non alteri il naturale degrado

dell’oggetto. Entrambi sostengono la necessità di privilegiare la conservazione.

egli afferma che <<prima di essere archeologo, l’architetto incaricato di

Tornando a Viollet-le-Duc,

un restauro deve essere costruttore abile ed esperto>>, deve conoscere i processi costruttivi adottati

nelle varie epoche e nel presente. Pertanto loda il modello di insegnamento italiano che non scinde i

restauratori dai costruttori di edifici.

Opere. Tra i tanti restauri che Viollet ha progettato e realizzato quello per la Madeleine di Vazelay

ha un particolare rilievo per il lavoro in sé e per il ruolo che ha esercitato nella sua formazione. Un

impegno che egli assume giovanissimo, nel 1840, a soli ventisei anni, e lascia dopo diciannove anni

di lavoro quando restano da eseguire solo le opere di completamento.

Il restauro che consacra la fama di Viollet-le-Duc è quello della cattedrale di Notre Dame a Parigi,

progetto che redige nel 1843 in collaborazione con Jean Beptiste Lassus. Il cantiere di Notre Dame

può essere assunto come il suo momento di passaggio da un atteggiamento più prudente e

conservativo a uno caratterizzato dalla volontà di reintegrare e ripristinare il monumento il

monumento per restituirgli il suo aspetto originario. Un ruolo importante lo ha giocato la

responsabilità e la fierezza di operare in uno dei monumenti più rappresentativi della Francia,

situato nel cuore della capitale. Gli interventi di ripristino riguardarono le guglie laterali e quella

all’incrocio tra navata e transetto (distrutta nel 1792), oltre che elementi scultorei fondamentali.

RASTAURO O ABBELLIMENTO? L’ATTIVITA’ DI FEDERICO TRAVAGLINI

Federico Travaglini è figura di ingegnere-architetto-restauratore che rappresenta perfettamente la

cultura ufficiale dei governanti a Napoli, siano essi Borbone o Savoia.

Il primo provvedimento di salvaguardia dei monumenti nella Napoli postunitaria è la creazione nel

1874 della Commissione municipale per la conservazione dei monumenti, di cui fa parte Travaglini,

che ha il compito di vigilare sui monumenti di proprietà comunale, mentre quelli demaniali

vengono tutelati da una Commissione provinciale.

L’influenza sulla scuola napoletana. Prime codifiche di <<Restauro>>

L’attività ufficiale del Travaglini come docente presso la Scuola di ponti e strade, gli permette di

influire in modo determinante su intere generazioni di tecnici impegnati nel restauro del patrimonio

storico-artistico. Travaglini rappresenta il primo intellettuale-artista-professionista napoletano che

dedica larga parte della sua attività al restauro degli edifici, ponendo la questione in modo

autonomo rispetto a quella della progettazione del nuovo.

Dalla lettura dei suoi scritti teorici e dalle relazioni di progetto, egli appare un tipico sostenitore

delle teorie di Viollet-le-Duc. Travaglini afferma: <<il restauro degli antichi edifici, se da valenti

artisti costruiti, richiede per buona regola che le antiche forme, dalle ingiurie del tempo deturpate,

E’ ragionevole credere che egli conosca le idee sul

ritornino convenevolmente al primo decoro>>.

restauro di Viollet. Dalla scuola francese Travaglini mutua certamente l’attenzione al Medioevo e

all’architettura gotica, con le suggestioni della moda neogotica giunta a Napoli con qualche ritardo

dall’Inghilterra.

In Travaglini è presente un modo di progettare <<attento ai modi del passato>>. Il codice gotico

viene rivalutato in Italia, in particolare sulle fabbriche religiose: questo perché il gotico è ritenuto lo

stile più adatto alle chiese da tutta la critica ottocentesca.

Il restauro è possibile solo se si possiede una conoscenza approfondita non solo delle forme, ma

anche delle tecniche costruttive antiche. Sia per Travaglini che per Viollet l’interesse al passato è

funzionale al presente, ma mentre il primo da architetto eclettico è interessato alla storia solo come

campionario di stili e di forme da cui attingere, il secondo è interessato anche all’iter storico che ha

generato quelle forme.

Travaglini s’accosta al restauro quando gli viene commissionato dai frati domenicani quello

Opere.

che rimarrà il suo intervento più famoso: il restauro di San Domenico maggiore a Napoli (1850).

Egli si avvia al programma con lo scopo di sostituire le forme e gli ornati della decadenza con il

primitivo carattere della costruzione. L’intervento consisteva in quattro operazioni: riduzione alla

maniera gotica dei finestroni che avevano assunto forma rettangolare; adozione di ornati

corrispondenti allo stile del tempo; spostamenti ed eliminazione di alcuni monumenti; creazione di

vetrate colorate per le nuove aperture gotiche.

Altra tappa importante è il restauro della chiesa di San Francesco a Cava dei Tirreni (1858-1864).

afferma la necessità di un restauro per riparare i danni e riproporre, dove mancanti, le

L’architetto restauro dell’arco

antiche decorazioni. Il di Alfonso II in Castelnuovo a Napoli fu iniziato nel 1852

e ripreso trent’anni dopo. Quello che Travaglini vuole fare è: reintegrare le p

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A.A. 2014-2015
21 pagine
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SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/19 Restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher conoscenza90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Restauro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università della Sicilia Centrale "KORE" di Enna o del prof Versaci Antonella.