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MEDESIMA MANIFESTAZIONE.
IL DESIDERIO NON HA IL VALORE DEL SUPERAMENTO DI UNA CONDIZIONE, BENSÌ
DEL GODIMENTODELLA CONDIZIONE STESSA; non c'è volontà di superamento bensì di
accettazione: AMOR FATI.
Questo è L'APPARIRE DELL'APPARIRE; l'impulso non può andare al di là di sé, può solo godere
di sé, potenziare al massimo ciò che è.
L'unica verità rimane dunque quella dell'impulso rappresentativo, del fenomeno: se in
Schopenhauer la vita è sogno e quindi assurda e dolorosa; al contrario È IL SOGNO STESSO
L'UNICA E VERA DIMENSIONE DELLA VITA, intesa come sviluppo di pulsioni e desideri il
cui scopo è quello di potenziarsi, divinizzarsi e accettarsi.
Dunque apparenza, fenomeno, illusione sono sinonimi di proiezioni fisiologiche di impulsi. Viene
abolito il dualismo fra fenomeno e noumeno, verità o cosa in sé, mondo vero e mondo apparente. La
verità è lo stesso fenomeno e viceversa.
RIVOLUZIONE CHE CONDUCE AL CONCETTO DEL TRAGICO: tragico infatti è il
superamento della contrapposizione fra mondo vero e uno apparente, tra la volontà e la
rappresentazione.
Raffaello “Trasfigurazione” processo originario dell'artista ingenuo e insieme della cultura
apollinea; la metà inferiore ci mostra l'eterno dolore originario, qui l'apparenza è il riflesso
dell'eterno contrasto, da quest'apparenza si leva un nuovo mondo dell'apparenza priva di dolore.
Qui abbiamo davanti agli occhi, nel superamento del simbolismo artistico quel mondo della
bellezza apollinea e il suo sostrato, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo con l'intuizione
la loro reciproca necessità.
Ma Apollo ci viene incontro con il principium individuationis: egli ci mostra come il mondo
dell'affanno sia necessario affinché l'individuo possa da esso venir spinto alla creazione della
visione liberatrice.
Apollo come divinità etica, esige la conoscenza di sé; si fa valere l'esigenza del “conosci te stesso”
e del “non troppo” (eccesso ed esaltazione di sé vengono considerati come demoni ostili del mondo
barbarico).
La storia greca antica si suddivide nella lotta di quei due principi avversi in quattro grandi periodi
storici (età del bronzo- dionisio, età omerica-apollineo, ritorno dionisiaco, arte dorica- reazione
apollinea), meta comune dei due istinti è L'OPERA D'ARTE SUBLIME RAPPRESENTATA
DALLA TRAGE ATTICA E DAL DITIRAMBO DRAMMATICO.
CAPITOLO V
Fine della nostra indagine: conoscenza del genio dionisiaco-apollineo e della sua opera d'arte.
Progenitori della poesia greca sono Omero e Archiloco. Il lirico come artista dionisiaco è divenuto
una cosa sola con l'uno originario, generando l'esemplare di questo uno originario come musica; in
seguito sotto l'influsso apollineo del sogno questa musica diventa visibile come un'immagine di
sogno simbolica.
Tutte le nostre conoscenze sull'arte sono completamente illusorie, perché come soggetti del
conoscere non siamo un'unica e identica cosa con l'essere che, come unico creatore e spettatore di
quella commedia dell'arte, si procura un eterno godimento. Dunque SOLO NELL'ATTO DELLA
CREAZIONE ARTISTICA IL GENIO SI FONDE CON QUELL'ARTISTA ORIGINARIO DEL
MONDO, COGLIENDO QUALCOSA DELL'ESSENZA ETERNA DELL'ARTE; EGLI È
CONTEMPORANEAMENTE SOGGETTO E OGGETTO, poeta,attore e spettatore.
Omero e Archiloco sono indicati come “i portatori della fiaccola della poesia greca”. Ma se Omero
viene indicato come l'artista apollineo ingenuo, Archiloco è riconosciuto come il battagliero
servitore delle Muse. CAPITOLO VI
Archiloco introduce nella letteratura il canto popolare. Il canto popolare viene innanzitutto
considerato come antitetico all'EPOS, che è interamente una creazione apollinea, e la sua
importanza sta quindi nel saper coniugare le due polarità umane, il dionisiaco e l'apollineo.
Non bisogna mai dimenticare l'importanza che ricopre la musica all'interno della trattazione della
nascita della tragedia. Percorrendo la storia della musica, si scopre che essa, fin dai tempi di Omero,
aveva cessato di essere un'attività a puro appannaggio della casta sacerdotale, per andare in mezzo
alla gente; pur non dimenticando che la matrice di questo tipo di canto sono le feste in onore di
Dionisio.
La rilevanza assunta da Archiloco è fondamentale per lo sviluppo della tragedia, essendo lui il
primo lirico. È con la fioritura in Grecia della lirica, cioè della poesia accompagnata dal suono della
lira, che la musica assume una rilevanza ed uno spazio notevole all'interno della vita civile greca.
È in conseguenza di ciò, cioè del legame vitale fra musica e poesia, che si spiega come la musica
del canto popolare sia profondamente legata alla melodia, anzi, È SOLO MELODIA.
LA MELODIA È L'ELEMENTO PRIMARIO ED UNIVERSALE, la poesia nasce direttamente
dalla musica, anzi, dalla melodia. Il tutto in antitesi con l'EPOS, cioè l'epica.
