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CAPITOLO II
Verso una definizione
Ammesso che il processo sia un gioco, bisogna chiedersi che tipo di gioco sia. Innanzitutto bisogna
indicare le 4 categorie fondamentali di attività:
dominante è la competizione con un avversario, svolta su un terreno
A. AGONE>>l’elemento
comune per l’affermazione della supremazia dell’uno sull’altro. L’aspetto qualificante di
è quello della sfida e del confronto regolato. Senza regole l’agone,
questo gruppo di giochi
infatti, non potrebbe essere percepito come gioco.
ALEA>>attività nelle quali domina l’elemento dell’imponderabilità. Attività in cui l’esito è
B. affidato al caso, attività in cui, come nel gioco dei dadi, domina l’elemento del rischio. In
gioca per sé scommettendo sull’esito dell’azione.
esse ognuno caratterizzati dall’assunzione
C. RAPPRESENTAZIONE/GIOCHI DI MIMETISMO>>Sono
di un ruolo e di tutto ciò che da esso dipende.
D. GIOCHI IN CUI DOMINA LA VERTIGINE>>Tutte quelle attività che destabilizzano la
individuale, privandola dell’equilibrio e dunque smarrendola.
soggettività
Come gioco, il processo partecipa di tutti questi aspetti, o con molti di essi. Tuttavia il paradigma
è sicuramente l’agone,
principale per comprendere il processo come gioco ma è interessante notare
come anche nelle altre modalità di gioco possono trovarsi elementi tipici del processo:
Relazione con gli ALEA:
il processo affidando la risoluzione della controversia ad un
giudice, si pensi che abbia ben poco di aleatorio; ma volgendo lo sguardo verso procedure
più arcaiche, ci si può accorgere di come il giudizio venisse lasciato al caso: ad es. il sistema
delle prove irrazionali, in cui l’esito della controversia può essere legato al verificarsi di un
fatto naturale imprevedibile e assolutamente casuale.
Relazione con MIMESI:
Il processo ha molto in comune con le rappresentazioni e
l’azione mimetica: uno dei modi più semplici, infatti, per descrivere il processo è quello di
farlo con i termini dell’azione teatrale, ossia un insieme di attori che, in un luogo
spazialmente e temporalmente definito, si affrontano verbalmente. Inoltre nel loro agire
seguono un rituale ben definito, una sorta di copione per un conflitto, come in una tragedia.
Tutto ciò porta il processo ad essere non una finzione, ma rappresentazione, il cui oggetto
primario è la giustizia. Con il processo, però, non è che si fa giustizia ma quantomeno la si
rappresenta. CAPITOLO III
Il processo come lotta all’AGONE,
Resta da vedere se sia possibile la riconduzione del processo se la juris-dictio (ovvero
che “si dica il diritto”) sia compatibile con una struttura agonica tale da permettere di assegnare la
vittoria o la sconfitta sul piano del diritto:
Se si afferma che il processo viene portato avanti dai litiganti come una lotta per la vittoria
o che è una lotta regolata da certe procedure, si ammette la compatibilità tra la struttura del
e della contesta da un lato, con la possibilità di un’effettiva giurisdizione dall’altro.
gioco
dire che l’AGONE
Più interessante, invece, sarebbe possa costituire la soluzione giuridica di
un conflitto e che “lo sia proprio il duello, la
strumento più adatto per la ricerca del giusto”
gara.
Tuttavia nel processo, in questa lotta tra le parti, il giudice è arbitro estraneo alla contesa; è un
soggetto passivo:
Osserva le mosse dei contendenti
Tutela la correttezza del gioco
Impedisce alle parti in gara (in causa) di compiere mosse irregolari
La sua passività, ovviamente, garantisce anche la sua imparzialità: il giudice infatti è terzo perché
equidistante. Egli, infatti, non aiuta o svantaggia nessuno e lascia alle parti la più completa libertà di
adottare la tattica che ritengono più conveniente per assicurarsi la vittoria.
In questa prospettiva, vari aspetti del processo vanno considerati significativi:
Le norme che vincolano la decisione del giudice ad “alligata permettono ad
et probata”,
ogni parte di essere “faber suae quisque fortunae”
Poiché si gioca per la vittoria, e non per la giustizia, ognuno sarà libero di falsificare le
proprie ragioni.
Il fatto che le difese siano affidate a dei professionisti è indicativo della natura agonica del
procedimento, in quanto la figura del professionista, ossia l’avvocato:
Garantisce al cliente la scelta per la miglior tattica;
Garantisce che la contesa si svolga secondo le regole del gioco (in questo caso
giuridiche) CAPITOLO IV
Il processo come rappresentazione
Una seconda struttura ludica è quella RAPPRESENTATIVA o MIMETICA. Bisogna verificare,
affinché sia chiara la visione del processo come RAPPRESENTAZIONE, se il gioco-
RAPPRESENTAZIONE sia non solo vicino sociologicamente al fenomeno processuale ma anche
ontologicamente, ovvero se tali forme rivelino un analogo orizzonte di senso.
non c’è se non all’interno di
Bisogna anzitutto soffermarsi sulla ritualità del processo: processo
determinati rituali, con il rispetto di certe forme e ruoli stabiliti, e ciò è anche confermato
linguisticamente dal fatto che la procedura stessa è poi di fatto indicata con il termine rito. Il fatto è
che nel quadro di questo rituale, alcuni aspetti del processo possono apparire come aspetti di una
RAPPRESENTAZIONE: ciò avvicinerebbe dunque il processo al teatro.
