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La distinzione tra immagini oggetti-segni di produzione intenzionale e immagini segni o rappresentazioni di altro da sé

Bisognerebbe fare una distinzione tra quelle immagini che sono oggetti-segni di produzione intenzionale (disegni e tutto ciò che è ad essa affine) e quelle immagini che sono segni o rappresentazioni di altro da sé in maniera del tutto non intenzionale (le immagini riflesse o quelle che si formano per altri fenomeni naturali). L'oscillare dell'immagine tra l'essere e il non-essere, riguarda innanzitutto il fatto che il suo essere sta tutto nella sfera dell'apparenza e, dunque, è relativo ai sensi (non necessariamente ai nostri). Nel caso delle immagini rappresentate, ad esempio quelle dei ritratti, l'oscillazione riguarda anche il contenuto della rappresentazione (quello che si vede nel ritratto è e non è il mio volto: semmai è la sua immagine; e qualcosa di analogo vale per la mia immagine riflessa allo specchio). Di un'immagine non può essere contestato il suo esistere, seppur relativamente ai sensi.

soggettiva, il bello non può essere oggettivamente condiviso. La sua bellezza risiede nella sua stessa esistenza come immagine, e la certezza di questa bellezza distingue l'apparenza del bello dalla mera parvenza. Mentre posso esprimere solo un parere sulla parvenza, la bellezza appare inconfutabile. Tuttavia, affinché il bello possa apparire, richiede un'attivazione immaginativa del mio percepire. Gli altri, per condividere il mio giudizio, dovrebbero confrontarsi con qualcosa che è necessariamente inaccessibile a loro. Poiché esiste nella mia mente come una rappresentazione soggettiva, il bello non può essere oggettivamente condiviso.

Definita ma soggettiva, l'unità di immagine sarebbe incomparabile con quella esistente nella mente altrui: ognuno, percependo il medesimo aspetto sensibile di qualcosa, avrebbe non solo un'esperienza estetica diversa, per la sua necessaria soggettività, ma anche un'esperienza di differenti duplicati immaginali. L'errore sta nell'intendere l'immagine "estetica" come una sorta di copia soggettiva della cosa. Se, nel ritenere bella una qualsiasi cosa, la condizione sta nella capacità di coglierla in un'immagine che ne unifica gli input sensoriali, allora bisogna pensare alla dimensione percettiva del "cogliere" in un senso ipoteticamente attivo, dove l'immagine svolge un ruolo decisivo. Permane un vincolo con la cosa, con la sua realtà, ma in una maniera singolarmente libera. "Libera" significa in primo luogo "selettiva", nel senso che si assegna una dominanza

La bellezza si configura come il senso dell'immagine della cosa, il suo essere si intreccia con il suo apparire nella dinamica di un doppio confronto: verso l'esterno, con altri

oggetti simili e nonna, e verso l'interno, con quello che si potrebbe chiamare estetico d'attesa. La densità della sintesi implica anche il punto di vista della soggettività. Senza un confronto interno, un confronto dell'immagine che si forma con la mia capacità di percepirla di pensarla, il confronto esterno non avrebbe alcun significato. Potremmo chiamarla un'immagine-soglia che sostiene in sé la virtù della relazione. È come se l'unità di confronto interno ed esterno proiettate sulla cosa la qualità della bellezza. Non si tratta di una proiezione schematica, della sovrapposizione di un modello già costituito di bellezza. La proiezione va intesa come un'illuminazione della cosa, come un accenderla della luce del senso. È la cosa stessa ad essere bella, non semplicemente la sua immagine. Certo non la potremmo dire tale, se non la cogliessimo così, nell'unità di una singola immagine.

