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DIDATTICA DELLE LINGUE MODERNE
I. NASCITA DI UNA DISCIPLINA
I.1. Introduzione
Quando parliamo di “educazione linguistica” ci riferiamo a un’espressione che ha assunto un
significato a partire dagli anni ’70, quando si vennero a creare un complesso di ipotesi teoriche,
posizioni politiche e proposte didattiche incentrate sul tema dell’insegnamento della lingua madre,
cioè dell’italiano agli italiani. L’inizio dell’interesse nei confronti dell’ educazione linguistica si
deve a Tullio De Mauro; tuttavia, la prima attestazione dell’espressione è datata 1873 e la si trova in
uno scritto di Francesco D’Ovidio.
I.2. Inquadramento storico
Dobbiamo ricordare che fin dalla nascita del volgare, le popolazioni della penisola hanno usato una
pluralità di idiomi che oggi chiamiamo “dialetti”. Ma attenzione! → Marazzini: nel periodo che va
dalle origini al ‘400 non ha senso parlare di “dialetti”. Si può parlare di dialetto solo una volta
che si è affermata una lingua. Dialetto senza contrapposizione a “lingua” è un concetto
inapplicabile; gli studiosi, per questi secoli, parlano genericamente di volgari italiani.
Ad eccezione del dialetto fiorentino del ‘300 (che diventò lingua dei dotti prima e lingua nazionale
dopo), i dialetti italiani sono serviti sempre come veicolo linguistico di comunità ristrette e aree
geografiche limitate → ma attenzione! Non per questo sono idiomi “inferiori” alla lingua nazionale.
L’idioma chiamato “italiano” (a partire dal ‘500) e formato da dialetto fiorentino trecentesco più
latinismi meno tratti locali è rimasto per secoli quasi del tutto appannaggio della gente di lettere.
Fino a metà ‘800 la grande borghesia urbana e l’aristocrazia conoscono meglio il francese che
l’italiano (come lingua di cultura). Le varie classi utilizzavano e si intendevano grazie all’uso dei
dialetti e altri idiomi.
Dopo l’unificazione politica le cose cominciano a cambiare: oltre che programma di governo, altri
noti fattori di unificazione linguistica furono:
l’industrializzazione e la mobilità interna (soprattutto da sud a nord);
- l’urbanizzazione e i fenomeni migratori dalle campagne alle città;
- la diffusione della scolarità elementare prima e post-elementare poi;
- la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa: radio, cinema e televisione.
-
Processo di diffusione di una lingua comune → II metà dell’800, due posizioni abbastanza
inconciliabili: MANZONIANI DE SANCTIS, ASCOLI, D’OVIDIO
Attraverso la scuola si può condurre la lotta Contrari alla lotta indiscriminata ai dialetti
contro i dialetti e imporre il tipo linguistico perché depositari di un ethos locale da non
fiorentino. disperdere → i dialetti non vanno messi in
ridicolo ma studiati e confrontati con la lingua.
↓
L’atteggiamento delle autorità sarà vicino alle posizioni dei manzoniani.
OBBLIGO SCOLASTICO DEL 1859 CON LA LEGGE CASATI → scarso adempimento: Camillo
Corradini, burocrate del ministero dell’Istruzione, ebbe l’incarico di stendere una relazione sulla
situazione scolastica italiana e delineò un quadro sconfortante.
I motivi del fallimento dell’educazione linguistica, legati al fatto che i bambini continuavano ad
avere gravi carenze linguistiche, erano da ritrovare nel fatto che i maestri tendevano ad usare in
classe il dialetto o un misto di dialetto e lingua letteraria. Dunque la DIALETTOFONIA DIFFUSA
e L’IMPOSIZIONE DI UN MODELLO LETTERARIO DI ITALIANO sarebbero le principali
cause del fallimento scolastico nella diffusione di una lingua unitaria.
Primo dopoguerra → politica linguistica del fascismo, ideale nazionalista e purista che si basò
sull’antidialettalismo, la lotta contro le lingue delle minoranze e i forestierismi (nelle scuole
vengono promossi programmi di espulsione del dialetto).
Secondo dopoguerra → boom economico e ricostruzione che portano una maggiore mobilità interna
e quindi un incontro di lingue e culture; le parlate locali vanno in crisi perché non più idonee a
garantire la circolazione delle idee. Parallelamente aumenta l’incidenza della scuola.
Nel 1962 viene poi introdotta la scuola media unica che alzava l’obbligo scolastico a 14 anni.
Anche i maestri nel frattempo erano cambiati, non parlavano più dialetto, si era imposto il
cosiddetto “italiano scolastico”.
I.3. I maestri
È del 1967 la denuncia di DON LORENZO MILANI, ispiratore e coautore di un libretto intitolato
Lettera a una professoressa, nel quale si trovano una serie di forti critiche alle modalità
dell’insegnamento linguistico in uso. È un “libro collettivo” scritto dai ragazzi della scuola di
Barbiana, una scuola popolare allestita da Don Milani con lo scopo di fornire l’istruzione
obbligatoria a bambini e ragazzi di un isolato villaggio di montagna: esso si presenta come una
lunga lettera di un ragazzo non precisato a un’innominata professoressa, simbolo dei problemi del
sistema scolastico italiano → la scuola non si accorse subito della centralità del problema
linguistico per i bambini dialettofoni, che accumulavano insufficienze e, se pure ammessi per
obbligo alla scuola media, ne venivano espulsi subito dopo.
