vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
STORIA LINGUISTICA DELL’ITALIA UNITA,
I.4.1 LA TULLIO DE MAURO, 1963.
De Mauro ricorda come la storia linguistica di un paese sia intimamente connessa con le sue vicende economiche, sociali,
politiche, culturali. Fu grazie alla che si imposero all’attenzione dei linguisti temi come l’analfabetismo, i risvolti linguistici
Storia
delle grandi trasformazioni sociali. Le responsabilità della scuola nell’adozione di modelli linguistici superati, e quindi la
denuncia di una aulicità spropositata e della assoluta negligenza delle reali condizioni linguistiche dei discenti.
De Mauro sottolinea che mancavano, nel 1970, alcuni supporti scientifici ritenuti indispensabili ad un reale rinnovamento
dell’insegnamento linguistico: «è Oggi
grave la mancanza di una descrizione analitica del sistema grammaticale e sintattico italiano».
abbiamo ottime descrizioni dell’italiano; ripercorreremo la storia di queste scoperte.
1.4.2 SUGGESTIONI ESTERNE: IL DIBATTITO SULLA DEPRIVAZIONE VERBALE
Prima dobbiamo presentare la posizione di alcuni linguisti e sociologi dell’educazione di area anglosassone.
è legato alla teoria della deprivazione verbale, secondo cui le differenze socioeconomiche influiscono in modo
Basil Bernstein
determinante sul linguaggio e quindi sul rendimento scolastico.
Si deve al linguista americano la critica più serrata alla teoria della della deprivazione verbale. Studiando il non
William Labov
standard English, quella particolare varietà di inglese parlato dalla comunità negra del getto di NY, individuò le differenze tra
codice ristretto e codice elaborato. Anzitutto mostrò come, con una diversa impostazione dell’intervista (es. con intervistatori
negri), anche i bambini dei ghetti mostravano una verbalizzazione ricca e varia, con la quale erano perfettamente in grado di
esprimersi; dunque non sono privi di lingua, ma posseggono una lingua diversa.
1.4.3 IL DIBATTITO INTERNO: IL GISCEL E LE 10 TESI PER L’EDUCAZIONE LINGUISTICA DEMOCRATICA
Le idee di Bernstein e Labov non potevano passare inosservate. Anche perché il terreno era stato preparato dalle denunce dei
maestri e dalla di Tullio De Mauro.
Storia linguistica dell’Italia unita
I primi anni ’70 sono caratterizzati dal dibattito su temi quali i fattori sociali dello svantaggio linguistico; il modello di lingua
generalmente adottato dalla scuola; il rapporto che si instaura in classe tra lingua italiana e dialetto; il concetto di norma e di
errore collegati al problema dell’insegnamento di un modello (ma quale?).
Contemporaneamente si muoveva anche l’editoria scolastica.
In questo quadro di grande fermento s’iscrive l’episodio più importante della nuova educazione linguistica: la nascita del
GISCEL. Fu una filiazione diretta della SLI (De Mauro fu uno dei promotori). Dopo due anni il gruppo elaborò un documento
destinato a diventare il manifesto di un nuovo modo d’intendere l’insegnamento della lingua madre, le Dieci Tesi per l’educazione
(1975). Si può dire che non v’è idea nuova nel campo dell’educazione linguistica che non affondi le sue
linguistica democratica
radici nelle Dieci Tesi.
1) centralità del linguaggio verbale nella vita di ogni essere umano perché grazie alla padronanza sia ricettiva (capacità di
capire) sia produttiva di parola e fraseggio, possiamo intendere gli altri e farci intendere (usi comunicativi); ordinare e sottoporre
ad analisi l’esperienza (usi euristici e cognitivi); intervenire a trasformare l’esperienza stessa (usi emotivi, argomentativi).
2) Il linguaggio verbale è profondamente radicato nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale di ogni individuo: solo
uno sviluppo equilibrato e sereno del corpo, dei rapporti affettivi e sociali, degli interessi intellettuali può garantire uno sviluppo
adeguato delle capacità linguistiche. Un bambino sradicato dall’ambiente nativo, che veda poco o niente i genitori e fratelli
maggiori, che sia proiettato in un atteggiamento ostile verso i compagni e la società, che sia poco e male nutrito,
inevitabilmente parla, legge, scrive male.
3) Il linguaggio verbale è fatto di molteplici capacità, di cui alcune più visibili (capacità di produrre parole e frasi appropriate
oralmente o per iscritto; di conversare, interrogare e rispondere esplicitamente) e altre meno (capacità di dare un senso alle
parole e alle frasi udite e lette; di verbalizzare e analizzare interiormente in parole le varie situazioni).
4) La più politica, dato che instaura una connessione tra l’insegnamento linguistico e l’attuazione di principi costituzionali: «la
pedagogia linguistica efficace è democratica se e solo se accoglie e realizza i principi linguistici esposti in testi come l’art. 3 della Costituzione, che
riconosce l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di lingua e propone tale uguaglianza rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono».
Se volessimo indicare in estrema sintesi il fine ultimo che le indicano agli insegnanti di italiano, esso è l’insegnamento
Dieci Tesi
a tutti dell’italiano comune, indispensabile per consentire a tutti i cittadini una vita sociale e personale degna e piena. Tale fine
va perseguito attraverso un percorso nuovo, che il documento in parte descrive e che dovrà essere assolutamente rispettoso del
patrimonio linguistico e culturale di partenza degli allievi. Tuttavia non dicono come concretamente sia possibile fare ciò.