Si supera così la antica diatriba tra il carattere reale della bellezza e il suo carattere illusorio. L'illudersi in tal caso non ha il senso di un autoinganno, ma piuttosto quello di un gioco interno tra il percepire ed il pensare. Un gioco guidato dalla capacità immaginativa. L'immagine si forma, in questo caso, in virtù dell'applicazione di una regola indeterminata, uno "schematizzare senza concetto". Lo schematizzare è, per Kant, quel procedimento proprio dell'immaginazione attraverso il quale essa "procura ad un concetto la sua immagine"; allora tale procedimento è di volta in volta in funzione di regole determinate dall'intelletto: è vincolato a concetti. Mentre in tutti i giudizi di conoscenza è all'opera quello che Kant chiama uno "schematismo oggettivo", nel caso dei giudizi estetici lo schematismo non può essere che è libero. Non può essere, cioè,vincolato ad un concetto, proprio perché non si tratta di un conoscere il peculiare contenuto di una percezione determinando nell'oggettività secondo regole concettuali. Nel giudizio estetico, si tratta piuttosto di riconoscere il sentimento del soggetto nei confronti del semplice apparire di qualcosa: del suo aspetto. Lo schema interno che essa produce e dunque "libero". Il "concetto associato" serve a classificare l'intuizione di un oggetto disponendola in una classe di appartenenza, in modo che io possa dire tranquillamente di fronte all'animale che ho di fronte o alla sua fotografia o ad un qualsiasi schizzo: "questo è un cane". In un giudizio estetico, però, io posso definire bello tanto un cane quanto un cavallo. Non può valere sostenere che il confronto avviene tra il singolo esemplare e altri della sua classe, come se il giudizio fosse fornito dal paragonare la singolarità dell'immagine.importante nella percezione della bellezza. La bellezza non può essere definita in modo oggettivo, ma è soggettiva e dipende dall'intuizione e dal sentimento di chi la percepisce. Non esiste una regola precisa che determina la bellezza di una figura, ma è il risultato di una sintesi tra immagine e sentimento. Il sentimento è ciò che dà significato alla cosa e permette di riconoscerla come bella.

Soggettivamente determinante nel cogliere affinità tra immagini tra loro diversissime, permettendo che nei loro confronti si possa dare con non il medesimo giudizio, ma un giudizio analogo, riconoscendo ognuna di queste immagini come bella per sé stessa. La vaghezza non è altro che la condizione perché l'immagine della cosa sia "salvata" nella sua singolarità: nella sua singolare bellezza. La sinteticità dell'immagine è dunque anche sintesi tra vaghezza e singolarità. Per Kant questo dipende dalla libertà dell'immaginazione, la quale può certo fingere. Questo non succede quando diciamo bella l'immagine di un oggetto realmente esistente: qui non siamo di fronte ad un puro fantasticare. Nel caso del giudizio estetico, la forma dell'oggetto è tale da contenere una composizione del molteplice quale la progetterebbe l'immaginazione, se lasciata a sé stessa, in.

conformità alla legge in generale dell'intelletto. Questa soluzione sarebbe, però, insoddisfacente se il paragone avvenisse tra la forma dell'oggetto e quella di un'ipotetica forma che l'immaginazione produrrebbe da sé se lasciata libera. In questo caso l'unità d'immagine non sarebbe altro che una duplicazione di una forma immaginaria, come oggetto del desiderio di cui l'immaginazione è potente interprete. La funzione del desiderio dell'esperienza del bello non può certo essere trascurata. Il desiderio è certamente la molla di quella forza ipotetica che permette all'immaginazione di estendere il senso del percepire nel percepire qualcosa come bello. Il suo sorprendermi è una sorpresa gradita: una sorpresa, una novità per l'esperienza, e insieme una conferma. Non si tratta della conferma di un'immagine già formata nella mia mente. Così inteso, lo schematismo

dell'immagine all'opera nel riconoscimento del bello non sarebbe affatto libero e, non procederebbe "senza concetti", ossia senza regole determinate. L'immagine interna, con cui ha confrontato l'apparire (l'aspetto) della cosa realmente percepita, è invece un'immagine indefinita, "aschematica". È più il pensiero di un'immagine che un'immagine in senso proprio. La bellezza si coglie come unità di singolarità e indefinitezza, un'unità paradossale che ci può far capire la definizione che Benjamin da del bello: "l'oggetto dell'esperienza nello stato della somiglianza". Uno stato che c'è prossimo e proprio, e da cui siamo, allo stesso tempo, distanti. Ogni esperienza del bello si gioca tra la sensazione del mai-visto prima e quella del familiare: tra la tonalità del puro inizio e quella del riconoscimento. Nella sua indefinibile singolarità,

L'oggetto bello (unità tra oggetto-segno e oggetto-evento) conferma l'indeterminatezza e, dunque, la libertà della regola che ne coglie il "senso" riconoscendolo come affine al soggetto.

Dettagli
A.A. 2018-2019
42 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/04 Estetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilariabrandolini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Desideri Fabrizio.