Da questo libretto viene fuori come i “poveri” siano vittime di un deficit linguistico che non
permette loro di partecipare alla vita sociale e politica della comunità. La responsabilità della scuola
è quindi quella di colmare questo deficit, non di aggravarlo.
La scarsa considerazione per la lingua dei poveri, cioè per il dialetto, aveva come conseguenza
l’emarginazione dei figli dei contadini e degli operai, che erano quindi tagliati fuori da ogni
possibilità di riscatto e di emancipazione → si attuava così un processo circolare per cui l’uso della
lingua non riusciva ad eliminare le differenze sociali ma anzi le rafforzava.
Per Don Milani il fallimento della scuola è totale ed è a causa di questi 3 punti:
il modello di lingua proposto dalla scuola è troppo lontano dalle abitudini linguistiche delle
- classi povere, è anacronistico, improntato su modelli letterari superati;
la lingua proposta è ipocrita e perbenista, incapace di chiamare le cose con il loro nome;
- i richiami culturali della scuola sono perlopiù quelli della borghesia, non c’è attenzione per
- la cultura del popolo.
Si accusa soprattutto la scuola di non insegnare a scrivere → al contrario, nella scuola di Barbiana si
metterà a punto un modello di laboratorio di scrittura.
↓
Nella Lettera ritroviamo molte idee e ipotesi di lavoro che saranno messe a punto da ricercatori e
insegnanti successivi che si impegneranno nel campo della didattica della scrittura.
Processo di scrittura come compito complesso, scomponibile in vari sotto-processi:
raccogliere idee (INVENTIO);
- riesaminarle, filtrarle, selezionarle e disporle in una successione di contenuti
- (DISPOSITIO), con paragrafi e sotto-paragrafi.
Infine la Lettera contiene indicazioni sul piano linguistico e sullo stile: sintassi breve e asciutta,
lessico comune, chiarezza e comprensibilità.
La vicenda di Don Lorenzo Milani è collegata ad altre figure di maestri esemplari che provarono a
rinnovare i modi tradizionali dell’insegnamento linguistico → il primo da ricordare è BRUNO
CIARI.
Maestro e organizzatore culturale, interprete del pensiero educativo e delle tecniche didattiche del
francese CÉLESTIN FREINET:
l’atmosfera di classe serena e rilassata;
- la corrispondenza interscolastica;
- la tipografia scolastica (strumento di liberazione del pensiero infantile e di dialogo fra il
- bambino e il suo ambiente).
Quella di Freinet, che possiamo chiamare “pedagogia cooperativa”, ebbe largo seguito in Europa →
in Italia già nel 1951 si costituisce la Cooperativa della Tipografia a Scuola, o CTS, che poi si
trasformò in MCE, Movimento di Cooperazione Educativa. L’MCE è stata una delle prime
associazioni di insegnanti a porsi il problema di una rinnovata educazione linguistica → una delle
idee più innovative fu il riconoscere la supremazia del linguaggio parlato sullo scritto da cui scaturì
la cosiddetta tecnica del “testo libero orale”:
→ l’uso scritto deve sempre seguire reali esigenze comunicative;
→ NO scrittura scolastica artificiosa solo finalizzata alla valutazione;
→ scrittura come esercizio di trasposizione del pensiero in forme testuali motivanti per l’allievo.
Dobbiamo a Ciari e ad altri seguaci di Freinet la nascita dei giornalini scolastici.
Per quanto riguarda la tecnica del “testo libero orale”, un altro uomo eccezionale che la rese famosa
su MARIO LODI. Ricordiamo i suoi libri, Il paese sbagliato (1970) e C’è speranza se questo
accade al Vho (1972), da cui emerge l’importanza della discussione di classe basata sulle
domande-stimolo del maestro, che servono a fare ipotesi, argomentare, ragionare insieme.
I maestri ORLANDO SPIGARELLI e MARIA MALTONI della scuola di San Gersolè hanno
lasciato testimonianze scritte del loro lavoro e del loro metodo → Spigarelli incoraggiava gli alunni
a produrre testi che alternavano italiano e dialetto a seconda delle situazioni e dei personaggi
chiamati in causa, la Maltoni ha raccolto dei diari, i Quaderni di San Gersolè, in cui i ragazzi
raccoglievano e descrivevano la natura che li circonda.
DON ROBERTO SARDELLI → opera educativa nelle borgate romane, di cui aveva colto lo
sradicamento culturale e linguistico. Le sue parole riecheggiano quelle della Lettera.
I.4. I linguisti
Anche il mondo della linguistica italiana era in fermento → nuova generazione di studiosi del
linguaggio, costituzione della SLI (Società Linguistica Italiana, 1967) lo stesso anno della
pubblicazione della Lettera, che promuove “la creazione di una comunità di studiosi” “attraverso il
contatto tra studiosi di glottologia, storia della lingua, etimologia, fonetica e altre discipline”
↓
interesse per l’educazione linguistica immediatamente forte, convegni annuali
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IV convegno = L’insegnamento dell’italiano in Italia e all’estero
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dalla SLI nacque per formazione diretta una nuova associazione, il GISCEL (Gruppo di Intervento e
Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) che avrà come unico obiettivo il rinnovamento della
pedagogia tradizionale.
I.4.1. La storia linguistica dell’Italia Unita
Questo libro è stato scritto e pubblicato da Tullio De Mauro prima nel 1963 e poi nel 1970 →
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