Anteprima
Vedrai una selezione di 9 pagine su 36
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 1 Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 2
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 6
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 11
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 16
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 21
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 26
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 31
Anteprima di 9 pagg. su 36.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Estetica, prof. Desideri, libro consigliato Forme dell'estetica. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Desideri Pag. 36
1 su 36
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Tutti noi prima di imparare a parlare siamo capaci di vedere volti e cose, di ascoltare voci e rumori, così come siamo capaci di

impaurirci, di arrabbiarci e di gioire. Con il linguaggio, seguendo questa tesi, noi perderemmo la nostra innocenza percettiva,

quella fase dello sviluppo della nostra sensibilità e della nostra intelligenza in cui, senza saperlo, giochiamo semplicemente con

gli oggetti del mondo. La percezione è, in quest’ottica, scoperta e gioco. E l’arte, secondo una tradizione che trova la sua

origine in Schiller e la sua formulazione più radicale in Nietzsche, sarebbe un ricordare attivamente la dimensione di giocosa

innocenza percettiva, di ingenuità dell’infanzia per acquisire una sorta di seconda innocenza. Tuttavia, il mito dell’innocenza

percettiva ha un prezzo troppo alto: quello di rescindere ogni connessione tra l’esperienza estetica in senso specifico e la

dimensione estetica di ogni esperienza.

Bisogna tentare, perciò, un’altra via di soluzione del problema. È forse necessario pensare insieme i limiti del linguaggio e i

limiti dell’estetico, come limiti di due strati o dimensioni della nostra esperienza solitamente fusi.

Il circolo tra percezione e linguaggio, tra estetico e linguistico sposta il problema su un altro fronte, quello del rapporto tra

originarietà e derivatezza.

La dimensione linguistica implica quella estetica mentre non sempre può dirsi l’inverso. Una parola a una proposizione attende

di essere percepita, e molto del suo senso dipende proprio dal come viene percepita, e dal come viene detta.

Dobbiamo allora concludere che come l’ambito sensoriale è più vasto di quello percettivo, così quello dell’estetico-percettivo

nel suo complesso è più vasto di quello linguistico-concettuale: il linguaggio-mondo non coincide con il mondo così come lo

percepisco. Dal punto di vista dell’esperienza questi mondi si confondono, ma, appunto, solo perché hanno proprio

nell’esperienza la ragione della loro distinzione.

Lo strato o dimensione estetica dell’esperienza coincide, allora, con il “come”, ovvero con la qualità/modalità di relazione con

una parte del mondo.

Torniamo ora sul “far attenzione” implicato nel punto di vista estetico e nel giudizio che ne consegue. L’attenzione qui deve

essere disposta a lasciarsi attrarre da ciò che vede. È un’attenzione sulla soglia dello stupore. L’attitudine estetica, in quanto

attitudine attenzionale, si precisa nella disposizione allo stupore. Per questo l’attenzione può anche venir ridestata. Anziché

rinnovare l’antica polemica tra oggettivismo e soggettivismo, molto più fecondo appare il sostenere che si tratta di una

relazione, dell’instaurarsi di un legame libero da altri vincoli. In esso si tematizza l’estetico come strato primario

dell’esperienza: l’anteriorità dell’estetico sul concettuale, il suo fondersi, sempre pronto a disarticolarsi, con il linguistico.

1.3 d

Senza questo strato “estetico” dell’esperienza non vi sarebbe niente da conosce e riconoscere nell’atto percettivo e, al fondo,

non vi sarebbe niente da dire.

L’altro da me in questo caso non mi è estraneo o indifferente, tantomeno mi è ostile: richiama a sé l’attenzione.

Nell’esperienza implicata nel punto di vista estetico si innesca così un sottile contrappunto tra interno ed esterno.

L’esperienza estetica è sì sempre esperienza di qualcosa; tuttavia, nella misura in cui è esperienza di qualcosa in un senso

puramente estetico è anche esperienza del modo in cui solitamente faccio esperienza. Nella modalità di un risveglio

dell’attitudine attenzionale, si acutizza la dimensione dell’accorgersi propria di ogni percepire. 5

Nel giudizio estetico che ne deriva, si mostra gratitudine verso ciò che è esterno rispetto al soggetto dell’esperienza: verso la

sua alterità.

Nell’esperienza estetica, in questo impegno in prima persona che implica un diretto provare, emerge un nodo irriducibile di

ogni esteriorità: un limite critico di ogni nostro esser parte di un ambiente, del nostro essere in un mondo.

È il limite dell’esser disposti all’attenzione (dell’attitudine attenzionale), perché qualcosa possa esser accolto anche sono

esclamativamente. L’esclamazione, il tono dello stupore, si presenta qui come l’origine di ogni giudizio estetico, ciò che

determina l’apertura del punto di vista. In questo limite critico che si può esprimere solo tramite le aperture percettive del

nostro corpo, emerge la soggettività: l’irriducibile ad altro, ciò che è solo sé, ma è sé appunto in virtù di questo scambio, di

questa buona congiunzione con l’altro che si celebra percettivamente.

In quest’irriducibilità del soggetto dall’esperienza estetica, in questa insostituibilità non solo della prima persona ma della sua

singolarità corporea, sta il presupposto del punto di vista estetico come punto di vista soggettivo che non può essere confuso

né con un mero opinare né con l’impersonalità (o la sostituibilità) di un “sapere che”. Nel carattere inconfondibile si può

cogliere la genesi estetica della soggettività come limite corporeo di un linguaggio-mondo.

