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NUOVO.
ARISTOCRATIZZANTE NÉ AL DARWINISMO, ma che dovrebbe
insegnare alla Rivoluzione conservatrice come RIDEFINIRE IL
CONCETTO DI SOCIALISMO, CONTENDERLO AL MARXISMO e
CONDURRE con il suo ausilio LA BATTAGLIA EGEMONICA per la
CONQUISTA DI UN CONSENSO DI MASSA. Portando con ciò a compimento con
successo una contesa ideologico-politica che era già viva ai tempi di Marx ed Engels e tra
svalutando anche questa tendenza dopo aver trasvalutato il darwinismo. Facendone cioè
una forma di articolazione sociale gerarchica e di selezione delle èlite che sia capace di
“RICONCILIARE GLI ANTAGONISMI DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE” ma che sia
anche pronta a passare in qualunque momento dallo stato di normalità allo STATO
D’ECCEZIONE DELLA GUERRA.
“Nietzsche era SOCIALISTA”, sebbene “senza saperlo”, avrebbe detto di lì a poco
Spengler, e il “darwinismo presupponeva il socialismo come mezzo” proprio al fine
dell’allevamento della casta di superuomini.
“Da quando la più dura invenzione dello spirito europeo, il capitalismo moderno, ha
distrutto l’idolo del buon tempo antico e a borghesia nelle sue rivoluzioni è diventato un
elemento politico attivo, la rivoluzione in Europa è entrata nello stadio cronico”, fino a
costruire “uno e uno stesso processo, che perdura attraverso le sue pause, diventando
sempre più radicale, corrodendo sempre più profondamente la società”, dirà Feyer.
Al contrario di tanti altri autori con i quali si confronta, Moeller non è affatto spaventato da
questi processi pur così rischiosi, perché in realtà “LA STORIA DI OGNI RIVOLUZIONE –
romana, inglese, francese – ha mostrato… che il significato di questi rivolgimenti è
consistito nel PREPARARE L’ASCESI DI UOMINI NUOVI E DELLE FORZE presenti in
questi uomini come forze di un popolo”: si è operato nelle nazioni coinvolte un
processo di selezione e cooptazione e dunque di rigenerazione delle nuove èlite.
Ora, sembra largamente prevedibile per Moeller che “con la rivoluzione tedesca non
accadrà nient’altro che questo”. E devono stare perciò ben attente le forze conservatrici a
non equivocare l’insegnamento del maestro e a non collocarsi al di fuori del terreno che la
rivoluzione ha ormai definito in maniera irreversibile, sforzandosi semmai di pensare alle
condizioni di un “NUOVO ELITISMO”.
È evidente che per Moeller ciò che sta effettivamente accadendo in Germania: “I
LAVORATORI – COME LA CLASSE NUOVA E PROSSIMA – prendendo parte ai destini
dell’intero popolo entrano in marcia nella vita politica e sociale della nazione e se ne
assumono le responsabilità”. Freyer, aggiungerà a ciò che “TUTTA LA SOCIETÀ È
LOTTA DI CLASSE, aperta o celata, cronica o acuta”, perché “la lotta di classe non ha
bisogno di venire seminata, essa viene solo mietuta”.
“Il processo di omogeneizzazione”, aveva notato Rathenau, “andando molto oltre i confini
della società borghese”, presto “avrà assimilato una parte importante, e precisamente la
parte più valida del proletariato”, che questo stesso proletariato e le sue organizzazioni lo
vogliano o no. Freyer, guardando alla socialdemocrazia weimeriana, sosterrà: a sinistra,
l’idea di “progresso sociale” ha liquidato ogni autentica “energia rivoluzionaria” attraverso
“assicurazioni, pensioni e diritti” e da quel momento la classe operaia europea ha lottato
“non più negativamente ma positivamente”, ovvero “non più contro la società industriale
come sistema, ma per il suo rinnovamento dall’interno, cioè sul suo terreno”. E questo
“perché in fondo: essa aveva già molto di più da perdere che le sue catene”.
Nonostante tutti i proclami dei partiti marxisti, in realtà: “essi [il proletariato
industriale]vogliono entrare. Essi vogliono inserirsi”, per cui “le loro pretese non
vanno verso il sovvertimento, ma verso il RICONOSCIMENTO DEL LORO DIRITTO”.
È l’idea di una DEMOCRAZIA ALTERNATIVA, che crei “i presupposti di futuro
dominio, mai esistito prima, che ABBRACCERÀ TUTTA LA TERRA” (dice Jaspers). Di
un ordinamento politico inusitato, nel quale “la debolezza della vita di massa divenuta atea
richiama la forza” e “i nuovi signori si serviranno della democrazia ma la
supereranno”: e riusciranno con ciò a realizzare la “riunione della sostanza di coloro
che obbediscono con la volontà dei capi”, conquistando “la fiducia incondizionata
delle masse proprio per il fatto che sono uomini del popolo”.
3.6 “Il possesso del potere è oggi passato in parte al lavoratore”:
“Socialismo spirituale” come nazionalizzazione subalterna.
Tutto questo è possibile se si realizzerà una forma di articolazione sociale che –
andando anche contro la lettera di Nietzsche e sopperendo al fallimento dell’ideologia
razziale, incapace di equilibrare in chiave nazionale l’egoismo etico del superuomo –
integri le masse lavoratrici nel momento stesso in cui le convince.
