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DELL’IDEA DI TEMPO.
L’alienazione della società industriale è l’esito di una storia segnata dai “rapporti di
dominio” introiettati dalla “coscienza dell’uomo cristiano-borghese e in generale dell’uomo
occidentale”. Liberarsi di questa storia, LIBERARSI DEL PASSATO, significa allora
LIBERARSI DAL DOMINIO. Il passato è la “pura dimensione temporale del già-stato”,
esso è un “LIMITE INSUPERABILE”, un “fu-così” che non può essere rimesso in
discussione. Imponendosi come “fattualità”, esso COSTRUISCE UN’“AUTORITÀ” che
pregiudica costantemente la “condizione storica particolare” dell’uomo, limitandone
drasticamente la “libertà”.
Non è allora tanto il passato nei suoi contenuti storici concreti ma il passato “nella sua
forma stessa di già-stato” che “sfugge al nostro dominio”, nella sua irrevocabile natura
autoritativa, ciò DEVE ESSERE SUPERATO. Il “PASSATO È DOMINIO” come storia del
dispiegarsi di gerarchie sociali; ma “il dominio, alla fine, non è altro che il passato
stesso come il fatto che PRETENDE DI IMPORSI in tutta la perentorietà del già-
stato”. Proprio dall’ “incapacità dell’uomo di rovesciare il peso della pietra del passato”
nascono in ultima istanza lo “spirito di vendetta”, la ricerca metafisica del fondamento e la
reductio ad unum della molteplicità delle differenze reali, la divisione della società “tra
potenti e oppressi”, le gerarchie di obbedienza e di sottomissione, l’assoggettamento dei
soggetti concreti, l’imperatività della morale come sistema di coercizione sociale e infine
“lo stato” come “stabilirsi di un dominio dei più forti”. Ecco che “la LOTTA CONTRO IL
TEMPO DIVENTA UN FATTORE DECISIVO NELLA LOTTA CONTRO IL DOMINIO”.
Tutta la storia dell’umanità è “sempre stata, fino ad ora, STORIA DI GREGGI
SOTTOMESSE A POCHI signori”, “storia del predominio esercitato dai forti sui
deboli”. La nascita dell’ordine repressivo della società “dà inizio alla reazione a catena di
asservimento, ribellione e riconquista del dominio, che caratterizza la storia della civiltà”
aveva detto Marcuse.
Di fronte a questa storia di mostri e a fronte di questo “trattato di teratologia” applicato alla
storia e all’idea lineare del tempo, come avrebbe detto Gramsci, si capisce che il compito
già di per sé arduo della trasformazione politico-sociale, della rivoluzione, si carichi ora di
un peso immane e forse insostenibile. L’istituzione dell’eterno ritorno che produce un
“nuovo modo di essere dell’uomo” ha per Vattimo una responsabilità che nemmeno LA
PIÙ ESTREMA DELLE UTOPIE si era sinora proposta: si tratta nientemeno che di
FERMARE IL TEMPO, REVOCARE IL PASSATO, FAR RIPARTIRE DA CAPO LA
STORIA muovendo da una nuova concezione dominante della temporalità che sia
sottratta alla ratio dominatrice.
Se gli insorti parigini SPARARONO AGLI OROLOGI nelle strade per riappropriarsi del
tempo sottratto dal potere del capitale alla forza-lavoro e per liberarlo, Nietzsche sembra
proseguire ora la loro opera sul piano teorico, dando piena consapevolezza filosofica a
quel gesto spontaneo e un po’ ingenuo.
E in effetti i caratteri utopistici o persino ultrautopistici di questa concezione della
liberazione e del mondo liberato, della società comunista, sono continuamente ribaditi da
Vattimo nel momento stesso in cui ne riafferma la NATURA POLITICA. La mossa decisiva
consiste nel fatto che, dopo il passaggio al nichilismo attivo, l’eterno ritorno RIMUOVE
ALLA RADICE LE CAUSE DEL NICHILISMO e cioè la svalutazione dei valori e della
crisi generalizzata dei significati . Annientando la concezione tradizionale del tempo,
esso apre un nuovo orizzonte storico in cui è finalmente possibile l’esperienza di una
attuale “PIENEZZA DEI TEMPI”. È questa la conseguenza della raggiunta COINCIDENZA
DI EVENTO E SENSO, della loro perfetta unità, che è anche la coincidenza tra la
prospettiva individuale e il vero universalismo. Bisogna “sconfiggere il corso distruttivo del
tempo”, dice Marcuse, e in tal modo “conciliare essere e divenire, mutevolezza e identità”.
Il significato della nostra esperienza, della nostra vita, del mondo storico-sociale che ci
circonda, non va più ricondotto al passato, alla tradizione, alla sua origine. Esso sarà
sempre presente e fruibile qui ed ora e nella nostra pratica attuale lo esperiremo con piena
gioia e felicità. La CONQUISTA DEL SENSO, il suo pieno padroneggiamento da parte
dell’uomo nuovo, dell’oltreuomo, consente però all’umanità anche di liberarsi “della
MALATTIA DELLE CATENE” e cioè di FUORIUSCIRE IN MANIERA INTEGRALE e
definitiva dalla “logica del conflitto”.
