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GIUSTIZIA)

Macioce, in questo saggio, analizza la questione della giustizia e del suo rapporto con il

bisogno umano fondamentale

diritto, evidenziandone la natura di . Nel corso delle

epoche, il pensiero filosofico si è accostato al problema della giustizia secondo diverse

modalità:

Il mondo classico -> il problema della giustizia viene connesso a quello della

- speculazione sulla realtà. In particolare, per i presocratici, il concetto di giustizia

caratterizza come un ordine necessario la realtà tutta; essa è infatti parte del Logos, cui

le azioni umane si rivolgono per conformarsi all’ordine e all’armonia. La giustizia è dunque

principio morale principio cosmico

tanto un (ordinatore delle azioni umane), quanto un

(che detta l’ordine necessario della realtà).

Questo binomio è messo in crisi con l’emersione della sofistica, che dubita del fatto che

l’ordine naturale sia conoscibile e comunicabile, non essendo un valore oggettivo, a

vantaggio dell’ordine imposto dalla legge positiva.

Platone costruisce il ruolo della giustizia fondandolo sulla ragione e sull’armonia. Tanto

armonia tra le parti

nello Stato, quanto nel singolo, la giustizia è (le singole classi sociali

o le parti dell’animo). In entrambi i casi, l’armonia – e dunque la giustizia – si raggiunge

col dominio sulle altre parti della parte razionale (i filosofi nello Stato, l’anima razionale

nel singolo).

Per Aristotele, invece, è necessario spostare la visione della giustizia dall’universale al

particolare. Egli si interroga sulla giustizia intesa come virtù, da praticare e manifestare

nella concretezza dell’azione. La giustizia è dunque la virtù che si dà nella medietà fra

eccessi opposti.

Tale percezione sarà fagocitata anche dal pensiero stoico, ove giustizia è il dominio

della ragione soggettiva sulla vita.

Il mondo medioevale cristiano -> si conserva anche qui l’idea di un ordine del mondo

- esterno all’individuo, cui questo deve conformarsi; tuttavia, la presenza di un Dio

creatore cambia il fondamento su cui appoggia l’idea di giustizia.

Per la patristica, e in particolare per il suo massimo esponente, Sant’Agostino, l’uomo

è dotato della ragione e può con essa scandagliare l’ordine della realtà. Egli tuttavia non

può conoscerlo completamente, poiché è frutto di quell’ordine stesso che cerca

razionalmente di indagare. Solo Dio può comprendere l’ordine e la giustizia, mentre

intelligere

l’uomo vi si può avvicinare – – pur consapevole che la sua comprensione non

sarà mai piena. L’ordine della patristica è ratio vel voluntas Dei.

Il pensiero tomista approfondisce questa speculazione. L’ordine della realtà si fonda

lex aeterna

sulla , che lo plasma, e che è la ragione ordinatrice di Dio. Tale ordine si

lex

manifesta parzialmente anche nell’uomo, sia pure in forme limitate, per mezzo della

naturalis

, ovverosia quella parte dell’ordine della realtà che alla ragione umana è data

lex divina

conoscere, oppure viene rivelato dalla , ed in ogni caso l’azione umana vi si

deve conformare. La legge umana è prodotta in conformità alla legge naturale, mediante

due modi, di deduzione o di determinazione, e la disobbedienza non è ammessa, poiché

essa sarebbe latrice di un disordine ben più grave della contraddizione che combatte.

Il mondo moderno -> alcuni cambiamenti storici di non poco conto determinano il

- passaggio dal pensiero classico/cristiano a quello moderno, dove assume via via sempre

più rilevanza una svolta in senso individualistico del pensiero giuridico e politico. Grozio,

Hobbes, Locke, Rousseau sono tutti autori che danno vita ad un pensiero, quello della

costruisce

scuola del diritto naturale, ove l’idea di giustizia si – e non deriva più a partire

da un ordine naturale, che l’individuo interpreta e cui si conforma – a partire dal soggetto

stesso, in relazione con l’altro (qui la teoria contrattualistica di Grozio).

Bisogna ora approfondire, più che le definizioni di cosa sia giustizia, le caratteristiche che –

fuori d’ogni altra caratterizzazione – sono icone rappresentative dei connotati stessi del

concetto.

La giustizia è anzitutto connotato da relazionalità (nel senso che essa si dà sempre, e

ad alterum

necessariamente, , e non può mai essere fatta da soli o per sé stessi, poiché

agency

implica che vi sia l’altro da me a giudicare); essa è anche inter-attiva, (cioè essa

implica sempre un fare o un non fare umano, mai naturale; non vi è e non può esservi

giustizia nel mondo dei fatti naturali, quelli che accadono per accidentalità o casi fortuiti; si

qualificano nei termini di giustizia o ingiustizia solo i comportamenti dei gruppi sociali e delle

istituzioni, nelle relazioni con l’altro e nell’agire che essi pongono in essere); infine, la

giustizia è legata al concetto di doverosità (è innegabile che essa non si fondi su un mero

atto di generosità, misericordia o carità, e che imponga – laddove un qualcosa sia giusto –

un certo grado di coercizione, che giustifica la pretesa e la generazione di diritti e doveri).

