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XV.
La riproduzione meccanizzata dell’opera d’arte modifica il modo in cui la massa reagisce di fronte all’arte. Da retrograda quale
si mostra, ad esempio, davanti a un Picasso, si trasforma nel più progressista dei pubblici di fronte a un Chaplin.
Più diminuisce l’importanza sociale di un’arte, più si afferma nel pubblico la divergenza tra l’atteggiamento critico e il piacere
puro e semplice. Si gusta acriticamente il convenzionale, si critica con disgusto l’effettivamente nuovo. Non così nel cinema.
Qui la circostanza decisiva, infatti, è questa: le reazioni dei singoli individui, la cui somma costituisce la reazione massiva del
pubblico, in nessun luogo più che al cinema si mostrano determinate dalla loro immanente moltiplicazione.
Il paragone con la pittura si impone qui una volta in più. Un tempo il quadro non poteva che offrirsi alla contemplazione di un
singolo o di alcuni.
Il quadro non è mai potuto divenire oggetto di una ricezione collettiva, come invece fu in ogni tempo per l’architettura, fu un
tempo per il poema epico ed è oggi per il film.
Nelle chiese e nei monasteri del medioevo, così come nelle corti principesche fino alla fine del XVIII secolo, la recezione
collettiva delle opere pittoriche non avveniva simultaneamente e in modo egualitario, ma in virtù di un’intermediazione
infinitamente graduata e gerarchizzata. Il cambiamento che si è prodotto da allora esprime soltanto il particolare conflitto nel
quale la pittura si è vista implicata dalla riproduzione meccanizzata del quadro. (Per quanto ci si adoperasse per portarla di
fronte alle masse nelle gallerie e nei salons, non si dava un modo in cui le masse avrebbero potuto organizzarsi e controllarsi in
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questa ricezione (vedi pag. 24))
XVI.
Tra le funzioni sociali del film, la più importante consiste nello stabilire un equilibrio tra l’uomo e l’attrezzatura tecnica. È un
compito che il film non svolge soltanto attraverso il modo in cui l’uomo può offrirsi agli apparecchi, ma anche attraverso il
modo in cui esso può, con l’aiuto di questi apparecchi, rappresentarsi il mondo circostante.
Con il primo piano si dilata lo spazio, con il rallentatore si dispiega il movimento. Come nell’ingrandimento non si tratta tanto
di rendere semplicemente preciso ciò che, senza di esso, conserverebbe un aspetto vago, quanto piuttosto di mettere in
evidenza formazioni strutturali completamente nuove della materia, così, attraverso il rallentatore, non si tratta tanto di
restituire motivi del movimento, quanto piuttosto si rivelare all’interno di movimenti noti, dei movimenti ignoti “che non
producono l’effetto di rallentamenti di movimenti più veloci, ma quello di movimenti singolarmente planati, sospesi,
sovrannaturali". (Una delle funzioni rivoluzionarie del film sarà quella di rendere riconoscibili come identiche la valorizzazione
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artistica e quella scientifica della fotografia, sino ad ora separate (vedi pag. 24))
Diviene così tangibile il fatto che la natura che parla alla cinepresa è diversa da quella che parla agli occhi.
Se è normale rendersi conto in modo più o meno sommario, dell’andatura di un uomo, non si sa ancora nulla del suo
portamento nella frazione di secondo in cui cambia passo.
È qui che interviene la cinepresa con tutti i suoi ausili, il suo salire e scendere, il suo interrompersi e isolare, il suo espandere e
accelerare, il suo ingrandire e ridurre.
Le deformazioni della cinepresa sono, a loro volta, processi grazie ai quali la percezione collettiva fa propri i modi di percezione
dello psicopatico e del sognante.
Se ci si rende conto delle pericolose tensioni che la tecnica razionale ha generato in seno all’economia capitalista, divenuta da
lungo tempo irrazionale, si riconoscerà che questa stessa tecnica ha creato, contro certe psicosi collettive, dei mezzi di
immunizzazione, cioè certi filtri. Essi, presentando, in forme artificiosamente forzate, fantasmi sadici e immagini deliranti e
masochiste, prevengono la maturazione naturale di queste inquietudini presso le masse, particolarmente esposte a causa
delle attuali forme economiche. L’ilarità collettiva rappresenta l’esplosione prematura e salutare di simili psicosi collettive. Le
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enormi quantità di incidenti grotteschi che si sono verificati nel film sono un indizio considerevole dei pericoli che minacciano
l’umanità a causa delle pulsioni represse della civiltà attuale.
XVII.
Uno dei compiti più importanti dell’arte è sempre stato quello di generare una richiesta (per la cui completa soddisfazione non
nota 20
è ancora giunta l’ora (vedi pag.20)). La storia di ogni forma d’arte conosce delle epoche critiche in cui questa forma aspira
a produrre quegli effetti che non possono essere ottenuti liberamente se non sulla base di un mutato standard tecnico, ovvero
in una nuova forma d’arte. Le stravaganze e le asprezze dell’arte, che si producono in modo così particolare nelle epoche
cosiddette decadenti, sorgono in realtà dalla sua più ricca sorgente creatrice. Il dadaismo ha tentato di generare attraverso
mezzi pittorici e letterari, gli effetti che il pubblico cerca oggi nel film.
