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Un’altra prospettiva definisce la deumanizzazione come la più radicale delle strategie di
delegittimazione intergruppi. Secondo Bar-Tal, il processo di delegittimazione esclude in modo
permanente il gruppo delegittimato dalla cerchia dei gruppi che si reputano civili. Il processo serve
a differenziare positivamente il gruppo che opera la delegittimazione rafforzandone la coesione
interna, a irrigidire le barriere intergruppi e a promuovere azioni negative nei confronti del gruppo
delegittimato. Bar-Tal ha individuato 5 strategie di delegittimazione:
1) Espulsione sociale: i membri del gruppo delegittimato sono considerati violatori delle norme
sociali fondamentali;
2) Caratterizzazione in tratti: i membri del gruppo sono definiti da tratti fisici o di personalità
estremamente negativi;
3) Uso di etichette politiche: i membri del gruppo sono categorizzati in gruppi politici
considerati inaccettabili dalla società delegittimante, nazisti ad esempio;
4) Confronto tra gruppi: vengono fatti confronti che definiscono in modo negativo i membri del
gruppo delegittimato;
5) Deumanizzazione: il gruppo delegittimato viene categorizzato come inumano attraverso
paragoni con animali o mostri.
Studi successivi hanno poi aggiunto altre 3 strategie: uso del gruppo delegittimato per
delegittimare altri gruppi; enfatizzazione della numerosità del gruppo delegittimato; segregazione.
Ad esempio, esaminando “Difesa della razza”, è emerso che molte strategie di delegittimazione
sono state utilizzate nei confronti degli ebrei: essi furono delegittimati progressivamente nel corso
degli anni, furono paragonati ad animali (parassiti, sanguisughe), demoni, elementi patologici. Nel
“Mein Kampf”, Hitler deumanizzava ossessivamente i nemici e le razze reputate inferiori (neri
come mezze scimmie; ebrei e marxisti paragonati a polipi, avvoltoi, iene o anche demoni e diavoli),
ha utilizzato anche un registro biologico (veleno, pestilenza) e il registro morale (immorali,
svergognati).
-Immagine emblema: nella “Difesa della razza” l’immagine della silhouette umana coi 4 riquadri.
Le funzioni della deumanizzazione
Le sue funzioni ricordano le funzioni sociali degli stereotipi discusse da Tajfel: fornire spiegazioni
condivise per eventi sociali complessi, attribuire al proprio gruppo caratteristiche che gli
permettano di differenziarsi positivamente dagli altri gruppi, giustificare azioni pianificate o già
compiute nei confronti di gruppi percepiti come nemici.
Per la deumanizzazione sono state indicate funzioni analoghe: i gruppi deumanizzano per
giustificare la violenza progettata o commessa verso altri gruppi e per legittimare lo status quo e il
posto in esso ricoperto. Una terza funzione compare in ambiti lavorativi stressanti che richiedono di
prendere distanze dalla situazione.
La prima funzione è quella della giustificazione della violenza intergruppi secondo cui la
deumanizzazione è necessaria perché individui o gruppi vengano respinti ai margini della società e
possano essere poste in atto nei loro confronti violenze estreme; la deumanizzazione permette di
sopprimere le emozioni di empatia e compassione quando vediamo soffrire i nostri simili. Essa è
quindi funzionale a propositi di annientamento e sterminio. Dopo l’11 Settembre sono stati
pubblicati parecchi lavori che mostrano come la deumanizzazione del nemico sia servita a
costruire il consenso della “guerra al terrore”, a tollerare le violazioni dei diritti umani; termini quali
<<terroristi>> hanno escluso i nemici dall’orizzonte morale, creando una categoria di individui ai
quali non sono riconosciuti i diritti degli esseri umani. In molti casi il nemico viene indicato come un
animale o anche come un organismo invisibile che prolifera come un virus, un batterio; in altri
l’immaginario evocato è quello dei mostri (musulmani associati alla peste, giapponesi alla malaria).
Secondo Steuter e Wills, sebbene queste immagini operano nell’immaginario, esse hanno effetti
sul reale. Anche le metafore impiegate dai media hanno lo scopo di desensibilizzare chi le osserva.
Una seconda funzione dei processi deumanizzanti è la legittimazione dello status quo:
deumanizzare i poveri, gli sfortunati, i vinti è consolante per chi povero, sfortunato, vinto non è o
non si considera tale. In questo senso la deumanizzazione ha una funzione rassicurante per i
gruppi favoriti: serve a credere che non saranno toccati da una sorte analoga a quella dei gruppi
meno fortunati (esempio, gli immigrati definiti come oggetti). La deumanizzazione in questo senso
serve alla giustificazione morale, che permette di non destinare risorse a vittime sfortunate e
bisognose, serve a legittimare lo status quo e a difendere la posizione sociale da potenziali
minacce.
La terza funzione della deumanizzazione, riguarda i comportamenti messi in atto da chi ricopre
una posizione di potere e deve prendere decisioni potenzialmente pericolose e dolorose per altri
esseri umani. Questa funzione non ha necessariamente l’impatto negativo delle 2 precedenti: si
tratta di una funzione difensiva in quanto permette a molti operatori sociali (esempio medici,
psichiatri, assistenti sociali) di prendere decisioni difficili all’interno di contesti particolarmente
pesanti e coinvolgenti. Lammers e Stapel hanno postulato che vi sia un’associazione tra potere e
deumanizzazione in cui quest’ultima serve ad aiutare le persone che devono prendere decisioni
difficili a giustificare tali decisioni, mettendo in secondo piano le sofferenze altrui. Da 3 loro studi è
emerso che: soggetti con alti punteggi nella scala di potere personale, deumanizzavano
maggiormente; più alto era il grado di potere percepito dai soggetti in alcuni compiti, maggiori
erano le deumanizzazioni operate nelle scelte.