Non c’è nessun cedimento alle tendenze equalizzanti in questa forma si riconoscimento
parziale, da parte di Moeller. Per Nietzsche i singoli uomini sono “disuguali a priori”,
aveva ricordato Simmel perché esiste una “distanza naturalistica degli uomini tra di
loro, una distanza che costituisce “Il senso e il portatore di ogni evoluzione dell’umanità” e
che segna “un distacco tra gli esemplari più elevati del mondo e della massa
dell’umanità”.
Anche per Moeller “la massa, la quale ben presto scopre di non potersi prendere cura
di lei, rimane indietro come sempre” (dice Moeller). E però già la realtà della rivoluzione
di novembre mostra a suo avviso come “dalla massa si sollevino subito alcuni singoli
individui” e come “questi si innalzino al tempo stesso con se stessi, per quanto possibile,
la massa”.
Siamo di fronte a un’operazione di nazionalizzazione controllata, di riconoscimento
subalterno e di cooptazione in grande stile che è essenziale alla vita stessa della nazione.
“questi tanti e nuovi singoli individui, come rappresentanti della massa, come
rappresentanti di oggi e ancor più nei loro figli e nipoti”, infatti, “portano alla nazioni
nuove forze utili” e ne rinnovano la vitalità. Ecco che improvvisamente “forze che dapprima
sono ancora materiali e prive di struttura… attraverso lo sviluppo e l’adattamento
diventano sempre più spirituali e formate”.
“appena il proletariato viene accolta dalla nazione ed è nella nazione”, chiarisce
Moeller, “alla nazione torna a sua volta di nuovo utile”, senza che tutto ciò comporti
sconvolgimenti gerarchici insostenibili, come temuto da quei libera-conservatori
che si dimostrano in ciò come veri reazionari. Certamente “gli operai dovranno vivere
un giorno come adesso i borghesi”, cita lo stesso Nietzsche; e però “al di sopra di essi la
casta superiore, che si distingue per l’assenza di bisogni… tanto più povera e semplice,
ma in possesso del potere”. E del resto in questo processo di inclusione si vede
subito come “dai diritti del proletariato emergano ora del tutto spontaneamente
precisi doveri del proletariato”.
Dal canto suo, anche la classi operaia trarrà da tutto ciò i suoi vantaggi, perché
attecchirà finalmente anche presso di essa, anche presso la massa proletaria, quel
“principio di individualità” (dice Moeller) e quella forma di personalità che le erano
sinora sconosciuti. Mentre rinuncia al perseguimento dell’eguaglianza intesa come
brutale livellamento verso il basso le porterà in cambio “la parità di diritti”, consentendole di
inserirsi nel potente movimento di ascesa sociale attivato dallo sviluppo economico
industriale capitalistico.
Del tutto inadeguata, insomma, per venire alle conclusioni, è la proposta di un
conflitto muro contro muro, che rappresenta semmai per Moeller la posizione di
quella parte del ceto intellettuale legato all’establishment decaduta, la quale, per
debolezza, non osa fare i conti con la realtà.
Quando Moeller scrive questo suo ultimo intervento su Nietzsche, Max Scheler ha già
spiegato i rischi che si agitano nei processi sociali in corso, laddove essi non vengano
fronteggiati con saggezza. In tutta probabilità, in una società nella quale “diritti politici e di
altro genere pressoché riconosciuta, vadano di pari passo con grandi differenze di potere
di fatto, di possesso effettivo di beni e di effettiva formazione culturale”, lo spirito di
vendetta non potrebbe che dilagare su scala di massa. Oggi infatti ogni individuo “ha il
diritto di considerarsi uguale all’altro”, anche se “di fatto non può paragonarsi”. Come
evitare che questa società esploda sotto il peso della “massima carica di risentimento”?
Nobile cosa è allora “l’ideale della distinzione”, che per Simmel Nietzsche aveva saputo
portare alla “sublimazione più sottile”. Che lo si voglia o meno, tuttavia, bisogna per
Moeller accettare il fatto che i tempi sono profondamente mutati rispetto agli ultimi
decenni del XIX secolo. E che a dispetto di ogni sforzo di esclusione, anche per i
giovanissimi errori compiuti dai vecchi ceti dirigenti tedeschi “il possesso del
potere è oggi passato in parte al lavoratore” (dice Moeller). A questo dato di fatto
incontrovertibile si può rispondere con una rimozione del problema e con la ricerca di uno
scontro violento a tutti i costi: una scelta che porterebbe però – lo si sappia – alla
rivolta incontrollata e di qui al comunismo e alla probabile fine di ogni gerarchia.
Oppure si può rispondere con un compromesso di classe al ribasso, lungo un percorso
che assimili la Germania nella sua struttura sociale e nella sua forma istituzionale ai paesi
dell’Ovest. Oppure ancora ad esso si può rispondere in un altro modo e cioè dando
ascolto a Nietzsche. Il quale “ha pronunciato per primo la parola del contro
movimento che sarebbe già contenuto nel movimento” (dice Moeller) e con ciò ha
insegnato agli stessi conservatori ad essere eminentemente rivoluzionari.
A cavalcare la tigre del conflitto so