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LA VARIABILITA' LINGUISTICA
Uno dei temi ricorrenti della nuova disciplina linguistica è la scoperta del plurilinguismo,
già introdotto da De Mauro nella sua opera.
● Con plurilinguismo si intende la compresenza sia di linguaggi di tipo diverso (verbale,
gestuale, ecc..) sia di idiomi diversi, sia di diverse norme di realizzazione di un medesimo
idioma. Nessuna comunità linguistica può definirsi omogenea e sono proprio le Dieci Tesi
ad affermare che la pedagogia linguistica tradizionale trascura la realtà linguistica di
partenza degli allievi. Quello di cui si ha bisogno, è un'educazione dei giovani al rispetto
della varietà linguistica e all'uso di ogni sorta di creatività linguistica.
● Il repertorio linguistico degli italiani designa l'insieme delle varietà di lingua a
disposizione della comunità parlante del nostro Paese. Non esiste un unico repertorio che
sia valido per tutti gli italiani, quindi si fa riferimento ad una sorta di entità ipotetica, un
repertorio "medio" in cui trovano posto diverse varietà (perciò l'italiano, i dialetti e le
parlate alloglotte). I due sistemi fondamentali sono rappresentati dall'italiano da una parte
e i dialetti dall'altra, tra cui esiste una differenza che non è in realtà basata su ragioni
linguistiche. La contemporanea presenza di queste entità sul territorio italiano dà vita a
quella che molti chiamano diglossia. La diglossia comporta la compresenza di una varietà
linguistica alta e una bassa, per gli usi più informali. Il confine che separa la situazione
italiana da una situazione di bilinguismo è molto sottile, ma è proprio la minima distanza
strutturale tra italiano e dialetti a far sì che questa definizione risulti meno corretta.
Berruto, però, propone di definire il repertorio linguistico degli italiani come una forma di
"bilinguismo a bassa distanza strutturale", il cui rapporto tra varietà alta e bassa si può
identificare con il termine "dilalia" (presuppone entrambe le varietà impiegate/impiegabili
nella conversazione quotidiana e con uno spazio relativamente ampio di sovrapposizione).
Quello che oggi avviene con molta frequenza è l'alternanza di uso di italiano e dialetto. Per
quanto riguarda il dialetto e il suo rapporto con la scuola, si vedono posizioni diverse: c'è
chi ammette la possibilità, in ambienti di forte dialettofonia, di mediare l'educazione
proprio con il dialetto, in stato provvisorio poiché non riconosce in questo uno svantaggio.
● Oltre ai dialetti, possiamo riscontrare in Italia le parlate alloglotte, ovvero le lingue
parlate da piccole minoranze (gruppi poco numerosi in cui i parlanti "alloglotti"
possiedono come prima lingua -materna- una lingua diversa da quella nazionale), in cui si
instaura un rapporto due-lingue che suggerisce la presenza di una situazione di
bilinguismo.
● Ogni lingua possiede delle diversificazioni, o varietà, distinguibili in base a parametri
extralinguistici.
I tipi di varietà esistenti sono:
varietà diacroniche (in base al tempo): il processo di mutamento è
– generalemente molto lento, per cui risulta difficile accorgersene se esso interessa un
periodo breve. Questo mutamento colpisce di solito il lessico, mentre meno evidente
è il mutamento fonologico e quello morfosintattico.
varietà diatopiche (in base alle aree geografiche): dà origine alle varietà regionali
– (=relative a regioni linguistiche di varia estensione) dell'italiano, infatti riguarda
prevalentemente la sfera orale della lingua. Tullio De Mauro afferma che le varietà
regionali italiane possono considerarsi come una nuova risultante nata dal comporsi
della tradizione linguistica italiana con le tradizioni dialettali, creata dai parlanti
stessi. Ogni regione presenta al suo interno una ricca gamma di variazioni che
sfumano in un continuum, i cui estremi sono rappresentati da una lingua vicina
all'italiano standard (varietà "alta") e una più vicina al dialetto (varietà "bassa").
varietà diastratiche (in base allo strato, gruppo sociale, sesso ed età dei parlanti):
– la variazione di solito non interessa i parlanti di classe sociale alta, ma quelli più in
"basso", i quali vanno a costituire il cosiddetto italiano popolare. Secondo
Berruto, l'italiano popolare è quell'insieme di usi frequentemente ricorrenti nel
parlare e nello scrivere di persone non istruite e che per lo più usano il dialetto nella
vita quotidiana. La loro grammatica è caratterizzata da numerose devianze rispetto
a quanto previsto dall'italiano standard normativo. L'italiano popolare è andato
diminuendo nel tempo, anzi nel panorama contemporaneo esso è forse presente
solo in aree marginali di popolazione anziana, tuttavia può essere considerato come
una varietà precorritrice dell'italiano comune di oggi. A dimostrazione di ciò, si
osservi come nell'italiano odierno sopravvivano alcuni tratti, seppur in forme più
leggere, tipici dell'italiano popolare.
varietà diafasiche (in base alla situazione comunicativa): la variazione si verifica
– in base alle circostanze in cui ha luogo lo scambio, il ruolo degli interlocutori, gli
scopi e argomenti del discorso. In questa dimensione rientrano "registri" e
"sottocodici". Ad esempio, tratti tipici dei registri alti sono: bassa velocità di eloquio
(livello fonologico); massima esplicitezza verbale, uso di connettivi e sintassi
elaborata (liv. morfosintattico/testuale); variazione spinta, tendenza alla verbosità,
alto impiego di parole complesse (liv. lessicale). L'esplicitezza linguistica di questo
tipo di registri non equivale tuttavia a loro massima comprensibilità. I tratti tipici
dei registri bassi sono praticamente opposti.
varietà diamesiche (in base al mezzo fisico, o canale di trasmissione del
– messaggio): riguarda soprattutto la distinzione tra scritto e parlato.
