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MANIFESTAZIONE DEL POSSIBILE.
GENIO E CREAZIONE ARTISTICA – Claudio Rozzoni
CREATIVITÀ = Espressione polisemica che cambia di significato con il corso dei secoli. Si apre un dibattito sulla
questione di considerare la creatività solo nell’ambito artistico o anche in altri ambiti.
GENIO = deriva dal latino “genius”, la cui radice si collega al verbo “gignere” che significa GENERARE: il genio fa
riferimento alla divinità che veglia su un luogo, un popolo o un singolo individuo.
Si possono distinguere tre modelli di creazione:
1) CREAZIONE DIVINA
2) CREAZIONE UMANA
3) CREAZIONE ARTISTICA
Quando si parla di creazione, inoltre, bisogna tener sempre presenti quattro domande:
1) Chi crea?
2) Che cosa viene creato?
3) In nome di chi si crea?
4) Per chi si crea?
Per giustificare l’origine del mondo, esistono due modelli che l’hanno interpretata diversamente:
MODELLO PLATONICO: presentato nel afferma che ci sono due fattori che esistono prima dell’atto
Timeo
della creazione:
• Il DEMIURGO
• La MATERIA
Il Demiurgo dà origine al cosmo a partire dalla contemplazione di idee eterne che si trovano a monte dell’atto
creativo: il creato è per forza bello perchè si ispira a idee perfette.
MODELLO CRISTIANO: contempla la creazione “ex nihilo”, dal nulla, resa possibile attraverso l’opera di Dio.
Nulla esisteva prima della creazione. Questo è un modello di CREAZIONE ATTIVA, dove colui che crea vuole
creare e sa cosa creare.
Si può quindi compiere un parallelo con il genio umano, che crea l’opera imitando un proprio modello mentale.
I Greci distinguevano tra:
- Arte TECHNE
- Poesia POIESIS: considerata solo questa propriamente creativa, anche se non sarebbe molto appropriato
parlare di “creazione ex nihilo” in quanto si avvicinerebbe più a una concezione cristiana e non greco-romana.
Si deve quindi affrontare il problema dell’identità dell’autore, condivisa dai Greci ma non dai cristiani:
Teognide di Megara tra il VII e il VI sec. a.C. voleva salvaguardare la proprietà letteraria delle sue elegie
apponendovi una SPHREGIS, una sorta di sigillo. Questo orgoglio dell’ingegno individuale, questo sentimento
per la paternità dell’opera, sono sconosciuti ai cristiani in quanto per loro il vero e unico creatore è Dio.
Anche la poesia greca si caratterizza per la sua discendenza divina ma ciò non compromette l’emergere
dell’individualità dei poeti: c’è un intreccio di creazione divina e umana. Già con Omero si pone il problema
dell’origine del genio, diviso tra:
ISPIRAZIONE DIVINA, che comporta un momentaneo stato di “uscita da sè” per accedere a una
posizione privilegiata
TALENTO INNATO, che è un dono, un insegnamento divino che si offre all’artista come possesso
permanente.
Esempio perfetto di connubio tra queste due componenti è Pindaro, poeta dotto e ispirato nel quale si realizza una
coalizione tra sapienza tecnica (SOPHIA) e talento naturale (PHYA).
PLATONE cambierà il suo pensiero a proposito della poesia grazie a questa riconsiderazione del valore dell’ispirazione
divina:
- Nella (Libro X) egli condanna la poesia come “copia della copia”.
Repubblica
- Nello invece, egli considera il poeta un “interprete di interprete” ma senza connotati negativi. La poesia
Ione
è animata da un entusiasmo e il poeta cattura l’intero processo della poesia stessa avvicinandosi alla divinità
da cui deriva. È una sorta di trasmissione di potere che si propaga da una fonte. Per bocca del personaggio di
Socrate, Platone afferma che è come se “una pietra, che Euripide chiamò Magnete e i più chiamano Eraclea,
non solo attrae gli anelli di ferro, ma infonde in essi anche un potere tale per cui possono fare la stessa cosa
che fa la pietra, cioè attrarre altri anelli”. Il Magnete coincide con la Musa che, nel momento in cui infonde
ispirazione divina al poeta, lo priva dell’intelletto. Quindi non è per arte che si impara a poetare ma per
ispirazione, e un poeta deve essere “fuori di senno” per essere ispirato: non serve la tecnica ai poeti, in
quanto essi creano opere buono soltanto se non sono più sè stessi. Quindi il poeta è un interprete passivo
del Dio, che può comporre “il canto più bello per mano del poeta peggiore”, proprio per dimostrare che solo
alla sua mano divina si deve la bellezza dell’opera. l’ultimo anello della catena a cui può arrivare l’ispirazione
è lo spettatore.
