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IL CURATORE

Il curatore nominato dal tribunale fra soggetti muniti di particolari requisiti di professionalità,

esperienza ed indipendenza, è l’organo, investito della qualità di pubblico ufficiale, che

operativamente si fa carico di portare a compimento le finalità della procedura. A questo fine egli ha

l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura, sotto

però la vigilanza degli altri organi. Egli è pertanto legittimato a compiere atti negoziali con terzi e a

stare in giudizio per conto della procedura. Nell’esercitare questo potere il curatore è

sostanzialmente autonomo, tanto ciò vero che i suoi atti possono costituire oggetto di reclamo solo

dal punto di vista dell’eventuale violazione di legge, ma non sono sindacabili nella loro

discrezionalità tecnica. L’autonomia e la discrezionalità delle iniziative del curatore non è del resto

contraddetta dal fatto che la sua legittimazione risulti talora condizionata da autorizzazioni, tanto è

vero che queste non avrebbero comunque la possibilità di esimerlo da responsabilità. Si tratta delle

autorizzazioni del giudice delegato o di quelle del comitato dei creditori per gli atti di straordinario

amministrazione. Se poi si tratti di atti che attuino l’azione liquidatoria ex ante pianificata in un

programma di liquidazione, questo dovrà essere approvato nel suo complesso dal comitato dei

creditori e comunicato al giudice delegato, che autorizzerà il compimento degli atti ad esso

conformi. Poco dopo l’inizio della sua attività il curatore dovrà presentare al giudice delegato una

relazione particolareggiata sulle cause e sulle circostanze del fallimento e sulla condotta e le

eventuali responsabilità, anche penali del fallito, dopodichè, ogni sei mesi, un rapporto riepilogativo

sulle attività svolte. All’esito del suo mandato, infine, renderà il conto della gestione, salvo

contestazioni, potrà dirsi liberato da responsabilità. Se invece, dopo il rendiconto ma anche durante

la procedura, gli venisse contestato di non aver adempiuto ai suoi doveri con la diligenza

professionale, potrà essere revocato e subire un’azione di responsabilità.

IL COMITATO DEI CREDITORI

I poteri di gestione del curatore, come visto, vengono ad essere fortemente compartecipati, non

tanto nella legittimità quanto nel merito, dal comitato dei creditori. Questo infatti è chiamato a

condividere le iniziative del curatore, spesso autorizzandole, talvolta limitandosi ad esprimere una

mero parere non vincolante. La condivisione di scelte che possono anche rivelarsi strategiche rende

opportuno che il comitato dei creditori venga ad essere composto da creditori scelti dal giudice

delegato, dopo aver consultato il curatore e i creditori, in modo da rappresentare in misura

equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei

crediti stessi. Il comitato ha ampi poteri ispettivi ed informativi. Decidendo poi anche

informalmente e con voto espresso a distanza, a maggioranza dei votanti. Anche contro gli atti del

comitato dei creditori è ammesso reclamo al giudice delegato da parte del fallito o di ogni altro

interessato, per violazione di legge. Il decreto motivato con cui il giudice decide su di esso è a sua

volta reclamabile al tribunale.

24.GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO

PER IL DEBITORE

Una prima serie di effetti della dichiarazione di fallimento investe la legittimazione

dell’imprenditore fallito a disporre del suo patrimonio. Si tratta del spossessamento: la sentenza che

dichiara il fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti

alla data di dichiarazione di fallimento, e per beni intendendosi ogni situazione giuridica attiva,

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anche processuale, di cui il fallito sia titolare. Da questo momento in poi e per tutta la durata della

procedura, tali poteri spettano al curatore al fine di destinare il patrimonio del fallito alla

soddisfazione dei creditori, dando così attuazione al generale principio della responsabilità

patrimoniale. Sicchè saranno tendenzialmente compresi nell’asse fallimentare anche i beni che

pervengono al fallito durante la procedura, ad esempio un’eredità o il denaro guadagnato per mezzo

di attività lavorativa o al limite anche di una vincita al gioco. Il spossessamento si caratterizza per la

relatività della sua efficacia. Esso, innanzitutto opera soltanto a beneficio dei creditori concorsuali e

non riguarda necessariamente tutti i beni del fallito. Soprattutto per quanto riguarda i beni o a

disporne ma non certo sulla titolarità dei relativi diritti che permane immutata almeno sino a quando

essi non escano dal patrimonio appreso dalla curatela per essere stati ceduti a terzi nell’ambito della

liquidazione concorsuale.