Del resto molti sono gli elementi in favore di tale impostazione:
separazione dello spazio giudiziario:
come il palcoscenico per gli attori, l’azione
La
giudiziaria ha luogo in uno spazio determinato, chiuso e identificabile. Lo spazio del
processo, inoltre, è tipicamente:
a) Chiuso, in quanto fisicamente delimitato
b) Sacro, in quanto si celebra la giustizia
c) Simbolico, in quanto al suo interno ci si riorganizza e si ordina il mondo secondo
significati specifici. di tempo e luogo:
Vige la regola classica dell’unità il processo si svolge in un arco di
tempo ben definito, in un determinato luogo (aula di udienza) e ruota su una determinata
vicenda. maschere o costumi di scena,
Sono presenti anche delle ossia le toghe, i mantelli o i
copricapi. Essi sono i mezzi con i quali l’attore lascia la propria identità ed assume quella
che gli spetta nella RAPPRESENTAZIONE. La divisa, perciò, permette di agire in
rappresentanza di qualcuno e conseguentemente è come se si recitasse.
interpretazione
Ma cosa si recita?? Secondo una prima (piuttosto banale), ognuno recita la
Secondo un’altra interpretazione,
propria parte (avvocati, giudice, parti etc.). invece, si
mette in scena una rappresentazione della giustizia che troverebbe una sua personificazione nei
giudici stessi. Dunque, in base a ciò, la giustizia la si recita soltanto, la si imita al massimo.
CAPITOLO V
Processo, gioco e correttezza
Tradizionalmente al gioco veniva assegnata:
mimetico-pedagogica.
Una finalità In questa prospettiva il gioco ha la funzione di esercizio e
allenamento e raggiunge il suo scopo attraverso la mimesi del comportamento finale. Si
rappresenta perciò l’azione fuori dal naturale contesto di serietà e la si colloca in un contesto
anestetizzato (es. usanza spartana di prepararsi alla guerra mediante giochi militari).
deflattiva,
Una finalità di distensione e rallentamento per divertire.
Tuttavia, giacché nessuna di queste 2 definizioni rende ragione del gioco, sembra opportuno un
approccio che illustri la struttura del gioco e chiarisca quali possano essere i connotati di una
relazione ludica.
integrativo-inclusivo formalizzato,
La relazione ludica è una relazione dall’esito ovvero:
Ω Chiunque di principio può giocare, basta che abbia interesse a giocare. Il gioco è
pertanto una dinamica relazionale non necessaria, e di conseguenza implica che il
gioco non ha come finalità che il gioco stesso.
Ω Il gioco è una dinamica del tutto autoreferenziale, non mediata altro che dal gioco
stesso: non servendo il gioco a null’altro che alla sua esistenza, tutto ciò che il
giocatore deve fare è agire ludicamente, in conformità a quanto richiesto dal gioco.
Ω Nei giochi tipicamente non si parla, perché la comunicazione non è funzionale al
gioco stesso. In alcuni giochi (es, indovinelli o giochi di parole) è richiesto che i
giocatori parlino tra loro, ma in tali casi il linguaggio è un semplice veicolo
dell’azione ludica e, gioco e linguaggio si identificano.
E’ opportuno sottolineare, tuttavia, alcune differenze tra la relazione ludica e la relazione
processuale:
un movimento di tipo
La relazione processuale, come quella ludica, dà luogo ad
integrativo-inclusivo, presentando però caratteri particolari.
Ω Infatti se nel gioco si dice che chiunque può di principio giocare, ciò vale anche per
seppur in senso limitato: l’art.24 afferma che “tutti
il processo Cost. possono agire
in giudizio per la tutela dei loro diritti e interessi legittimi”; ma ciò è vero solo in un
senso molto debole e astratto. In concreto, di fatti, ogni processo si caratterizza per
una relazionalità chiusa, dalla quale gli altri sono esclusi.
Ω Nel processo la relazione può istituirsi solo tra colui che domanda o contro colui
che è identificato nella domanda di tutela giurisdizionale. Non vale, dunque
l’affermazione (valida per la relazione ludica) che è indifferente chi sia l’altro
soggetto coinvolto, poiché si agisce in giudizio per la fiducia nelle possibilità che
questo agire mi permette di raggiungere un fine cui riconnetto un valore e poiché
l’altro può esser solo colui che relazionandosi con me mi permette di raggiungere
questo risultato.
Ω Se è così non vale nemmeno per il processo quanto detto a proposito della
in cui non si parla perché l’altro mi interessa non
comunicazione ludica del gioco,
come persona, ma solo come azione in un contesto. Nel processo, dunque, ciò che
dell’avversario, ma le sue pretese: mi interessa lui,
mi interessa sono non le mosse
non la sua azione.
Se comunque la relazione ludica e quella processuale sono fondamentalmente differenti, c’è un
senso nel quale il processo può essere avvicinato al gioco, e cioè attraverso una visione del gioco
come totalità auto-significante e dotata di un dinamismo che trascende i giocatori, i quali, in