ARISTOTELE collega la nozione di creatività con quella di PHANTASIA, e cioè l’IMMAGINAZIONE, facoltà
rappresentativa che dipende dalle sensazioni, ed è un potere radicato nella dimensione estetica. Essa entra in gioco:
- Nel poeta EUPHYES: colui che possiede un talento naturale
- Nel poeta MANIKOS: colui che riceve il potere della mania divina
I soggetti che per nautra tendono all’ispirazione poetica sono i MELANCONICI, poichè il loro “animo nero” induce una
sospensione del senno che dà il libero corso alle buone creazioni. Questa idea sarà ripresa da Marsilio Ficino e nel
Cinquecento proprio la figura del rappresenterà uno dei ruoli che l’artista può assumere per
melancholicus
raggiungere una maggiore dignità intellettuale e sociale. Il poeta quindi subisce la forza creativa ed è vittima della
forza naturale. Per Aristotele, inoltre, non è sufficiente essere in preda alla mania divina per creare, ma bisogna
sviluppare una tecnica che accompagni quell’istinto connaturato all’uomo che è l’IMITAZIONE: l’uomo attraverso una
mimesis interpretativa coglie nella natura potenzialità nuove, sempre nel nome del VEROSIMILE, e cioè di ciò che
potrebbe accadere.
Nel Settecento la riflessione sull’artista come interprete giunge a un punto di sviluppo decisivo: per l’illuminismo
l’interprete è colui che a partire dal confronto con la natura illumina nuove porzioni di mondo; l’interprete stesso è
natura e la “forza geniale” che lo guida è una energia sovraindividuale. L’interprete è quindi IMPERSONALE, come
disegna DIDEROT nel L’attore è un anello di trasmissione tra il poeta e il pubblico, è un
Paradosso sull’attore.
mediatore che interviene con un proprio gesto (creatore ma impersonale) ed è un punto di incrocio fra ragione e
Ogni rappresentazione
sensibilità: un attore che nella passività riesce a trovare la possibilità di una risposta attiva.
rinnova la catena energetica in ogni suo anello.
JEAN BAPTISTE DU BOS nelle (1719) afferma che il genio ha un talento
Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura
naturale ricevuto dalla natura ma deve comunque esercitarsi con studio e applicazione per arrivare a delle opere
d’arte che emozionino lo spettatore. Non è la mano divina a guidare l’artista ma una dimensione naturale che fornisce
ad esso una felice disposizione degli organi del cervello.
CHARLES BATTEUX nelle (1746) afferma che il genio, seguendo
Le Belle Arti ricondotte a un unico principio
un’IMITAZIONE PRODUTTIVA, imita la natura non così com’è ma dando un apporto nuovo e personale: il suo scopo è
costituire il gusto dell’uomo di genio. Inoltre, il genio è un’eccezione che non conosce ripetizione ed è alimentato da
un “energia vitale”.
Nell’Encyclopedie del 1757 la voce <<GENIO>> viene definita come una vastità d’intelletto, forza d’immaginazione
(intesa come capacità di cogliere il possibile della natura) e vivacità d’animo. Gli uomini provano sensazioni vivaci
soltanto dalla percezione di oggetti che hanno un rapporto immediato con i loro bisogni. Ma l’uomo di genio riceve
continuamente delle idee dalla natura che suscitano in lui un sentimento: c’è quindi una deviazione dalla regola che
permette la formazione di qualcosa di geniale. Nel genio l’interpretazione diventa espressione e la trasgressione è
necessaria per ottenere una regola nuova e condivisibile.
La riflessione sull’immaginazione viene affrontata in Gran Bretagna da:
- Francesco Bacone nel 1623 con Advancement of Learning
- William Temple nel 1690 con il saggio dove si assiste alla NATURALIZZAZIONE della poesia: non c’è
Of Poetry
ispirazione divina per i poeti ed essi possono contare solo sulla loro immaginazione
- Joseph Addison nel 1712 con la raccolta di saggi intitolata ammette che il poeta con
Pleasures of Imagination
una immaginazione cretiva dà vita a cose e persone mai viste; affronta così i principi di ORIGINALITÀ e
CREATIVITÀ.
- William Sharpe nel 1755 con concepisce una potenzialità vuota che si riempie solo
Dissertation upon Genius
tramite l’esperienza: la natura dà la possibilità a tutti gli uomini di diventare geni con l’esperienza; diverse
esperienze danno vita a diverse forme di genialità.
- Alexander Gerard nel 1774 scrive e afferma che il genio è INVENZIONE, ben distinto dal
Essay on Genius
talento. L’elemento che distingue il genio è un’immaginazione non sregolata. Nella creazione artistica, il
GIUDIZIO svolge una funzione di controllo sulla coerenza dell’invenzione e il GUSTO ne misura la bellezza. C’è
nel modello di Gerard una mediazione tra
Natura a priori
Esperienza a posteriori
L’immaginazione genera idee che hanno un’esistenza indipendente: creare è comporre in modo originale.
Poichè per Gerard l’artista non può creare queste composizioni a proprio piacimento, si apre una discussione
intorno all’involontarietà della creazione stessa.
KANT attribuisce l’esclusiva prerogativa del genio alle BELLE ARTI. Egli definisce “genio” colui che dà la regola all’arte,
e non colui che la segue: non serve seguire delle regole per la creazione artistica ma la natura offre all’uomo la propria
mano. Il genio è in grado di produrre qualcosa che non potrebbe essere prodotto seguendo delle regole, e quindi deve
essere dotato di un’ORIGINALITÀ ESEMPLARE, deve cioè porsi come modello. Con Kant si ha una rottura con la
concezione settecentesca di “genio imitativo”: al genio non è concesso di imitare l’opera di un altro genio ma potrà
soltanto mettersi al servizio della sua originalità esemplare; solo tradendo un genio si piò diventare genio. Il genio non
imita la natura ma si fà strumento attraverso cui essa detta la propria regola e i propri modelli e tu