Con riferimento ai contenuti della giustizia, tre sono le grandi prospettive che nel tempo

sono state elaborate.

formale

• L’orientamento , basato sull’individuazione e l’applicazione di principi in modo

totalmente imparziale. È un approccio che elabora ex ante le precondizioni necessarie

affinché le relazioni possano svolgersi nei termini della giustizia, senza tuttavia

intervenire in modo sostanziale in dette relazioni (che dunque si autodeterminano, in

base a fattori accidentali). Epifenomeno di detto orientamento è lo Stato liberale – e più

in generale le teorie liberali – e esponenti ne sono Nozick e von Hayeck. Le dinamiche di

questo approccio richiamano quelle del mercato nel quale, date certe condizioni di

partenza, i rapporti economici si svolgono naturalmente senza altri interventi specifici.

sostanziale

• L’orientamento , basato non più sulle precondizioni necessarie e fissate ex

ante, bensì sul risultato ottenuto tramite l’applicazione di un determinato tipo di diritto.

È dunque un orientamento ex post. Si tratta di una teoria che cerca di individuare nel

concreto, e con specificità, il contenuto dei diritti attribuiti a certi destinatari

(generalmente, le classi più insoddisfatte dall’applicazione formale del diritto). Lo Stato

si fa così garante delle istanze soggettive dei più deboli, e dunque suo epifenomeno è lo

Stato paternalista.

procedurale

• L’orientamento , basato sull’indagine circa le procedure di creazione del

diritto interno dell’ordinamento. L’assunto di base è che esista una «giustizia

procedurale» per cui, data la giustizia di una certa procedura di creazione del diritto, il

carattere del giusto si riflette direttamente anche sul diritto stesso. Questo orientamento

si divide in due filoni ulteriori: criterio procedurale puro (per cui vige la regola già vista

del riflesso della giustizia dal procedimento al frutto di questo) e criterio procedurale

imperfetto (per cui la procedura, sia pure giusta, va integrata con elementi esterni che

ne garantiscono la giustizia del risultato; es. la Corte Costituzionale nel procedimento

legislativo italiano, e moltissime altre [il maggior numero di procedure è infatti

imperfetto]).

Detto orientamento ha come massimi esponenti il neo-contrattualista Rawls e il non-

cognitivista etico Habermas. Il primo ritiene che la giustizia in società si basi su un

contratto sociale fondato su un fittizio «velo di ignoranza», che comporta che gli uomini

non conoscano le proprie condizioni future all’interno dell’ordinamento. Ciò comporta che

essi, per fuggire la diseguaglianza, pongano in essere una egualitaria distribuzione delle

risorse di partenza, creando giustizia.

Il secondo, invece, crede che la procedura adatta per generare la giustizia sia il «discorso

pubblico razionale», una discussione pubblica – necessaria a causa delle plurime

posizioni assiologiche di cui è causa il non-cognitivismo – che dalla conflittualità di tesi

fa sì che emergano valori giusti in modo oggettivo.

È utile distinguere la giustizia dalla validità e dall’effettività della norma, tre criteri tra

essi fortemente distinti e spesso in rapporto. La giustizia attiene alla legittimazione

criteri metagiuridici

esterna del diritto, ossia in rapporto a dei ; diversamente, la

criteri

validità attiene alla legittimazione interna del diritto, ossia in rapporto a dei

intragiuridici . Infine, la valutazione circa l’effettività della norma attiene alla

dimensione della fattualità, e cioè al momento in cui il diritto trova applicazione nelle

corti o è osservato dai consociati. La giustizia si legge in termini assiologici e deontologici;

la validità in termini normativi e fattuali; l’effettività in termini storici e sociologici.

Rispetto a detti criteri, peculiari sono le posizioni assunte da due scuole di pensiero: il

giusnaturalismo, da un lato, ha avuto il merito di appiattire la questione della validità

della norma alla sua giustizia. Per i giusnaturalisti la norma esiste fintantoché è giusta;

è cioè la giustizia, non la validità, il criterio che rende ontologicamente possibile

l’esistenza della norma stessa. Un diritto ingiusto non è infatti diritto, e non deve pertanto

essere obbedito.

Diversamente, il pensiero giuspositivista rende indipendente la giustizia dalla validità,

mirando ad analizzare il diritto – e le sue norme – in modo del tutto avalutativo, con un

metodo avulso da un’analisi dei valori sostanziali di questo. Per il positivismo giuridico,

la scienza del diritto non deve occuparsi che di studiare il suo oggetto d’indagine come

mero fatto, lasciando il giudizio sui valori alla filosofia del diritto o, al più, alla politica.

Tuttavia, in epoca contemporanea, particolarmente rilevanti sono le posizioni assunte

dalla dottrina filosofica del neo-costituzionalismo, di cui esponenti sono Ronald

Dworkin e Robert Alexy, che si presenta come una terza via, che cerca di connettere il

giusnaturalismo e l’antitetico giuspositivismo. Resta dubbio, in molti, che il compito

prefissatosi sia stato realizzato dal neo-costituzionalismo, assunto che esso ha

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Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

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