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Parlamento Europeo chiede al Consiglio dell'Unione europea di consentire l'accesso ai finanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali derivanti da embrioni

Il Parlamento Europeo ha chiesto al Consiglio dell'Unione europea di consentire l'accesso ai finanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali derivanti da embrioni formati durante il corso di procedure di fecondazione in vitro e non più utilizzate per il trasferimento in utero. In Italia, la recente legislazione sulla PMA vieta qualsiasi forma di ricerca sugli embrioni e di conseguenza sulle cellule staminali da essi derivanti.

La Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina prevede, in merito alla sperimentazione sugli embrioni, che laddove la legge consenta la ricerca venga assicurata un'adeguata tutela dell'embrione, proibendo comunque la produzione di embrioni umani a scopo di ricerca.

Il principio che gli Stati europei possono darsi leggi che autorizzano la sperimentazione sugli embrioni, il fatto che si consenta Stati che hanno già leggi di questo genere (come l'Olanda) di derogare dall'indirizzo dato dalla Convenzione.

hanno fatto ritenere che da parte del Consiglio d'Europa non vi sia un atteggiamento di chiusura nei confronti della ricerca su cellule staminali ed embrionali.

Tanto più che la stessa Convenzione affronta implicitamente la questione della ricerca ed afferma che ciò è possibile solo per scopi medici.

La Commissione di studio sull'utilizzo di cellule staminali per finalità terapeutiche, ha mosso dalla constatazione che in Italia esiste un elevato numero di embrioni soprannumerari, formati nel contesto di un progetto procreativo, ma che non sono più destinati all'impianto.

"Destinare una parte di questi embrioni alla ricerca, traendo benefici per l'umanità, non comporta una concezione strumentale dell'embrione né costituisce un atto di mancanza di rispetto della vita umana se si considera che l'alternativa è lasciar perire questi embrioni".

È possibile parlare di conflitto, fra i doveri.

Verso gli embrioni e quelli verso gli altri esseri umani, ma i primi nella fattispecie sopra descritta assumono un valore relativo, perché si attenuerebbe il danno dell'inevitabile distruzione, dando ad essa un senso socialmente utile. Tale opzione trova sostegno nel principio di beneficienza, comune alle principali dottrine morali. Anche la Chiesa considera la possibilità che la vita venga tolta per atto dell'uomo, ma allora questa possibilità non potrebbe essere concessa a quel migliaio di embrioni utili ora per curare e salvare altre vite umane. Inoltre, il dovere di solidarietà conduce alla donazione degli organi ex mortu che la stessa dottrina cattolica considera come un gesto di vero amore umano. Tuttavia, per rendere lecito questo atto, essa ha dovuto affrontare il problema dell'accertamento della morte. La cessazione totale e irreversibile di ogni attività encefalica, non viene ritenuta in contrasto con gli elementi essenziali di una.

corretta concezione antropologica; la contraddizione affiora per chi avalla come lecita questa posizione, ma sostiene al contempo che la vita umana nasce prima della fase embrionale in cui si forma il sistema nervoso, ma afferma che esso sia comunque ultimo. Questa assenza di simmetria potrebbe trovare una sua giustificazione nel fatto che il de-cerebrato è fortemente simile al non ancora cerebrato, ma non identico perché il secondo è destinato a dotarsene. Ma il pre-embrione crioconservato, non destinato all'impianto, diviene identico alla persona de-cerebrata perché non sarà mai cerebrato. Allora perché una cosa è lecita e l'altra no? Se le ragioni fin qui poste spingono verso posizioni di compromesso che non qualificano l'embrione come persona, ciò non significa disconoscere la sua natura di potenziale essere umano. L'embrione resta un progetto di vita umana al quale l'ordinamento giuridico è tenuto

A garantire le condizioni più favorevoli allo sviluppo e alla nascita. In verità la sperimentazione sull'embrione costituisce un esempio tipico in cui si intrecciano i concetti di trattamento strettamente terapeutico e di ricerca non terapeutica. In un contesto terapeutico i medici non possono che esaminare gli embrioni per preservarli in vitro in revisione di un trasferimento ulteriore, e per migliorare il metodo di trasferimento. In un contesto non terapeutico un ricercatore può effettuare ricerche a titolo sperimentale anch'esse per migliorare la salute in generale. Da un lato si desidera arricchire le conoscenze scientifiche per una salute il più possibile perfetta; dall'altro la ricerca ha posto prospettive che superano la riproduzione naturale. La minaccia più grave proviene dalla manipolazione genetica che può dare vita a nuove forme di esistenza umana. Il punto di vista che la sperimentazione sull'embrione debba essere

permessa è collegata al fatto che le persone si concedano alla sperimentazione, decisione che l'embrione non può prendere; il punto di vista che l'embrione non merita lo stesso grado di tutela che viene assicurata alla persona vivente, non esclude che questo necessiti rispetto che si ottiene imponendo l'obbligo di proteggerlo. La ricerca sull'embrione è uno dei conflitti più spinosi che la legge è chiamata ad arbitrare, tanto che è difficile ancor'oggi raggiungere delle soluzioni unanimi. Risulta comunque sempre più evidente la necessità di una legge mirata ad evitare le ricerche atte a modificare il genoma umano, e ritenute ingiustificate scientificamente e condannabili moralmente. Le ragioni di questi divieti assoluti sono la salvaguardia della dignità umana e della specie umana.

