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Poesia didascalico-moraleggiante

Fu una letteratura volgare che fiorì nel Duecento soprattutto nell’Italia settentrionale, tra i principali

esponenti ricordiamo Bonvesin della Riva e Giacomo da Verona. La lingua utilizzata da questi

autori è fortemente settentrionale, non ancora influenzata dalla lingua toscana che in questo

momento doveva ancora avere la sua affermazione.

Poeti siculo- toscani

La poesia siculo toscana si sviluppò in un primo momento principalmente tra Pisa e Lucca, per poi

espandersi anche a Firenze, lo stile riprende quello siciliano e vi è la ripresa del sonetto, di cui

Giacomo da Lentini è unanimemente considerato l’inventore.

Dolce stilnovo

Iniziatore di questa corrente poetica è considerato Guido Guinizzelli, oltre a lui i maggiori

esponenti furono Guido Cavalcanti, Dante Alighieri e Lapo Gianni. Col dolce stilnovo si ha

sicuramente un’importante svolta stilistica, tuttavia permangono gli elementi della tradizione

poetica precedente come i sicilianismi, i gallicismi e i provenzalismi.

I tre codici toscani che racchiudono la maggior parte della poetica medievale dai poeti siciliani al

primo Dante sono:

- Vaticano latino 37-93/ Biblioteca apostolica vaticana: sono circa mille componimenti, si tratta

di un codice fiorentino scritto forse a due mani, probabilmente si tratta di mercanti o comunque di

copisti non di professione. E’ ordinato in ordine cronologico da Giacomo da Lentini fino a Monte

Andrea e Chiaro Davanzati e secondo un criterio metrico: i sonetti sono divisi dalle canzoni.

- Laurenziano Rediano 9/ Biblioteca mediceo- laurenziana di Firenze: forse di mano pisana, è

appartenuto a Francesco Redi, contiene soprattutto poesie di Guittone d’Arezzo, ha

un’organizzazione di tipo metrico e cronolgicamente parte da Guittone e va a ritroso, contiene

anche Dante stilnovista e Bonagiunta Orbicciani.

- Banco Rari 217, conosciuto a lungo come Palatino 418/ Biblioteca nazionale di Firenze:

molto probabilmente di mano pistoiese, è il più antico e piccolo dei tre codici e anche il più bello

per via delle miniature che fanno di questo un codice di lusso; ampio spazio è dedicato alla scuola

siciliana toscanizzata, arriva fino a Guittone d’Arezzo.

Dante, primo teorico del volgare

Dante fu il primo a dedicare attenzione alla lingua volgare, le sue idee a riguardo sono espresse nel

Convivio e nel De vulgari eloquentia. Nel Convivio il latino è reputato superiore al volgare in

quanto utilizzato nell’arte, nel De vulgari eloquentia la superiorità passa al volgare in quanto ne

viene elogiata la sua naturalezza, che deve comunque essere in qualche modo regolarizzata

attraverso il latino; il De vulgari eloquentia, scritto in latino, è il primo trattato sulla lingua e sulla

poesia volgare, fu riscoperto nel Cinquecento e pubblicato in traduzione italiana da Trissino, fu uno

dei testi principali durante il dibattito linguistico nel Rinascimento. Nel De vulgari eloquentia Dante

ricostruisce attraverso il racconto biblico, partendo quindi dalla Torre di Babele, la nascita delle

lingue naturali e il fatto di essere naturali le distingue appunto dalla grammatica che al contrario

Dante considera come na creazione artificiale dei dotti che intendono frenare la continua

mutevolezza della lingua.