A partire dall’esperienza estetica, infatti, dove si tematizza l’originarietà di ogni esperire fuori dal mito di un’innocenza

percettiva o di una forma pura dell’esperienza, ci si può interrogare su cosa significa essere un soggetto. Se il carattere

dell’estetico si può riassumere nella vitalità di una relazione tematicamente percettiva con l’altro da noi, il suo limite non è

altro che il nodo della soggettività. Ma l’unico modo per cercare di analizzarlo, di comprenderlo, senza illudersi di scioglierlo,

resta proprio ciò in cui ogni esperienza estetica si annuncia, ciò di cui essa primariamente consiste e ciò su cui continua ad

insistere: la percezione.

Capitolo secondo: il nodo della percezione

2.1 Il campo dell’esperienza e la vita percettiva

2.1 a

Le singole proposizioni hanno possibilità d’essere intese e proferite perché appartengono ad un campo linguistico, ad una

sfera del linguaggio che parlante ed ascoltante condividono. Questa sfera o campo, però, non può appartenere ad una sola

persona, ad un singolo soggetto. Un linguaggio assolutamente soggettivo, privato, non sarebbe tale, non sarebbe un

linguaggio.

“Campo” è inteso qui come una regione di senso, come uno spazio dinamico a più livelli in cui i singoli accadimenti percettivi

acquistano significato.

Almeno due sensi del termine “campo” si intrecciano, dunque, nella nozione di campo dell’esperienza. Quello di un terreno

pronto ad essere arato, dotato di stratificazioni della memoria, e quello di uno spazio dinamico, dove una molteplicità di forze

interagiscono formando il campo stesso. Nel primo senso il campo non sarebbe tale senza un substrato (un humus) dal quale

qualcosa di vivente può svilupparsi. Nel secondo senso, l’immagine del campo non presuppone alcun costituente o substrato

precedente alla sua esistenza: la sua fisicità risiede nelle forze che lo definiscono.

Il campo dell’esperienza è insomma antecedente alla divisione tra le tracce degli input e output sensoral-percettivi e il loro

senso, vale a dire è antecedente all’essere le percezioni esperienza per un soggetto. Proprio per quest’anteriorità del campo

rispetto alla distinzione, per la presupposizione necessaria della sua unitarietà, il campo dell’esperienza non è solo al di là della

divisione tra soggetto e oggetto ma è anche al di qua dell’identità soggettiva: del suo confine. Quello che accade nel campo

percettivo accade anzitutto nel modo impersonale, neutro, del “Si”. Accade ad un corpo che solo in virtù di questo accadere,

successivamente, diviene il mio corpo. Lo scambio con ciò che è altro da me, quello scambio che mi trasforma, è anteriore a

“me”. Nella percezione è l’inizio: l’inizio del nostro mondo e del nostro essere soggetti appartenenti ad un mondo.

Nel momento, però, in cui si dà tale inizio, il terreno è ipso facto campo percettivo e, dunque, campo dell’esperienza. La

memoria di questa contemporaneità di campo ed evento resta nel fatto che il nostro percepire quotidiano è qualcosa di

intimamente plurale: un multiplo, una molteplicità di impressioni, quello che James chiama un “flusso”.

2.1 b

Campo ed evento percettivo, nel loro complicarsi, nel loro co-originarsi, si inscrivono in un corpo vivente. Inscrivendosi in esso,

lo segnano, lo tracciano. Ma lo segnano e lo tracciano solo perché l’evento multiplo del percepire è relazione con altro, traccia

di un’alterità oscura alla quale ognuno inizialmente appartiene. 6

Prima che spettatori, in questo dramma dell’alterità dell’ambiente che ci avvolge, noi siamo attori. Attori certamente dotati di

un punto di vista. Ma il nostro campo visivo è quello dell’esperienza, da esso noi non siamo mai fuori.

La semplice conseguenza di tutto ciò è che possiamo riflettere la nostra esperienza soltanto dentro di essa, al suo interno, e vi

stiamo dentro solo in virtù della vita percettiva che ci contraddistingue e nello stesso tempo ci accomuna a molti altri esseri

viventi.

La percezione è anzitutto l’unità di stimolo sensoriale e risposta, di input e output. Troppo spesso, però, si modella ogni nostra

riflessone sulla nostra vita percettiva sul canone di quella visiva. Eppure in certe fasi e momenti della nostra esistenza non è

questa la modalità dominante del percepire, e comunque non resta quella esclusiva. Ovviamente c’è un motivo che giustifica

questo nostro privilegiare la visione. Nell’atto visivo è chiara l’unità tra relazione e distanza.

La vista, ripetono sovente Platone e Aristotele, è il più nobile ed eccellente tra tutti i nostri sensi, il più simile a

quell’intelligenza che può affermarsi solo nella distanza da ogni senso determinato, senza però poter mai negare il vincolo con

ognuno di essi e con il sentire generico.

2.1 c

In una riflessione sulle modalità percettive all’origine di ogni esperienza, dunque, non possiamo assumere il primato

dell’osservativo e, con esso, il primato di un atteggiamento epistemico. Significherebbe trascurare che la dimensione estetica

dell’esperienza precede sempre la specializza

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
36 pagine
53 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/04 Estetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Eli.C di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Desideri Fabrizio.