L'organizzazione interna del parlato è paragonabile, in quanto a complessità, a
quella dello scritto, seppur con notevoli differenze. La possibilità di pianificare il
discorso è massima nello scritto, minima nel parlato. Il parlato è linguisticamente
ellittico, meno esplicito dello scritto, ricco di "vuoti fonici", frammentario e
caratterizzato da sintassi spezzettata. Nel parlato, la paratassi è preferita rispetto
all'ipotassi, il sistema verbale è semplificato e ridotto, sono frequenti le ripetizioni e
la superutilizzazione di parole dal significato generico.
MODELLO/I DI LINGUA E NORMA
● Esiste una concezione "ingenua" di lingua standard, quella che Nora de'Paratesi
chiama "teoria linguistica inconscia", la quale afferma che una lingua assume la posizione e
funzione di standard in una comunità perché essa è all'origine diversa o dotata di
caratteristiche (ad esempio la "centralità"=distanza dalle caratteristiche estreme che le
varietà periferiche presentano nei diversi livelli -fonologico, lessicale, morfosintattico- e la
"logicità" rispetto alle altre forme di lingua presenti) che altre forme di lingua non hanno.
In realtà, la definizione di lingua standard è differente e, come afferma sempre Nora de'
Paratesi, è di natura extralinguistica e si riferisce al suo ruolo o funzione all'interno di
una comunità linguistica, per questo è una definizione sociale.
Una lingua standard è quella varietà che in una comunità linguistica viene presa come
lingua franca per la comunicazione tra parlanti di regioni/gruppi sociali differenti.
Le ragioni sono prevalentemente storiche: in Italia, ad esempio, il toscano del '300 è
diventato lingua nazionale per adesione volontaria da parte delle élite intellettuali di tutta
la penisola, per ragioni di gusto poetico e letterario.
● Alberto Sobrero si occupa di distinguere uno standard alto, diffuso nelle classi colte e
più realizzato nello scritto e uno standard basso, ovvero l'italiano dell'uso medio. Proprio
questa seconda categoria è quella che Gaetano Berruto definisce "neo-standard":
l'italiano dell'uso medio che sembra sempre più propenso a diventare l'italiano di domani.
Questo neo-standard potrebbe sembrare coincidente con l'italiano parlato, tanto che
Francesco Sabatini ne riporta vari tratti (es.: lui, lei, loro in posizione di soggetto; che
polivalente; cosa? al posto di che cosa?) che, a parer suo, identificano una varietà
panitaliana (=non appartiene propriamente ad una regione e viene usata da parlanti di
ogni età e di ogni ceto e livello d'istruzione).
Anche Lorenzo Renzi ragiona su questi temi, riferendosi all'italiano standard come fissato
e riconosciuto al più alto livello d'istituzionalità; inoltre tenta di fissare una serie di
cambiamenti in corso nella lingua italiana. Egli divide le innovazioni in due gruppi: i
fenomeni di ordine linguistico superiore, che riguardano la struttura della frase, e quelli di
ordine linguistico inferiore, che non scalfiscono l'organizzazione linguistica.
Per quanto riguarda la pronuncia, si nota come sia difficile riferirsi ad una pronuncia
standard o corretta (ortoepia) dell'italiano, difficoltà dovuta soprattutto alla varietà di
pronuncia nelle diverse regioni. Oggi si assiste, tuttavia, ad un movimento lento ma
costante verso la standardizzazione in tutti i livelli della lingua (fonologia, lessico,
morfosintassi).
● Le varie incertezze sulla norma dell'italiano si sono riversate di conseguenza all'interno
delle grammatiche, che tendono ad essere tutte di tipo descrittivo, più che normativo. Per
ovviare ai problemi, si cerca di dare grande spazio ai fenomeni grammaticali che non
variano. La nuova grammatica di Prandi e De Santis si muove su una dimensione che parte
da un'idea condivisa: una lingua contiene un nucleo di strutture rigide e non negoziabili,
circondato da un ampio repertorio di opzioni a disposizione del parlante. Le grandi
grammatiche di riferimento descrivono più o meno lo stesso complicato oggetto, frutto di
una lunga storia fatta di prescrizioni di grammatici, di usi colti e popolari, differenze
regionali, travasi e contaminazioni di ogni tipo.
● In Italia non esiste una vera e propria norma linguistica e, secondo Nora de' Paratesi,
l'operazione messa in atto è stata quella di scegliere aprioristicamente una forma ed
imporla, sulla base delle influenze degli scrittori. Studi recenti evidenziano la persistenza
di interventi correttivi inutili da parte deg