Si rinnega l'eroe e per questo l'epica, in favore della lirica. Infatti anche l'epica aveva
l'accompagnamento musicale, ma il rinnegamento è dato da una constatazione di ordine
“spirituale”: ALL'EROE SI DEVE SOSTITUIRE L'ESPERIENZA DELL'INDIVIDUO. Con la
poesia lirica e la con la sua melodia si passa a rappresentare l'interiorità umana con i suoi sentimenti
e i suoi drammi, e non più le gesta eroiche dell'eroe di turno. LE GESTA SPIRITULI
DELL'INDIVIDUO CHE COMPONE.
Attraverso l'esperienza dell'individuo si deve poter rintracciare l'intera umanità, cosa che con una
esasperante caratterizzazione psicologica non può avvenire.
Tutto questo entra a far parte nel discorso più generale della tragedia. È quel concetto di
responsabilità che presuppone tutto l'impianto della tragedia. L'uomo non si nasconde più dietro
“maschere mitiche”, ma si (op)pone da solo di fronte alla tragicità della vita, ponendo la sua anima
a diretto contatto con l'esperienza dolorosa dell'esistenza.
È importante comprendere dunque l'importanza capitale che la musica aveva all'interno del mondo
greco, e di come quindi lo stesso discorso è valido sia quando si parla di tragedia, sia quando si
parla di musica. MUMSICA E TRAGEDIA VIVONO IN SIMBIOSI.
La musica appare come volontà, nel senso schopenhaueriano, in antitesi alla disposizione estetica
contemplativa e priva di volontà.
Il lirico ha bisogno di esprimere il contenuto della musica (dionisiaco) con delle immagini
(apollineo). È un po' quanto avviene in una sinfonia di Beethoven: quando si designa una sinfonia
come “pastorale” o un movimento con un'immagine simbolica come “scena in riva al ruscello”,
sono solo immagini nate dalla musica stessa.
L'artista per riuscire a racchiudere dentro di se le due nature, dionisiaca e apollinea, deve compiere
uno sforzo immenso che rasenta la follia; il lirico interpretando l musica con immagini si mette al
sicuro, nel senso che anch'egli si mette tranquillamente nell'ottica della contemplazione apollinea.
Ma il rapporto fra musica ed immagini, quindi fra musica e lirica, è impari: mentre la lirica ha
assolutamente bisogno della musica, la musica nella sua illimitatezza non è assolutamente legata ad
un rapporto di dipendenza con le immagini e quindi con la lirica.
La musica è come il Dio dei cristiano: inesprimibile. Il linguaggio è assolutamente limitato per
esprimere anche solo una parte di quanto racchiude entro di sé la musica. Il linguaggio è lo
strumento di cui c'è bisogno per esprimere le apparenze, ed è quindi totalmente inadatto e limitato
per esprimere la più profonda interiorità della musica e neanche tutta l'eloquenza lirica riesce ad
avvicinarsi al senso più profondo della musica.
La conclusione è che il lirico sia l'ultimo passaggio prima della nascita della tragedia.
CAPITOLO VII
L'ORIGINE DELLA TRAGEDIA. Tradizione ci dice con piena risolutezza che la TRAGEDIA È
NATA DAL CORO TRAGICO e che originariamente era solo coro e nient'altro che coro, questo è
quello che ci dice la tradizione antica, ma non ha alcuna attinenza con la formazione originaria della
tragedia. Schelgel ci raccomanda di considerare il coro come la quintessenza e l'estratto della massa
degli spettatori come lo “spettatore ideale”. Il coro riconosce davanti a sé figure concrete e non
rimane consapevole di avere davanti un'opera d'arte. Il perfetto spettatore ideale lascia agire su di sé
il mondo della scena in maniera empirica e non estetica.
Schiller: il coro è come un muri vivente che la tragedia traccia intorno a sé per isolarsi dal mondo
reale e per difendere la libertà poetica.
L'effetto immediato della tragedia dionisiaca era che lo Stato e la società cedono ad un soverchiante
sentimento di unità che riconduce al cuore della natura.
In un certo qual modo l'uomo dionisiaco assomigli ad Amleto; entrambi hanno gettato uno sguardo
vero nell'essenza della cose, hanno conosciuto e provano nausea di fronte all'agire, giacché la loro
azione non può mutare nell'essenza eterna delle cose.
L'arte soltanto può piegare quei pensieri nauseanti per l'orrore o l'assurdità dell'esistenza in
rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il SUBLIME come addomesticamento
artistico dell'orrore e il COMICO come sfogo repressione artistica del disgusto per l'assurdo. IL
CORO DEI SATIRI DITIRAMBO È L'AZIONE SALVATRICE DELL'ARTE GRECA.
CAPITOLO VIII
Il greco nel satiro vede l'immagine originaria dell'uomo, l'espressione delle sue passioni più alte e
forti, come simbolo dell'onnipotenza sessuale della natura, qualcosa di elevato e divino: così doveva
apparire alo sguardo di dolore dell'uomo dionisiaco. Il pastore agghindato e falso lo avrebbe offeso.
L'illusione della civiltà era cancellata dall'immagine originaria dell'uomo, qui si svela l'uomo vero,
il Satiro barbuto che osanna il suo Dio. Davanti a lui l'uomo civile si contrae in una menzognera
caricatura.
Schiller ha ragione: il coro è un muro vivente contro l'assalto furioso della realtà, poiché esso- Coro
dei Satiri- riflette l'esistenza in modo più verace e reale che non l'uomo civile.
Il Coro dei Satiri mostra già in un'allegoria quel rapporto originario tra cosa in sé e apparenza.
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
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