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CAP V_ SCELTE DI FINE VITA
1.premessa
Riguardo al dibattito intorno alle scelte di fina vita sono soprattutto in gioco il valore della persona
con i suoi diritti fondamentali, il valore della vita e della sua integrità, il valore dell’autonomia del
medico, i valori fatti propri e sentiti dalla società.
Il dibattito sull’eutanasia si traduce in un confronto multidisciplinare su problematiche morali,
mediche, giuridiche, sociologiche ed economiche.
La morte per ora è rimessa al morente che diventa protagonista del suo congedo dal mondo: questo
è forse uno dei primi contesti in cui va collocata l’eutanasia,termine con il quale generalmente si
intende: un comportamento attivo od omissivo da parte di un terzo finalizzato ad una morte
indolore di un paziente affetto da grave malattia irreversibile, senza speranza di vita e con
insopportabili sofferenze o incapace ci condurre una vita dignitosa.
Tale pratica comprende anche il suicidio assistito che si ha quanto è il malato che compie l’ultimo
atto che provoca la morte ma con la determinante collaborazione e assistenza del terzo.
Una seconda situazione è data dal rifiuto consapevole totale o parziale a trattamenti sanitari
manifestato da un paziente informato e pienamente capace di intendere e volere, rivolto al medico o
equipe medica sotto la cui responsabilità il trattamento dovrebbe essere svolto o è in atto.
Non è questa una richiesta volta a anticipare la morte ma a raggiungere una morta naturale
rifiutando di proseguire una vita il più delle volte artificiale e meccanica.
È possibile che il paziente sia autonomo e quindi in grado di sottrarsi autonomamente al trattamento
medico, oppure in stato di dipendenza cosi che si richieda l’intervento di un medico attraverso un
comportamento che potrà essere attivo o omissivo .
All’interno di queste situazioni è possibile trovare un consenso espresso consapevole del paziente e
contestuale oppure un consenso anticipato e presunto del paziente che non è più in grado di
intendere e volere : in questa seconda ipotesi, al fine di ricostruire la volontà del paziente in merito ,
ha un peso la presenza delle cd. Dichiarazioni anticipate di trattamento o testamento biologico o
living will con la figura del curatore o del fiduciario.
Certamente la definizione sottolinea una differenza tra comportamento attivo e comportamento omissivo :
l’affermazione secondo cui non vi è differenza morale significativa fra il somministrare la dose letale e il non
avviare o interrompere le misure di sostegno vitale, incontra poche opposizioni fra gli studiosi di bioetica ma
d’altronde, se si guarda al risultato finale, non vi è proprio alcuna differenza. Anche se si guarda al
comportamento è difficile cogliere una qualche differenza essenziale: è certamente attivo od omissivo
mediante azione il comportamento di chi stacca il respiratore, proprio come il comportamento di chi
somministra la dose letale e sarebbe dunque inevitabile concludere che nell’uno e nell’altro caso si
tratterebbe di un’attiva causazione della morte. Rachels : sostiene
l’equivalenza tra uccidere e lasciar morire .
Tuttavia la differenza permane.
La somministrazione,l’omissione, l’interruzione appaiono al senso comune più o meno partecipativi alle
scelte di fine vita.
Le difficoltà su questa tematica sono date dal fatto che la morte voluta dallo stesso soggetto malato rispetto
alla quale l’autore medico o terzo è coinvolto ,sembra intaccare uno dei principi fondamentali delle nostre
civiltà occidentali riassumibile nel valore di intangibile della vita e del divieto di uccidere.
Differenziare allora l’eutanasia attiva da quella passiva può indurre a ritenere il problema di più facile
approccio e con conseguenze meno traumatiche : in questa fattispecie comunque non si tratterebbe di porre
in essere un’attiva causazione della morte ma di restituire al malato le condizioni per un processo del morire
maggiormente consono alla sua dignità personale; si tratterebbe dunque di rispettare il rifiuto consapevole e
informato del paziente al trattamento medico anche salvavita e il paziente non è tenuto a dare giustificazioni
in proposito.
Il paziente non rifiuta la cura del medico , anzi la richiede, nel momento stesso che a lui chiede la
sospensione nel modo più indolore del sostegno vitale : ciò che il paziente rifiuta è proprio quel terzo che è
intervenuto nella relazione di cura prendendo il sopravvento.
La distinzione tra lasciar morire e provocare la morte sta alla base di legislazioni di diversi Paesi che hanno
ritenuto opportuno legittimare tutti quei comportamenti del medico che richiesti dalla volontà consapevole
del paziente , possono tradursi in via esemplificativa nella rinuncia a mettere in atto provvedimento
assistenziali necessari al mantenimento in vita , all’interruzione di tali provvedimenti, nella
somministrazione di sostanze palliative : ne consegue che solo l’eutanasia attiva è vietata e la configurabilità
del reato è strettamente legata all’esistenza o meno di motivi egoistici da parte di chi si presta all’aiuto.
