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CAPITOLO 3: MODELLO (O MODELLI?) DI LINGUA E NORMA
3.1 L’italiano standard e neo-standard
Partiremo da una concezione “ingenua” di lingua standard, secondo la
quale una lingua “assumerebbe la posizione e funzione di standard in una
comunità perché essa e’ all’origine diversa o dotata di caratteristiche che
le altre forme di lingue non hanno. Una di queste caratteristiche
intrinseche sarebbe la “centralità” o “neutralità” rispetto ad altre varietà:
centralità geografica e di conseguenza anche linguistica. Inoltre, una lingua
non diventerebbe standard se non fosse in sé a priori, più adatta ad esserlo,
più sviluppata, più logica.
Solitamente le ragioni sono storiche e hanno a che fare con la comunità.
Un primo possibile valore della nozione di standard equivale a quello di
“neutro”; un secondo e’ quello normativo, accettato come corretto e buona
lingua;un ulteriore possibile valore e’ quello di normale (per i parlanti
colti), statisticamente più diffuso.
Il Toscano del Trecento delle classi colte e’ diventato lingua nazionale “per
adesione volontaria al toscano da parte delle elite intellettuali di tutta la
penisola”. Ciò e’ accaduto perché il toscano e’ stato apprezzato e ammirato
dai lettori come lingua della Commedia di Dante, del Decameron di
Boccaccio e del Canzoniere di Petrarca e dunque e’ stato presso a modello
dalle classi colte delle altre regioni italiane.
Alberto Sobrero distingue uno standard alto, di base letteraria, diffuso
nelle classi colte, nelle situazioni formali e realizzato nello scritto più che
nel parlato da uno standard basso, ovvero il cosiddetto italiano dell’uso
medio.
Il neo-standard, comunque, non va inteso come una varietà che si oppone
allo standard: e’ piuttosto il frutto di una ristrutturazione dello standard. Il
neo-standard potrebbe sembrare a prima vista coincidente con l’italiano
parlato. Alcuni dei tratti egemonici sono:
1. lui, lei, loro in posizione di soggetto
2. uso della forma dativale gli al posto di le e loro
3. partitivo preceduto dalla preposizione (con degli amici)
4. le dislocazioni a sinistra
5. il che polivalente
6. soggetto post-verbale (niente soldi!)
7. il ci attualizzante (non ci capisco niente!).
Più avanti l’italiano standard verrà definito come fissato e riconosciuto al
più alto livello di istituzionalità.
Parallelamente alla diminuzione del raggio di uso dei dialetti, si assiste
oggi in tutti i livelli della lingua ad un movimento lento ma costante verso
la standardizzazione.
Gaetano Berruto afferma: “il panorama attuale presso le classi colte e’
quello della presenza di diversi accenti standard regionali ben consolidati
e in equilibrio stabile, con una specie di standardizzazione delle diversità.
Forse dovremo accontentarci di un modello neo-standard, che ritroviamo
nel parlato mediamente sorvegliato.
Tullio Telmon comunque afferma che l’italiano e’, almeno per ora, una
tipicissima lingua di sottosistemi e sarebbe stupefacente se qualcuno
avesse già provveduto a descrivere quello standard.
3.1.1. Quale italiano nelle grammatiche italiane?
Le grammatiche di Serianni e quella di Renzi, Salvi, Cardinaletti si possono
definire grammatiche di riferimento dell’italiano, nel senso che
perseguono l’obiettivo dichiarato di descrivere la lingua italiana in tutte le
sue forme e le sue strutture. Si tratta in tutti i casi di grammatiche
descrittive, non normative.
L’intento delle più recenti opere grammaticali è invece quello di descrivere
l’italiano così come viene effettivamente usato dalle comunità.
La primissima edizione della grammatica di Serianni del 1988 aveva come
titolo Grammatica italiana e come sottotitolo Lingua comune e lingua
letteraria. L’attenzione ai tratti del neo-standard e’ ancora più accentuata
nell’ultima parte dell’opera che porta il titolo di Glossario e dubbi
linguistici.
L’altra grande grammatica di riferimento dell’italiano, curata da Renzi,
Salvi e Cardinaletti e’ determinata dal paradigma scientifico cui l’opera si
ispira, la grammatica generativa. La lingua che in quest’opera e’ oggetto di
descrizione e’ l’italiano che il parlante nativo naturalmente conosce e usa
nella molteplicità delle situazioni. Esemplare a proposito il capitolo
sull’ordine degli elementi della frase in cui si ragiona
contemporaneamente di ordini non marcati, quelli che si adattano ad un
gran numero di contesti (SVO) e dei molti ordini marcati che violano
quest’ordine canonico.
L’opera curata da Sobrero assume questa prospettiva in modo ancora piu’
netto: essa si pone l’obiettivo di presentare un’istantanea della lingua
italiana contemporanea, articolata in due pose: statica e dinamica.
La lingua italiana di Lepschy scritta per gli apprendenti di italiano come
lingua seconda dichiara subito nel sottotitolo gli intenti degli autori: Storia,
varietà dell’uso, grammatica. L’interesse per la complessa situazione
sociolinguistica dell’italiano e’ reso evidente dalla struttura dell’opera. La
prima parte delinea questa situazione con cenni di storia della lingua e dei
dialetti e varietà dell’italiano; la seconda e’ più specificamente una
grammatica dell’italiano le cui linee generali vogliono essere sistematiche.