Dissolvendo il presupposto temporale di ogni “struttura del dominio”, questa nuova
concezione misticheggiante del tempo ci pone per sempre al di là della “divisione
originaria tra servi e padroni” e liberandoci di Hegel rende inutile e PREVIENE SIN
DALL’INIZIO OGNI “SPIRITO DI VENDETTA”, ogni atteggiamento reattivo, destinato
inevitabilmente a metter capo ad un nuovo tipo di dominio, sebbene di segno rovesciato. Il
mondo postcapitalistico, la dissoluzione della ratio, apre così una dimensione di
rapporti spontaneamente solidaristici e cooperativi, privi di essenziali
differenziazioni sociali.
Ecco che il nuovo contesto storico-sociale consente il pieno DISPIEGAMENTO DELLA
“CREATIVITÀ DELLA VOLONTÀ”, finalmente svincolata dalla “logica del dominio” e
divenuta “LIBERA PRODUZIONE DI SIMBOLI”, simboli che sono autenticamente
universali proprio in quanto sono espressione della più irriducibile individualità. La
KULTUR SI EMANCIPA infine da ogni asservimento, ritrova il proprio significato di
“volontà artistica di plasmare forme, al di fuori di ogni necessità di lotta con la natura o con
gli altri uomini” e cioè di costruire molteplici e sempre diverse interpretazioni e rapporti con
il mondo, reintroducendo la speranza nella storia. Il suo universalismo si libera con ciò da
ogni clausola d’esclusione: cessa di essere un universalismo falso e aggressivo, copertura
dell’egoismo particolaristico dei centri di forza e delle relative gerarchie sociali di dominio.
La LIBERAZIONE DEL SIMBOLICO è dunque un atto pienamente POLITICO. È la
liberazione da ogni obbedienza e soggezione, costruzione di un nuovo mondo dove il
SIMBOLO È LIBERTÀ per tutti gli uomini e non solo una condizione eccezionale
limitata all’evasione estetica di pochi. Certamente, per procurarsi questo nuovo mondo,
per “conquistare la libertà del simbolico”, la decisione deve “agire anche nel senso di
contrapporsi in qualche modo al dominio” e non può farlo che con un “ATTO DI FORZA”.
Con un atto rivoluzionario, cioè, che implica inevitabilmente una certa quantità di
violenza. Ma questa “violenza” è sin dall’inizio “contrapposta alla struttura del
dominio” e dunque, come violenza rivoluzionaria, porta con sé anche la definitiva
cessazione di ogni violenza ulteriore.
Come avviene con la dittatura del proletariato, la “potenza” e la “forza” della
trasformazione rivoluzionaria estinguono alla fine anche la propria ragion d’essere. Dopo
“le fasi di violenza rivoluzionaria attraverso cui necessariamente ha dovuto passare”, ecco
che sorge un mondo pienamente pacificato. L’oltreuomo, dopo aver superato “con la
decisione la condizione del conflitto”, ha anche negato “la propria negazione” e
cioè ha rinnegato ogni “forma di violenza ancora interna al mondo conflittuale”.
Adesso il conflitto si rivela non più necessario e può finalmente realizzare il sogno di una
umanità libera dalle strutture del dominio.
Nietzsche il “vero comunista” ed Hegel
La RIBELLIONE NIETZSCHIANA nei confronti della ragione e della morale tradizionale è
stata a lungo e da molti interpretata come rivendicazione della differenza naturale
dell’individuo superiore e del suo diritto ad imporre attraverso la forza il proprio
Essa è invece,
dominio, e dunque come esaltazione dell’egoismo particolaristico.
in realtà, la PIÙ AMBIZIOSA CONTESTAZIONE PROGRESSIVA del
mondo capitalistico che il pensiero contemporaneo sia mai arrivato a
concepire.
Questa ribellione è anzitutto l’istituzione di “un nuovo modo di esistenza” e riguarda
dunque l’umanità intera e non solo “pochi”. Attraverso essa, “l’uomo si libera dalla
metafisica” ma anche da “tutte le strutture autoritario-paterne” ed opera dunque la
distruzione delle condizioni di possibilità di ogni forma di dominio. Secondo Vattimo, “la
LIBERAZIONE DEL SIMBOLICO” non rinvia soltanto alla “vertiginosa CIRCOLARITÀ
DEL LINGUAGGIO E DEI SEGNI”, non si risolve unicamente nell’ambito della sfera
sovrastrutturale, senza apportare decisivi mutamenti storici e senza avere, di
conseguenza, significato politico. Essa coincide con una liberazione “ben più sostanziale”,
con una LIBERAZIONE “STORICO-CONCRETA” e cioè con la “prassi rivoluzionaria”.
Con la più totale delle rivoluzioni, anzi, perché mira ad instaurare un ordine
completamente e definitivamente libero dal conflitto, “una nuova esperienza
fondamentale dell’essere” che cambierebbe l’esistenza umana nella sua totalità.
La trasformazione antropologica alla quale Nietzsche chiama l’uomo contemporaneo può
essere interpretata come esaltazione della malvagità, dell’ “egoismo o edonismo”, della
“sete di dominio”, solo se non si comprende la “funzione polemica”, il significato
rivoluzionario di questa dottrina, la quale chiama invece tutta l’umanità ad una
“trasformazione profonda dell’uomo e delle forme individuali e sociali della sua
vita”. Se c’è contestazione dell’idea di umanità, essa investe unicamente “l’umanità in
quanto deformata e sfigurata dalle strutture del dominio”, quell’umanità che proprio
la metafisica e la morale hanno degradato e ridotto a “gregge” al