Secondo Dante l’Europa linguistica si divide in quattro aree che Dante distingue in base al modo di

pronunciare il sì: la lingua dell’iò, ovvero l’Europa del nord, quella dell’oil e dell’oc, ovvero il

centro-sud, la lingua del sì, quindi l’Italia più il greco parlato in Grecia. Da uno sguardo europeo,

l’analisi di Dante arriva alle parlate locali: Dante le esamina alla ricerca del volgare migliore e dalla

loro analisi giunge alla loro eliminazione, tutte per lui sono indegne del volgare illustre. Le uniche

migliori delle altre sono il siciliano e il bolognese, non inteso nelle loro forme popolari, ma il

siciliano di Federico II e il bolognese di Guinizelli.

La prosa duecentesca

E’ indietro rispetto all’alto sviluppo della poesia duecentesca. Nel campo della prosa il latino

detiene ancora il primato assoluto, sono in latino quasi tutti i documenti giudiziari, amministrativi,

giuridci, le scritture filosofiche, religiose ecc. Il volgare influenza il latino e a sua volta ne è

influenzato. Abbiamo il fenomeno dei volgarizzamenti: il volgarizzamento non è una vera e propria

traduzione, ma partendo da un testo latino o francese si arrivava ad una scrittura di alto valore

sperimentale. La prosa italiana nasce dunque con una grande influenza del latino e di un’influenza,

decisamente minore, del francese – lingua in cui alcuni italiani scrivono, Il Milione di Marco Polo,

il Tresor di Brunetto Latini.

Possiamo distinguere una prosa d’arte, particolarmente curata, da una prosa media.

Nella prima categoria oltre a Dante Alighieri rientra sicuramente Guido Faba, primo prosatore

italiano.

Guido Faba, oltre alle opere in latino, scrisse due trattati che riportano consigli su come scrivere

lettere in modo elegante in volgare illustre bolognese. Questi trattati sono la Gemma purpurea e i

Parlamenta et epistole.

- Gemma Purpurea: lingua è volgare, illustre bolognese depurato dai tratti più vernacolari e farcito

di latinismi, francesismi, sicilianismi e rivela la sua provenienza settentrionale ( es. sia > SCIA ).

- Parlamenta et epistole: molto simile alla Gemma purpurea, stesso argomento; consigli sulla

stesura di lettere eleganti che vedono una sintassi ricca di subordinate (ipotassi) e un lessico alto,

ripreso dalla filosofia e dalla poetica siciliana, seguono modelli latini e francoprovenzali.

La prosa media è invece caratterizzata più da una sintassi paratattica, da periodi abbastanza brevi e

ripetizioni lessicali, i modelli che segue sono quelli della prosa media latina e i testi della tardo-

latinità.

- Novellino: è considerato il primo testo di prosa narrativa, è stato divulgato anche sotto il nome

Libro di novelle e di bel parlar gentile. E’ un testo anonimo di aria fiorentina, il tema è il bel motto,

il bel parlare elegante e retorico, avrà influenza su Boccaccio.

- Composizione del mondo e le sue cagioni, Restoro D’Arezzo, 1282: è considerato il primo

trattato scientifico in volgare, segue il modello di Aristotele, contiene tecnicismi ancora in uso.

Il Cinquecento

Se durante l’umanesimo il volgare non godeva di alcun prestigio, durante questo secolo vi è invece

una grande rivalutazione da parte dei dotti e assistiamo al trionfo della letteratura in volgare con

autori come

Ariosto, Tasso, Aretino, Machiavelli e Guicciardini. Il latino continua a rappresentare il livello più

alto della cultura e ad avere un ruolo centrale, ma si respirava un nuovo clima e si ebbero infatti le

prime stabilizzazioni normative dell’italiano, le prime grammatiche e di vocabolari. La maggior

parte dei lettori infatti era poco interessata in realtà alle discussioni teoriche e aveva bisogno di

soluzioni pratiche al fine di scrivere correttamente. Quindi assistiamo al superamento della coinè

quattrocentesca in favore di una lingua normalizzata che prende lo status di lingua di cultura. Come

si diceva il latino continua ad avere un ruolo centrale, in particolare in alcuni settori come quello del

diritto e della giustizia, ad esempio nel Cinquecento la maggior parte degli statuti delle città erano

ancora in latino. Nonostante la lingua della giustizia fosse il latino però si inizia a notare una

mescolanza di lingue (latino/italiano) ad esempio nei verbali, famoso quello della guardia carceraria

che riporta il comportamento di Tommaso Campanella dove le parole della guardia e quelle che

riporta dall’imputato sono in volgare. Dal punto di vista letterario invece il volgare si affermava

fortemente nella storiografia con Machiavelli e Guicciardini.