Perdere la legittimazione a disporre dei beni appresi alla procedura, significa soltanto che finchè

essa dura nessuna iniziativa del fallito potrà distogliere quei beni dalla finalità di soddisfare i

creditori, rispetto ai quali, ogni iniziativa del fallito resterà del tutto inefficace. Ma si tratterà

appunto di inefficacia relativa. Per effetto dello spossessamento ne perde la titolarità dei suoi beni,

né d’altronde perde la generale capacità di agire, ciò vuol dire che un atti da lui compiuto durante la

procedura sarebbe in principio valido e produrrebbe i suoi effetti nei confronti dei terzi, ad

eccezione però dei creditori concorsuali, rispetto ai quali quell’atti potrà essere considerato incapace

di modificare la consistenza del patrimonio fallimentare destinato ad essere liquidato a loro

soddisfazione. Diversamente, se il bene non fosse stato ceduto a nessuno per effetto della

procedura, una volta che questa fosse chiusa l’atto di vendita valido, potrebbe spiegare appieno i

suoi effetti, e cosi il compratore potrebbe non solo acquistarne l’incondizionata proprietà, ma

eventualmente prevalere su altro acquirente che avesse acquistato dallo stesso alienante sulla base

di atto trascritto posteriormente al suo. È questo il significato della regola, che costituisce un

corollario del spossessamento, secondo cui tutti gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di

fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori, a prescindere dal loro effetto pregiudizievole o meno

per i creditori.

La limitazione della legittimazione del fallito opera anche sul piano processuale. Come gli è

spossessato dal suo patrimonio, allo stesso modo lo è in tutte le controversie relative a rapporti

patrimoniali che lo riguardano, egli non potrà più partecipare al processo, essendo piuttosto

sostituito dal curatore. In ultimo, è a dirsi che gli effetti della dichiarazione di fallimento per il

fallito possono essere anche personali, benchè oggi in misura molto minore di quanto previsto nel

passato. Non è più previsto, un registro dei falliti. Al di là delle possibili conseguenze penali del

fallito e dei generali obblighi di collaborazione che il fallito ha nei confronti della procedura, gli

effetti di tipo personale previsti dalla legge fallimentare possono ormai essere fondamentalmente

individuati nella compressione di due diritti personali costituzionali garantiti: la segretezza

epistolare e la libertà di circolazione.

PER I CREDITORI

Se presupposto del fallimento è l’incapacità dell’impresa ad adempiere alle proprie obbligazioni, la

sua finalità è quella di soddisfare coloro verso i quali tali obbligazioni dovrebbero essere adempiute.

Costoro sono detti creditori concorsuali in quanto l’apertura della procedura farà si che

l’accertamento e la soddisfazione delle rispettive pretese dovrà avvenire collettivamente anche al

fine di rispettare la regola della par condicio: e dunque concorsualmente. Dall’apertura del

fallimento, tali creditori non potranno più agire individualmente. Le regole fallimentari non

disconoscono, che fra i creditori concorsuali potrebbero ben esservene alcuni minuti di legittime

cause di prelazione e perciò privilegiati, che meritano di essere soddisfatti con precedenza rispetto

agli altri creditori detti chirografari. Anzi tanti risultano i casi in cui il nostro ordinamento riconosce

queste cause di prelazione, che spesso, alla prova dei fatti, il principio di preferenza risulta

predominante su quello di proporzionalità. Né si disconosce che anche fra i chirografari possono

esservi creditori, detti subordinati o postergati che potranno essere soddisfatti solo dopo gli altri

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chirografari. Possono esservi innanzitutto delle pretese aventi ad oggetto diritti, reali o personali su

beni i quali si assumono estranei alla massa attiva destinata alla regolazione concorsuale dei crediti.

Chi vanti una tale pretesa, chiederà che quei beni vengano separati dalla restante massa attiva per

essere attribuiti all’avente diritto, che quindi sarà soddisfatto integralmente e non concorsualmente

pro quota. Benché poi i crediti sorti dopo il fallimento restino in principio del tutto estranei alla

procedura, possono esservene altri dei quali invece la massa dovrà farsi carico per legge o per scelta

degli organi concorsuali. Si pensi cosi a quanto occorra per pagare il compenso del curatore, o ai

canoni per i contratti di affitto in essere, ovvero alle obbligazioni assunte dalla curatela per

proseguire l’esercizio dell’impresa. In tali casi non si tratta di debiti concorsuali, ma di debiti della

massa, quelli cioè che gli organi della procedura abbiano dovuto o voluto assumersi, e che allora

non dovranno essere regolati concorsualmente, ma pagati per intero e prima degli altri crediti, come

si dice, in prededuzione. Anche per tali crediti verso la massa e per le altre pretese sui beni di cui si

chieda la separazione della massa è previsto che il relativo accertamento e la loro regolazione

debbano avvenire all’interno della procedura secondo le regola da essa imposte. Tutti questi principi

per cui il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito trovano espressione

nelle due fondamentali regole poste dagli articoli 51 e 52.

Il primo prevede il blocco delle azioni esecutive e cautelari, salva diversa disposizione di legge, dal

giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per

crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita nei confronti del fallimento.

Inoltre ogni credito anche se munito di prelazione, dovrà essere accertato secondo le norme

stabilite. Vale a dire che ogni pretesa avanzata nei confronti della procedura dovrà essere verificata

secondo le norme tipiche della procedura fallimentare. Ess

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A.A. 2015-2016
122 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giammysannino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Napoli - Parthenope o del prof Santagata De Castro Raffaello.