5. Il diritto di autodeterminazione

L'etica e la legittimità di una ricerca scientifica che si traducano nella

sperimentazione sull'uomo, devono pretendere da quest'ultimo un consenso consapevole e libero. La Dichiarazione di Helsinki precisa che è indispensabile per il paziente essere informato sugli obiettivi, i metodi e i benefici previsti, così come dei rischi potenziali della ricerca o dei disagi che ne possono derivare. Le direttive riprendono questa formula aggiungendo che il consenso costituisce una salvaguardia imperativa e dovrà sempre essere accompagnata da un esame etico. L'esame diviene obbligatorio in caso di persone incapaci di dare un consenso adeguato per motivi diversi. Il consenso libero è poi il completamento del consenso consapevole. Per libertà di acconsentire si intende la possibilità del paziente di sottomettersi volontariamente alla sperimentazione, e la facoltà di ritirarsi in qualsiasi momento, tale consenso deve ovviamente essere ottenuto senza condizionamenti del paziente. Nel prevedere una regolamentazione del consenso,Si deve considerare come il diritto non solo debba tutelare i più deboli, ma anche garantirsi dagli "eroi" intenzionati a sacrificare la loro vita. Più recente il principio del consenso informato alla sperimentazione è stato riproposto in una formulazione più ampia in modo da includere informazioni sulla natura della ricerca, sull'investimento di risorse, sulla valutazione dell'utilità sociale e sull'accesso ai risultati ottenuti. Nella realtà è facile constatare come siano numerose le strutture ospedaliere che già portano avanti questo ragionamento. Una tale socializzazione della ricerca va vista con le dovute cautele: certamente non si può consentire che venga accantonata l'esigenza del consenso, ne consegue che il principio di solidarietà deve risultare fondato su un connubio di libertà e di coercizione realizzato imponendo a tutti doveri personali e patrimoniali di prestazione.Se dunque è questo il principio di solidarietà si deve escludere che esso possa essere tradotto in meccanismi di genere autoritativo e coercitivo. I requisiti della volontà assumono poi tutta la loro valenza qualora gli eventuali soggetti si trovino in una situazione di incapacità fisica o mentale. Alcuni sostengono che l'autorizzazione di colui che esercita la potestà sul minore non è sufficiente: i genitori hanno diritto di dare il consenso al posto del figlio, ma solo se si tratta di iniziative che portano all'immediato utile di quest'ultimo. Altri sono dell'idea di permettere la sperimentazione previo consenso del genitore in nome dell'utile sociale generale ma a condizione che l'esperimento non possa essere condotto su un adulto e che il rischio sia minimo. Per il maggiorenne incapace, l'opinione generale è che la sperimentazione non terapeutica debba essere esclusa in ogni caso. Ma le opinionitornano adivergere quando ci si domanda se l'autorizzazione del suo rappresentante legale si eticamente e giuridicamente legittima. Ai contrari si contrappongono coloro che argomentano in favore della sualiceità a condizione che la sperimentazione abbia bisogno di quel genere di malato e non possa essere fatta su di una persona sana con gli stessi risultati. Un altro pericolo di tipo etico riguarda il fatto che sottoporsi alla sperimentazione non è gratuito, fattore che potrebbe indurre individui con problemi economici a donare il corpo alla scienza. Il principio della gratuità merita dunque qualche ulteriore osservazione. Il principio della gratuità se esclude qualunque remunerazione, non impedisce la previsione di un indennizzo, tenuto conto dei diversi disagi affrontati dal soggetto in esperimento. Un risarcimento forfettario e un limite del numero annuale di sperimentazione a cui può partecipare lo stesso soggetto, sono criteri per evitare che ilrisarcimento diventi un mezzo di sostentamento. Ovviamente chi si oppone alla sperimentazione a pagamento si richiama alla tutela della centralità e unitarietà della persona e alla tutela alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Inoltre enfatizza il rischio di trasformarsi in una tentazione economica per le classi più povere che potrebbero subire forti condizionamenti. Ma anche queste critiche spesso sono socialmente ed eticamente confutate. Harris sostiene che la moralità rientra nel mercato solo nella misura in cui la reale sproporzione di forze fra acquirente e venditore siano tali da ledere gli interessi fondamentali dei cittadini. In base a questo ragionare il corpo viene ritenuto un oggetto di cui è lecito disporre in tutti i modi che non siano lesivi degli interessi altrui. 6. La gestione del rischio La gestione del rischio prende in considerazione la presenza di limiti derivanti dai rischi cheIl soggetto corre per la sua integrità fisica attuale e futura. Si tratta di individuare e di sanzionare quirischi che è vietato correre qualunque siano i vantaggi. Il fondamento di questo divieto è facile individuarlo quando si tratta d
Dettagli
Publisher
A.A. 2008-2009
36 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher niobe di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria o del prof Neri Demetrio.