Pietro Bembo e la questione della lingua

Nel 1501 uno nacque un’importante collaborazione, quella tra Bembo e Manuzio, editore del Le

cose volgari di Messer Francesco Petrarca curato da Bembo, ovvero il Petrarca volgare. Il titolo

non è più in latino e in generale sulle innovazioni di quel testo si sarebbero poi fondate le teorie

esposte nelle Prose della volgar lingua del 1525. Tra le varie cose compariva il segno

dell’apostrofo, la cui prima comparsa si fa risalire al De Atena di Bembo. Le Prose della volgar

lingua saranno al centro della cosiddetta questione della lingua, l’interminabile discussione sul

volgare e sulla sua natura. Le Prose contengono un dialogo immaginato nel 1502 tra Giuliano de’

Medici che rappresenta la continuità col pensiero umanistico, Federico Fregoso che espone tesi

storiche, Ercole Strozzi che riporta le tesi anti-volgare e Carlo Bembo, fratello di Pietro, che riporta

il pensiero dell’autore. Sono tre libri e il terzo è una grammatica sempre in forma di dialogo. Nelle

Prose viene svolta un’ampia analisi storico-linguistica secondo la quale il volgare sarebbe nato dalla

contaminazione barbara del latino e si sarebbe riscattato dalle sue origini barbare solo grazie al suo

utilizzo in letteratura. Per volgare Bembo intende il toscano letterario trecentesco, la lingua delle

Tre Corone fiorentine, in particolare di Petrarca e Boccaccio, di Dante non accetta tutto perché per

nobilitare la lingua era necessario un totale rifiuto della popolarità e Dante arriva ad utilizzare anche

uno stile basso e realistico. Petrarca da questo punto di vista è impeccabile, per quanto riguarda

Boccaccio, Bembo non si riferisce al Boccaccio delle novelle del Decameron, ma allo stile vero e

proprio dello scrittore caratterizzato da sintassi latineggiante, inversioni e frasi gerundive. Quindi

Bembo pensava che nonostante il volgare avesse raggiunto la sua vetta nel trecento con le Tre

Corone potesse ancora raggiungere risultati eccellenti attraverso la regolamentazione che le

proponeva come modelli nelle Prose. La prima edizione delle prose fu quella del 1525 di Tacuino,

cui ne seguirono una del 1538 e una del 1549 – postuma – che è quella utilizzata dai testi moderni,

abbiamo un manoscritto, il Vaticano latino 3210. Il manuale di linguistica Marazzini propone un

testo per ciascuno dei tre libri in cui sono divise le Prose. Nel testo che riporta estratto dal primo

libro Bembo sostiene che la lingua possa aspirare a risultati migliori solo distanziandosi dall’uso

popolare, nel testo estratto dal secondo libro Bembo esprime la sua ammirazione per Dante, ma non

condivide tutte le sue scelte linguistiche, come l’utilizzo di parole come “biscazza”, ovvero ricche

di consonanti, né i contesti in cui queste richiedono d’essere utilizzate. Da questo testo fuoriescono

le caratteristiche linguistiche di Bembo: una sintassi complessa e articolata, la I prostetica prima di

S + consonante, il raddoppiamento fonosintattico e gli imperf

Dettagli
A.A. 2015-2016
27 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher appuntiuniversità di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di linguistica italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Consales Ilde.