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Pirandello dice che gli attori cinematografici si sento in esilio dal palcoscenico e da se stessi.
Percepiscono un senso di “vuotamento”, il loro corpo è privato della realtà, dal suo respiro, dalla
sua voce, dal divenire solo un’immagine muta, che tremola per un momento sullo schermo per poi
sparire.
Per la prima volta l’uomo si trova obbligato a vivere e ad agire affidandosi totalmente alla propria
persona, rinunciando alla propria aura; poiché questa dipende dal suo HIC ET NUNC, di essa non
esiste riproduzione o replica. La singolarità della ripresa in studio è che l’apparecchio si sostituisce
al pubblico; con il pubblico scompare l’aura che circonda l’interprete e, con quella dell’interprete,
l’aura del suo personaggio. I grandi studiosi e specialisti hanno riconosciuto che i grandi effetti si
ottengono quasi sempre recitando il meno possibile. Dal 1932, Arnheim considera che l’ultimo
sviluppo del film sia il trattare l’attore come un accessorio di scena che si sceglie per le sue
caratteristiche e si impiega al posto giusto. L’attore di scena di identifica con il carattere del suo
ruolo. L’interprete del grande schermo non ne ha sempre la possibilità. La sua creazione non è tutta
di un pezzo ma si compone di diverse creazioni distinte. Sono le elementari necessitò meccaniche a
scomporre l’interpretazione dell’attore in una serie di creazioni montabili: illuminazione, la cui
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installazione obbliga a filmare un avvenimento, che sullo schermo si svolge in una scena rapida e
unitaria, in una serie di riprese distinte che in studio possono talvolta prolungarsi per ore.
CAPITOLO XII: Nella rappresentazione dell’immagine dell’uomo attraverso l’apparecchio,
l’alienazione dell’uomo da se stesso trova un utilizzo altamente produttivo. Il sentimento di
estraneità dell’interprete di fronte all’obiettivo è della stessa specie del sentimento di estraneità
dell’uomo di fronte alla propria immagine allo specchio. L’interprete del grande schermo non perde
la coscienza di sé, sta di fronte all’obiettivo che poi corrisponderà alla massa di spettatori. Favorito
dal capitale cinematografico, questo culto delle vendette trova nel culto del pubblico maggiore
completamento. È un culto che favorisce la mentalità corrotta della massa che i regimi autoritari
cercano di sostituire alla sua coscienza di classe. Se tutto si conformasse al capitale cinematografico
il processo si arresterebbe all’alienazione di sé, sia nell’artista del grande schermo che negli
spettatori. Ma la tecnica del film previene questo arresto; prepara il rovesciamento dialettico.
CAPITOLO XIII: ogni uomo ha oggi il diritto di essere filmato, un diritto che possiamo comprendere
dalla situazione storica della vita letteraria attuale. Con l’espansione della stampa, che non cessava
di mettere a disposizione di lettori nuovi organi politici, religiosi, scientifici, un numero sempre
maggiore di essi trovò occasione per impegnarsi nella letteratura. Mentre precedentemente la
letteratura poneva un piccolo numero di scrittori di fronte a migliaia di lettori. Ciò ebbe inizio con
la rubrica delle lettere che la stampa quotidiana aprì ai suoi lettori. La differenza tra autore e
pubblico tende a perdere il suo carattere fondamentale. Il lettore è pronto, in ogni momento, a
diventare uno scrittore. Le competenze letterarie non si fondano più su una formazione
specialistica, ma su una formazione politecnica, divenendo bene comune.
Tutto ciò vale in egual misura per il film, soprattutto quando si parla dei film sovietici. Un certo
numero di interpreti di film sovietici non è costituito da attori, ma da uomini che interpretano il
ruolo di se stessi e innanzitutto il loro ruolo nel processo del lavoro. Nell’Europa occidentale lo
sfruttamento del film da parte del capitale cinematografico impedisce all’uomo di far valere i suoi
diritti. L’interesse dell’industria cinematografica è quello di stimolare le masse con rappresentazioni
illusorie e speculazioni equivoche. Ha messo in moto un potente apparato cinematografico: ha
sfruttato la carriera e vita amorosa delle star, organizzando plebisciti e concorsi di bellezza.
L’aspirazione dell’individuo isolato e a sostituirsi alle star è proprio ciò che agglomera le masse che
assistono alle proiezioni.
CAPITOLO XIV: la ripresa e registrazione di un film offrono un tipo di spettacolo come non si era mai
visto prima. Spettacolo che non si potrebbe guardare da un punto di vista qualsiasi senza che tutti
gli elementi esterni della messa in scena (illuminazione, registrazione) non cadano nel campo visivo.
Il teatro conosce il punto in cui l’illusione dell’azione non può essere distrutta, nella scena del film
che viene registrata un punto simile non esiste. La natura illusoria del film è una natura di secondo
grado, è il risultato del montaggio. Vuol dire, nello studio l’equipaggiamento tecnico ha così
profondamente penetrato la realtà che, quest’ultima nel film, appare spogliata dell’attrezzatura
soltanto grazie all’angolazione di ripresa e il montaggio di questa inquadratura con altre.
Questi elementi, ben distinti dal teatro, possono essere confrontati con quelli della pittura. Cosa
caratterizza l’operatore cinematografico rispetto al pittore?