Le scelte di eutanasia attiva facilmente riconoscibili, quelle passive invece presentano molte incertezze data
la difficoltà di distinguere tra corso della natura e conseguenza dell’intervento medico, tanto più che norme
giuridiche e deontologiche sanciscono il divieto di accanimento terapeutico, l’insistere cioè con trattamenti
di sostegno vitale che appaiono sproporzionati ; di contro si consente però l’ampio utilizzo delle cure
palliative e della terapia del dolore che si traducono spesso in una forte riduzione delle capacità vitali .
tutto ciò attribuisce ora al paziente ora al medico poteri decisionali che possono implicare l’anticipazione
dell’evento morte.
Risulta poi consistente e motivata quella scuola di pensiero che insiste sulla necessità sociale e giuridica di
ricomprendere il comportamento attivo e passivo nell’eutanasia .
Reichlin: la proibizione legale dell’eutanasia attiva e passiva è l’unica garanzia per evitare che ciò si
trasformi in pratiche di non collaborazione medica e abusi vari .
si evidenzia dunque il pericolo che passi l’idea che in tal modo si possa arrivare a riconoscere anche la
legittimità del togliere la vita senza esplicita richiesta ma non mancano critiche a queste argomentazioni.
Demetrio Neri attento studioso prendendo spunto dalla legge sull’eutanasia approvata in Olanda precisa che
ci deve essere si convinzione del medico sul fatto che l’eutanasia è la sola accettabile via per eliminare le
sofferenze ma è indispensabile e premessa fondamentale la richiesta consapevole del paziente_ senza
richiesta è omidicio.
2.il dibattito culturale nell’area religiosa e in quella laica
Oggi non è corretto limitare in astratto l’indagine all’eutanasia attiva e passiva, perché occorre parlare di
dignità e qualità della vita, di autodeterminazione, consenso informato, cure palliative, accanimento
terapeutico, costi economici, rifiuto sociale della morte.
Ci si chiede perché tanta incertezza e dubbi intorno alla tematica della morte assistita e una risposta potrebbe
essere che è incerto proprio il nostro concetto di vita oscillante tra la vita materiale dell’organismo e quella
personalizzata dell’individuo. Viene
inoltre invocato il concetto di dignità della vita per vietare , prescrivere o permettere certi atti in virtù di ciò
che essi effettivamente sono : in una versione restrittiva esso vieta l’eutanasia in ogni sua forma perché chi
la chiede e la subisce e che accetta di compierla fanno della loro umanità un semplice mezzo per realizzare
un fine.
In una versione permissiva tale concetto legittima anche l’eutanasia volontaria.
3.la vita come bene indisponibile
Vita come valore indisponibile e incommensurabile , valore non determinato e indeterminabile.
È possibile evidenziare almeno due linee argomentative a sostegno dell’indisponibilità della vita umana con
riferimento alla natura e a Dio.
Linea 1: si sviluppa in ambito filosofico e laico, si ragiona come se dio non fosse e parte dalla considerazione
della vita umana come un bene in se per se dall’inizio alla fine in quanto manifestazione ella natura umana
razionale.
Ogni uomo rappresenta un progetto biologico naturale o politico sociale indispensabile per l’esistenza e lo
sviluppo della stessa società civile.
Non è la dignità a costituire la ragione della vita ma la vita umana a contenere in se in ogni circostanza la
propria dignità ; a questa posizione si avvicinano quelle correnti di pensiero che hanno fondato la loro
contrarietà all’eutanasia in qualunque forma in nome della tutela della comunità intesa come società e come
elemento costitutivo della loro stessa identità.
Anche se non esiste un obbligo giuridico a curarsi sussiste sempre un dovere morale del paziente di
salvaguardare la vita : in tal modo il dovere nei confronti della propria salute ha una rilevanza sociale e
l’unica ragione che giustifichi la rinuncia alle terapie è che queste si traducano in forme di accanimento
clinico.
Secondo questa corrente di pensiero la depenalizzazione dell’eutanasia avrebbe conseguenze moralmente e
socialmente problematiche : indebolimento a fornire cure adeguate ai morenti, pressione su paziente ,piano
inclinato verso l’eutanasia non volontaria dei pazienti incompetenti e indebolimento del divieto generale di
omicidio.
Queste critiche conducono a ritenere l’eutanasia come una vicenda antirelazionale e conseguentemente
antigiuridica dato che in queste situazioni è facile riscontrare posizioni non paritarie di mancata debolezza.
Linea 2: si sviluppa in ambito teologico e considera la vita sacra in quanto creata da Dio; questa posizione ha
trovato la sua massima espressione nella tradizione morale giudaico cristiana ed è quella più volte ribadita
dalla Chiesa cattolica .
Nella Dichiarazione sull’eutanasia è forte il richiamo religioso e razionale della vita umana dal suo inizio alla
sua fine naturale _eutanasia come violazione della legge divina e crimine contro la vita.
Il cd principio di autonomia invocato nelle scelte di fine vita è ritenuto strumento per esasperare il concetto di
libertà individuale spingendolo al di la dei suoi confini razionali e non può certo essere per la Chiesa una
giustificazione per la soppressione della vita altrui in quanto l’autonomia personale ha come presupposto
l’essere vivi, la vita è stata ricevuta in dono e quindi l’uomo non può essere padrone assoluto.
Si propugnano