1.5 DOPO LE DIECI TESI
Dopo la pubblicazione del documento fiorirono iniziative di aggiornamento degli insegnanti e gruppi di studio, in un
movimento che coinvolse le università come le scuole di campagna. E tuttavia tutto questo fermento ha riguardato solo una
parte - minore - della scuola italiana. Anche perché le erano tanto esigenti da apparire irrealizzabili.
Dieci Tesi II
LA VARIABILITÀ LINGUISTICA
2.1 LA “SCOPERTA” DEL PLURILINGUISMO
Uno dei temi ricorrenti della nuova educazione linguistica fu la scoperta del plurilinguismo, tema che De Mauro aveva già
introdotto nella sua e che sviluppò in numerosi interventi.
Storia linguistica dell’Italia unita,
«con plurilinguismo intendiamo qui la compresenza a) sia di linguaggi di tipo diverso (verbale, gestuale, iconico, ecc), cioè di diversi tipi di semiosi,
b)sia di idiomi diversi, c)sia di diverse norme di realizzazione d’un medesimo idioma. È una condizione permanente della specie umana».
A fronte del plurilinguismo italiano, nella scuola dominava una tenace vocazione al monolinguismo. Secondo le la
Dieci Tesi,
scuola dovrebbe, per «sollecitare «partire
le capacità linguistiche», dall’individuazione del retroterra linguistico-culturale personale, familiare,
bisogna educare i giovani al rispetto della
ambientale dell’allievo, non per fissarlo e inchiodarlo, ma per arricchire il patrimonio linguistico»;
varietà linguistica e all’uso d’ogni sorta di creatività linguistica: non solo i dialetti e le varietà regionali, ma anche i registri.
2.2 IL “REPERTORIO LINGUISTICO DEGLI ITALIANI”: LINGUA UNITARIA E DIALETTO/DIALETTI
La sociolinguistica italiana ha proceduto a un’accurata descrizione del plurilinguismo della società italiana. Il nostro resoconto
sarà fatto non con l’occhio neutro e imparziale del sociolinguista, ma con l’occhio parziale dell’insegnante di italiano. Il fine
sarà individuare quale norma prendere a base dell’insegnamento e che cosa sia la lingua comune da far apprendere.
L’espressione repertorio linguistico degli italiani designa l’insieme di varietà di lingua a disposizione della comunità italofona.
Tuttavia non esiste un unico repertorio linguistico che sia valido per tutti gli italiani, ma questo varia da regione a regione.
Dunque parlando di “repertorio linguistico italiano” ci si riferisce ad una sorta di entità ipotetica, un repertorio “medio”.
La differenza tra lingua e dialetto non è ha ragioni linguistiche: il dialetto possiede, come qualsiasi lingua, un proprio sistema
fonetico, regole morfologiche e sintattiche, un vocabolario esclusivo. La differenza è di ordine funzionale e ha origine nelle
vicende storiche di una comunità: una lingua gode di uno statuto socio-culturale e politico garantito da un ordinamento statale,
possiede una codificazione riconosciuta e accettata all’interno e fuori dello Stato nazionale, conta su una tradizione letteraria
storicamente consolidata e viene adottata come mezzo normale di comunicazione interregionale e in ogni settore di attività; i
dialetti invece sono impiegati in aree geograficamente circoscritte, in ambiti limitati e prevalentemente nella varietà orale.
Questo chiarimento dovrebbe sgombrare il campo da forme distorte di rifiuto (del tipo: il dialetto è una lingua inferiore) o di
esaltazione (del tipo: il dialetto è una lingua più espressiva).
La contemporanea presenza sul territorio nazionale della lingua nazionale e dei dialetti prefigura una situazione di diglossia,
cioè la compresenza, nella stessa comunità, di una varietà linguistica alta per gli usi scritti e formale, e una varietà bassa per gli
usi parlati informali. Tuttavia la situazione italiana è diversa e più complicata. Lingua nazionale e dialetto non sono due
varietà, alta e bassa, di una stessa lingua: data la loro distanza, i dialetti italiani vanno considerati varietà linguistiche a sé stanti,
e non semplici varietà dell’italiano a coloritura locale; questo implicherebbe riconoscere nel panorama linguistico italiano la
presenza, accanto alla lingua italiana, di una quindicina di altre varietà romanze. Dunque più che di diglossia sarebbe forse il
caso di parlare di “ bilinguismo”, anche se i due sistemi presentano tra loro una distanza strutturale inferiore rispetto ai
repertori bilingui classici: sono varietà romanze contigue dello stesso ceppo e per di più sottoposte all’azione livellatrice della
lingua standard. C’è un altro aspetto che differenzia la situazione italiana dalle situazioni classiche di diglossia: in Italia non c’è
una corrispondenza regolare tra uso del dialetto e parlato conversazionale (si chiacchiera, sempre più spesso, anche in italiano),
e ugualmente non è sempre e solo il dialetto la lingua della socializzazione primaria.
Berruto propone di definire il repertorio linguistico degli italiani come una forma di bilinguismo a bassa distanza
in cui il rapporto tra varietà alta (italiano) e varietà bassa (dialetto) è meglio definito dal termine diladia, che
stutturale,
presuppone entrambe le varietà impiegabili nella conversazione quotidiana e con uno spazio am