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Viene riportata la differenza tra un chirurgo e un mago. Quest’ultimo, guarisce il malato con le
imposizione delle mani sul malato, mentre il primo effettua un intervento sul corpo. Il mago
mantiene una distanza naturale tra sé e il malato, una distanza che viene diminuita di pochissimo,
con la posizione delle mani, ma aumentata dalla sua autorità. Il chirurgo fa il contrario: diminuisce
di molto la distanza tra sé e il paziente, compenetrando il suo corpo con le mani, e mantiene un
rapporto uomo-uomo. Il pittore sta all’operatore come il mago al chirurgo. Il pittore conserva nel
suo lavoro una distanza normale di fronte alla realtà del suo oggetto, il cameramen penetra nel
tessuti della realtà data, le immagini dell’uno e dell’altro provengono da processi diversi. Quella del
pittore è totale, la seconda si compone di frammenti multipli, poi coordinati. Tra pittura e film, il
film più significativo per l’uomo d’oggi, poiché ottiene un aspetto della realtà spogliato da ogni
apparecchiatura proprio attraverso una penetrazione intensiva del reale mediante le
apparecchiature.
CAPITOLO XV: la riproduzione meccanizzata dell’opera d’arte modifica il modo in cui la massa
reagisce di fronte all’arte. Più diminuisce l’importanza sociale dell’arte, più si afferma nel pubblico
la divergenza tra atteggiamento critico e piacere puro e semplice. Per il cinema: le reazioni dei singoli
individui, la cui somma costituisce la reazione del pubblico, in nessun luogo più che al cinema si
mostrano determinate dalla loro imminente moltiplicazione. Proprio nel manifestarsi si controllano.
Una volta un quadro si offriva alla contemplazione di un singolo o di alcuni, contemplazione
simultanea di opere da parte del grande pubblico, dal XIX secolo, è un sintomo della crisi della
pittura, dovuta non solo alla fotografia ma anche al raduno delle masse. Il quadro non ebbe lo scopo
di ricezione collettiva, come avvenne per architettura, poema epico e ora il film. L’ostacolo del
quadro lo troviamo nel confronto con le masse, in condizioni contrarie alla sua natura. Nelle chiese
e nei monasteri la ricezione collettiva delle opera, non avveniva simultaneamente, ma in virtù di
un’intermediazione graduata e gerarchizzata.
Per quanto esposte in gallerie e musei, la massa non riusciva a controllare e organizzare se stessa,
cosa che avviene nel cinema.
CAPITOLO XVI: tra le funzioni sociali del film, stabilire equilibrio tra uomo e attrezzatura tecnica. Con
inquadrature ed esplorazioni il film estende da un lato la nostra comprensione alle mille
determinazioni da cui dipende la nostra esistenza, dall’altro riesce ad aprirci un campo d’azione
immenso. Il primo piano dilata lo spazio, con il rallentatore si dispiega il movimento. Con
l’ingrandimento si tratta di mettere in evidenza le formazioni strutturali completamente nuove della
materia, così con il rallentatore si vuole rivelare all’interno dei movimenti noti, dei movimenti ignoti
“che non producono l’effetto di rallentamento di movimenti veloci, ma quello di movimenti
plananti, sospesi e sovrannaturali”. La natura che parla alla cinepresa è diversa da quella che parla
agli occhi. A uno spazio coscientemente esplorato dall’uomo, si sostituisce uno spazio che egli ha
incoscientemente penetrato. È la cinepresa che ci inizia all’inconscio ottico, come la psicanalisi
all’inconscio pulsionale. Alterazioni e stereotipi che il mondo visibile può subire nel film li possiamo
incontrare nelle psicosi, allucinazioni o sogni. Le deformazioni della cinepresa sono processi grazie
alle quali la percezione collettiva fa propri i modi di percezione dello psicopatico e sognante.
L’ilarità collettiva rappresenta l’esplosione prematura e naturale di simili psicosi collettive. Film
grotteschi, come quelli della Disney, provocano una denotazione dell’inconscio, una repressione
della civiltà attuale. 11
CAPITOLO XVII: uno dei più importanti compiti dell’arte è sempre stato quello generare una
richiesta, la cui piena soddisfazione doveva prodursi entro una scadenza più o meno lontana.
Stravaganze e asprezze dell’arte, che si producono nelle cosiddette epoche decadenti, sorgono in
realtà dalla sua più ricca sorgente creatrice. È il caso del dadaismo, che tentato di generare,
attraverso mezzi pittorici e letterari, gli effetti che oggi il pubblico cerca nel film. I dadaisti sacrificano
i valori commerciali, sfruttati con tanto successo dal cinema, obbedendo ad alcune istanza di cui
non si rendono conto. Non si affidarono all’unità all’utilità mercantile quando al loro essere
inappropriate al raccoglimento contemplativo. Per raggiungere questa in appropriatezza, uno dei
loro strumenti fu la degradazione del materiale. Ottennero una distruzione dell’aura, è impossibile,
di fronte a un’opera di Arp, prendersi il tempo di concentrarsi e valutare. Al raccoglimento si oppone
la distrazione come iniziazione a nuove modalità di attitudine sociale. Quindi le manifestazioni
dadaiste assicuravano una distrazione assai veemente, facendo dell’opera il centro di scandalo.
Tentazione per l’occhio e seduzione per l’orecchio l’opera per i dadaisti diviene un proiettile che
colpisce gli spettatori. L’immagine di un quadro invita lo spettatore alla co