La prospettiva delle vittime
Gli studi psicosociali si sono molto concentrati sui carnefici e poco sulle vittime. Le sole indagini nei
confronti delle vittime riguardano raccolte di testimonianze dei superstiti e analisi d’archivio dei
materiali disponibili. Viene preso in esame “Se questo è un uomo” in cui viene messa in luce la
deumanizzazione dei prigionieri voluta dai nazisti. Ad essi veniva cancellato il nome, impresso un
tatuaggio sul braccio sinistro, venivano annullate le relazioni affettive, gli scopi erano ristretti,
furono annullati orizzonti passati e futuri. L’opera di bestializzazione compiuta dai nazisti è descritta
dalla prospettiva delle vittime: essi erano paragonati a bestie stanche, i più sfiniti erano come i cani
da slitta che muoiono in pista, i più resistenti erano paragonati a cavalli da traino. Le donne per gli
esperimenti medici venivano chiamate coniglie. Un altro paragone avvicina gli ebrei alle bestie da
macello e i campi ai mattatoi.
La deumanizzazione descritta dai sopravvissuti dei campi assume le forme dell’animalizzazione,
della biologizzazione, del paragone con elementi naturali (alberi e pietre), della meccanicizzazione
(automi, macchine), della riduzione a oggetti o demoni/mostri. Sulla base di tali osservazioni si
possono formulare 3 riflessioni:
1) Le forme della deumanizzazione descritte nelle testimonianze di chi ha conosciuto la
situazione estrema sono più complesse di quelle considerate nella letteratura psicosociale.
2) La seconda riflessione nasce dalla definizione degli ebrei come entità subumane e
superumane, bestie e demoni. Essa ricorda un’altra deumanizzazione, quella contro gli
indiani definiti come “diavoli rossi”. Quando si vuole sfruttare una popolazione, l’impiego
delle metafore animali è sufficiente; se però si vuole sterminare un gruppo umano per
ripulire un territorio dalla contaminazione, allora è più appropriato ricorrere sia a metafore
subumane sia a metafore superumane: le prime servono a creare distanza e disgusto, le
seconde per diffondere l’idea che la minaccia sia talmente grave da dover eliminare
completamente l’alieno.
3) Riguarda il concetto di deumanizzazione nelle pagine di Levi, concetto più ampio di quello
degli studi psicosociali: per Levi la deumanizzazione coinvolge non solo le vittime ma
anche gli aggressori: deumanizza anche chi la compie (i personaggi descritti nella sua
opera non sono più uomini, la loro umanità è sepolta).
3)LA DEUMANIZZAZIONE SOTTILE
Esistono forme meno appariscenti, più sottili e quotidiane, che ci portano a percepire gli altri non
come esseri inumani, animali o mostri, ma come individui solo un po’ meno umani di noi
solitamente senza che l’attore sociale ne abbia consapevolezza.
L’infra-umanizzazione
Il primo progetto di ricerca sulla deumanizzazione sottile è stato sviluppato nell’università di
Lovanio da Leyens il quale ha implementato un nuovo paradigma di ricerca: la teoria dell’infra-
umanizzazione; il termine è stato coniato per distinguere il fenomeno sottile dai fenomeni di
deumanizzazione esplicita e indica il processo per il quale le persone percepiscono gli
appartenenti a gruppi estranei come meno umani rispetto agli appartenenti al proprio gruppo.
L’autore è partito dalla rilevazione delle caratteristiche che definiscono l’umano: le risposte dei
partecipanti si sono articolate attorno ai concetti di intelligenza, linguaggio, sentimenti. L’attenzione
è stata focalizzata sul terzo elemento, i sentimenti, e ha portato alla distinzione tra emozioni
primarie (quelle che gli esseri umani hanno in comune con gli animali) ed emozioni secondarie
(esclusivamente umane): distinzione tra emozioni (reazioni emotive che sia uomini sia animali
possono provare, paura o gioia ad es.) e sentimenti (reazioni emotive solo degli umani, nostalgia o
orgoglio ad esempio). Leyens e colleghi hanno rilevato che mentre le emozioni primarie sono
attribuite sia ai membri del proprio gruppi sia ai membri di altri gruppi, le emozioni secondarie sono
attribuite principalmente al proprio gruppo. I membri dell’outgroup sono infra-umanizzati, cioè
considerati meno umani dei membri dell’ingroup.
L’infra-umanizzazione costituisce una forma sottile e inconsapevole di etnocentrismo: è un
fenomeno che coniuga aspetti di favoritismo per l’ingroup e svalutazione dell’outgroup, l’infra-
umanizzazione si distingue dalla deumanizzazione esplicita.
Nell’ambito dei mass meda, i legami con l’infra-umanizzazione sono stati poco studiati anche se
oltre alle tradizionali forme esplicite, nei media, esistono anche forme sottili. La pericolosità delle
forme sottili è anche maggiore di quella delle forme esplicite che sono riconoscibili e possono
essere oggetto di discussione. Le forme sottili invece sono difficili da riconoscere: nel riferire le
notizie dello tsunami del 2005 i giornali hanno ad esempio dedicato ampio spazio alle vittime
occidentali e poco spazio alle vittime loca