Questo è ciò che si è verificato per i dadaisti, al punto che essi sacrificarono i valori commerciali, sfruttati con tanto successo
dal cinema. I dadaisti non si affidarono tanto all’utilità mercantile delle loro opere quanto al loro essere inappropriate al
raccoglimento contemplativo.
Ciò che essi ottennero mediante tali mezzi fu un’inesorabile distruzione dell’aura stessa delle loro creazioni, alle quali essi
applicavano, con i mezzi della produzione, il marchio d’infamia della riproduzione. nota 15
, si oppone la
Al raccoglimento che nel decadimento della borghesia è divenuto un esercizio di comportamento asociale
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distrazione come iniziazione a nuove modalità di attitudine sociale (vedi pag.25). Perciò, le manifestazioni dadaiste
assicuravano una distrazione assai veemente facendo dell’opera d’arte il centro di uno scandalo.
Da tentazione per l’occhio o seduzione per l’orecchio, qual era in passato, con i dadaisti l’opera divenne un proiettile.
Spettatori o lettori, se ne era colpiti. L’opera d’arte acquisì una qualità traumatica. Essa così ha favorito la domanda di film, il
cui elemento distraente è anche in prima linea traumatizzante, basato com’è sui cambiamenti di luogo e di piano che
assalgono lo spettatore a scatti. (Si conquista una qualità tattile. Con ciò essa ha favorito la richiesta del film, il cui elemento di
diversione è parimenti in primo luogo un elemento tattile, poiché si basa sull’avvicendamento delle scene e delle
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inquadrature, che penetrano a scatti nello sguardo dello spettatore (vedi pag.20))
La tela del quadro invita lo spettatore alla contemplazione. Davanti ad essa si può abbandonare alle sue associazioni. Non può
fare lo stesso davanti a un’inquadratura. L’occhio l’ha appena colta che già si è trasformata in un’altra. Non potrà essere
fissata.
Il processo associativo di chi osserva queste immagini è infatti immediatamente interrotto dalle loro trasformazioni. È questo
che costituisce lo choc traumatizzante del film che, come tutti i traumi, richiede di essere smorzato mediante un’attenzione
sostenuta. In virtù del suo stesso meccanismo, il film ha restituito ai traumatismi morali praticati dal dadaismo il loro carattere
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fisico (vedi pag.25) .
l’archetipo teologico di questo raccoglimento è la consapevolezza di essere soli con il proprio Dio. Con questa
Nota 15:
consapevolezza, all’epoca dello splendore della borghesia, si è rafforzata la libertà di scrollarsi di dosso la tutela della Chiesa.
Nelle epoche della sua decadenza, questo comportamento poté favorire la tendenza nascosta a sottrarre alle faccende della
collettività quelle potenti forze che l’individuo isolato mobilita nella sua frequentazione di Dio. (vedi pag.18)
XVIII.
La massa è la matrice da cui, nel momento attuale, si genera il nuovo atteggiamento di fronte all’opera d’arte. La quantità si
tramuta in qualità: masse molto più grandi di partecipanti hanno prodotto un modo trasformato di partecipazione.
Il principale rimprovero che Duhamel ha rivolto al film è relativo al tipo di partecipazione che esso suscita nelle masse.
Duhamel vede nel film “una distrazione per iloti, un passatempo per illetterati, per creature miserabili, fiacche, consumate dal
loro bisogno e dalle loro preoccupazioni… uno spettacolo che non richiede alcuno sforzo, che non suppone alcune successione
nelle idee, non solleva alcuna questione, non accede alcuna passione, non risveglia al fondo del cuore alcuna luce e non eccita
alcuna speranza se non quella, ridicola, di divenire un giorno una “star” di Los Angeles”. (vedi pag.22 punto p)
È chiaro, al fondo è sempre la vecchia lamentela che le masse cercano solo di distrarsi, mentre l’arte esige il raccoglimento. È
certamente un luogo comune.
Colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte, vi s’immerge. Di contro, la massa, a causa della sua stessa distrazione, accoglie
l’opera d’arte nel proprio grembo, le trasmette il suo ritmo di vita e l’abbraccia con i suoi flutti.
Le architetture hanno accompagnato l’umanità dalle sue origini. Un gran numero di generi artistici si sono sviluppati per poi
svanire. La tragedia nasce con i Greci per poi estinguersi con loro. Il poema epico, la cui origine risale all’infanzia dei popoli,
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svanì in Europa alla fine del Rinascimento. La pittura su tavola è una creazione del medioevo e sembra garantire a questo tipo
di pittura una durata illimitata. Di contro, il bisogno umano di avere un alloggio rimane costante. L’architettura non ha mai
smesso di essere all’opera. La sua storia è più antica di quella di qualunque altra arte ed è utile tener sempre conto del suo
genere di influenza, qualora si voglia comprendere il rapporto delle masse con l’arte. Le costruzioni architettoniche sono
oggetto di una doppia modalità di ricezione: l’uso e la percezione, e meglio ancora: il tatto e la vista. Non si sarà in grado di
giudicare esattamente la ricezione dell’architettura fantasticando sul raccoglimento dei viaggiatori di fronte a edifici celebri.
Poiché non c’è niente nella percezione tattile che corrisponda a ciò che è la contemplazione nella percezione ottica.
I compiti che nei tornanti della storia sono stati esposti alla percezione umana