Non molto diversamente Martin Maiden e Cecilia Robustelli scrivono in
inglese una grammatica che e’ dedicata soprattutto ad apprendenti
anglofoni dell’italiano.
3.2 Norma tradizionale e “italiano scolastico”
Quale modello di lingua assumono in generale le grammatiche scolastiche,
quale italiano descrivono?
Monica Berretta ricorda come uno degli obiettivi dell’insegnamento
scolastico della lingua madre sia portare gli allievi ad esprimersi
correttamente in buon italiano. Il “buon italiano” e’ la lingua della
letteratura, dei “buoni” autori.
Quando nel secolo XVI si stabilì, per opera soprattutto di Pietro Bembo la
norma dell’italiano, tale norma si modellò sull’esempio dei grandi
trecentisti toscani, senza i quali l’italiano non avrebbe potuto essere quello
che e’ stato ed e’ ancora oggi. Anche successivamente e fino al secolo XIX
tutta la cosiddetta questione della lingua ha ruotato fondamentalmente
attorno ai modelli di carattere letterario.
De Mauro parla di “antiparlato” che identica con l’italiano scolastico, una
varietà e insieme un modello particolare di lingua, adottato tipicamente e
forse esclusivamente a scuola. C’e’ comunque un rifiuto netto da parte dei
linguisti nei confronti di questa norma scolastica.
3.3 Norma scolastica ed uso
Serianni sostiene che è difficile parlare di norma in termini astratti,
prescindendo dalla reazione linguistica che, in una certa comunità di
parlanti e in un dato momento storico, e’ lecito aspettarsi.
La norma coincide con l’uso statisticamente prevalente (Berretta),
quell’uso che non offende ma al contrario si adegua al comune sentimento
della lingua dei parlanti. La bussola, l’autorità indiscussa e’ dunque la
“massa parlante”.
Uno dei compiti essenziali di ogni grammatico e’ quello di raccogliere le
testimonianze dei parlanti, per ricavarne informazioni sui comportamenti
linguistici diffusi e prevalenti nella collettività: e questo e’ il metodo della
linguistica sincronica. La legge sincronica, semplice espressione di un
ordine esistente, constata uno stato di cose e l’ordine che essa definisce e’
precario proprio perché non è imperativo. Questo significa che
cambiamenti e trasformazioni sono naturali e inarrestabili. L’evoluzione
delle lingue e’ fatale.
Troviamo due poli estremi tra gli insegnanti di italiano: uno che si
definisce di massima stabilità, l’ortografia e l’altro di massima oscillazione,
la pronuncia. Tra i due poli si situano gli altri livelli della lingua:
morfologia, sintassi, lessico.
3.4 Criteri normativi
Ci sono diversi criteri. Il primo è razionalistico-logicizzante. Ad esempio
usando la logica consideriamo scorretta la doppia negazione, l’uso e
l’abuso dell’aggettivo possessivo nei contesti in cui non sarebbe affatto
necessario (trascorrerete le vostre vacanze). Ma questo criterio insieme a
quello etimologico non sono da considerarsi attendibili nella definizione
della norma linguistica. Rimane, dunque, da considerare il criterio
letterario. Ma non sono di questa opinione né Serianni, né la grande
maggioranza dei linguisti e dei grammatici. Per Castellani, invece, il
modello di lingua cui attenersi e’ di tipo letterario, sia pure limitato alla
contemporaneità.
Serianni si affida a quella che chiama la personale sensibilità
dell’insegnante, che saprà addestrare i suoi allievi ai diversi registri
richieste dalle diverse situazioni comunicative.
Bisogna educare gli studenti alla tolleranza delle varietà, renderli
consapevoli dell’impatto sociale negativo che, in certe circostanze,
pronunce troppo rilassate o troppo connotate in senso locale.
Sobrero arriva a suggerire al docente di italiano una serie di tappe
successive in cui articolare il lavoro. L’insegnante dovrà dunque:
1. studiare la consistenza e la distribuzione sociolinguistica delle
varietà di lingua.
2. selezionare una tipologia di situazioni comunicative, di argomenti,
interlocutori, etc il più vicina possibile ai bisogni reali degli allievi.
3. identificare la norma corrispondente, e orientare su quella le prime
fasi del proprio itinerario didattico.
4. allargare progressivamente il quadro delle situazioni
5. mettere in primo piano la super norma che consente di orientarsi
nelle scelte di base.
Educare alla variabilità significa non accettare tutte le manifestazioni
linguistiche degli allievi e considerarle tutte ugualmente legittime.
Serianni, dunque, afferma che la scuola dovrà addestrare al
riconoscimento (delle forme e delle strutture) e all’uso di tutte le varietà in
rapporto alle diverse situazioni comunicative, ma con un tasso di
insistenza differente, proporzionale alla difficoltà del compito
comunicativo richiesto.
5.5 Norma e grammatiche scolastiche
Secondo Simone e Cardona la lingua e’ essenzialmente una ed unica. La
norma adottata e’ una norma acronica, per una lingua astratta priva di
un’identitàprecisa.
Le grammatiche più recenti dann