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LA DIFFUSIONE DEI RAPPORTI FEUDALI. L'INGHILTERRA, IL MEDITERRANEO E LE CROCIATE
I rapporti feudo-vassallatici ebbero la massima diffusione fra XI e XII secolo, grazie soprattutto ai Normanni, siti nella Francia
settentrionale dal X secolo. Seppure l'ordinamento fosse carolingio, fu notevole l’innesto culturale vichingo: questo permise a Rollone
e ai successori di separare le funzioni militari del feudatario da quelle amministrative dei visconti; entrambe le parti erano poi costituite
da vichinghi fedeli, il che permise un controllo più saldo di quello franco. La potenza normanna interessò i territori vicini, ma si orientò
soprattutto verso l'Inghilterra, dove cercò di inserirsi con poco successo; solo nei primi decenni dopo il Mille Canuto II il Grande creò
un impero attorno al Baltico, comprendente Danimarca, Norvegia e Inghilterra, dissoltosi però alla sua morte (1035). Questo permise
all'Inghilterra – dove erano stati fusi Danesi e Sassoni – di recuperare l'indipendenza con Edoardo il Confessore, il quale pose nei ruoli
di comando cavalieri e vescovi francesi; privo di eredi, gli successe Aroldo II, il quale fu sconfitto da Guglielmo – duca di Normandia e
nipote del Confessore – nel 1066 ad Hastings. Questi vinse le ultime resistenze soltanto nel 1071. Guglielmo (il Conquistatore, 1066-
1087) legò Inghilterra e Francia, importandovi molti dei costumi francesi, tra cui i rapporti feudo-vassallatici. Si creò la paradossale
situazione secondo cui il re inglese era anche duca di Normandia, e quindi – seppure più potente – vassallo del re di Francia, sovrano
soltanto sulla piccola regione compresa su Loira e Senna. Obiettivo del Conquistatore e dei suoi successori fu quello di rendere accetto
alla popolazione il nuovo ceto dirigente e al contempo rafforzare la monarchia: si lasciò quindi intatta la divisione del regno in contee
e si sottoposero gli sceriffi di ciascuna al controllo regio attraverso l'opera di giudici itineranti; analogo trattamento fu riservato ai
cavalieri di origine normanna, ricompensati con feudi, che potevano sottrarsi ai propri obblighi pagando un’imposta sostitutiva
(scrutage), usata per il finanziamento di un esercito sostitutivo. Per gestire finanza e giustizia nacque la Camera della scacchiera – dalla
coperta sul tavolo delle riunioni – alla quale gli sceriffi versavano il denaro raccolto nelle proprie contee due volte l'anno.
Guglielmo fece poi redigere il Domesday Book, un catasto del regno che diede un quadro chiaro dei beni della Corona e della
distribuzione della proprietà fondiaria – indispensabile per riscuotere le imposte e reclutare i soldati, forniti dai villaggi sulla base dei
loro abitanti. La potenza del regno crebbe con Enrico II (1154-1189) Plantageneta: egli ampliò i possedimenti francesi – grazie all'eredità
paterna dell'Angiò e del Maine – acquisendo Poitou, Guienna e Guascogna, dote della moglie Eleonora d'Aquitania, ex consorte di Luigi
VII. Il nuovo re fece poi pressione sulla monarchia francese, alla quale tolse la Bretagna, ed estese il potere dei tribunali regi; ad essi
tentò di sottoporre anche gli ecclesiastici, emanando nel 1164-1166 le Costituzioni di Clarendon. Il progetto naufragò grazie
all'arcivescovo di Canterbury Thomas Becket – suo ex cancelliere – che si oppose strenuamente, e a causa dell’isolamento nel quale il
re cadde quando Becket fu ucciso, da vassalli forse senza autorizzazione.
Intanto alcuni cavalieri Normanni cercarono di fondare un dominio sul Mediterraneo: questi erano però arrivati in piccoli gruppi,
sperando di far fortuna arruolandosi come mercenari al servizio dei potenti locali, ed erano cadetti delle grandi famiglie feudali o
comunque guerrieri proprietari di terre, spinti dalla voglia di avventura e dall'impoverimento delle famiglie di appartenenza causato
dall'aumentata natalità. L’insediamento in Italia meridionale fu facilitato dal particolarismo politico: ai primi dell'XI secolo la Campania
era divisa nei principati longobardi di Benevento, Salerno e Capua e nei ducati di Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi, nominalmente
dipendenti da Bisanzio. L'autorità dell'imperatore bizantino era invece esercitata su Puglia, Basilicata e parte della Calabria, mentre la
Sicilia era musulmana; tali formazioni erano poi percorse dai moti autonomistici di cittadini e funzionari. Un tentativo di riaggregazione
longobarda avvenne nel X secolo, quando Pandolfo di Capodiferro, principe di Capua, riunì la Longobardia minore e si legò a Ottone I,
ottenendo Spoleto e Camerino; il progetto però naufragò alla sua morte nel 981, quando Salernitani e Beneventini ne cacciarono gli
eredi e ripristinarono il modello precedente. Nei primi del Mille Guaimario IV di Salerno si impose poi su Amalfi, Sorrento e Gaeta, con
successi dovuti all'impiego di contingenti normanni – apparsi nel 999 in Italia meridionale dopo un pellegrinaggio in Terrasanta – attratti
da ricchezza e debolezza della zona e inseritisi come mercenari nelle dispute fra locali. Fra loro Rainulfo Drengot fu il primo a emergere:
combatté per il duca di Napoli Sergio IV contro il principe di Capua Pandolfo IV, ottenendo un feudo il centro di Aversa nel 1029 – poi
trasformato in sede vescovile; i suoi successori puntarono poi a Capua, che Riccardo Quarrel conquistò nel 1062, mirando a ritagliarsi
un proprio dominio.
Emersero poi altri capi, operanti per i Salernitani contro Bisanzio, i quali partirono da Melfi e conquistarono Puglia e Basilicata. Per
sottrarsi all'espansione, Benevento si mise sotto la protezione del papato nel 1051, al quale fu conferita nel 1077 (e rimase sino al
1860). Fra i Normanni in Puglia spiccarono gli Altavilla – Guglielmo Braccio di Ferro, Unfredo e Roberto il Guiscardo – e nell'XI secolo la
loro minaccia causò l’intervento di papa Leone IX, spinto dalla responsabilità verso Benevento e dall'attenzione riformista data al
meridione per sottrarlo a Costantinopoli. La coalizione antinormanna fu sconfitta nel 1053 a Civitate e il pontefice venne imprigionato;
fu liberato solo un anno dopo, quando riconobbe le conquiste di Riccardo, e l’intesa fu perfezionata nel 1059, quando il Guiscardo e
Riccardo giurarono fedeltà al nuovo papa Niccolò II: il primo divenne duca di Puglia, Calabria e Sicilia e il secondo principe di Capua. Il
Guiscardo consolidò quindi il suo dominio e avviò nel 1061 la conquista della Sicilia musulmana, sfruttandone la crisi politica e la
contemporanea fioritura culturale ed economica. Dopo la conquista molti musulmani emigrarono, ma quelli che rimasero si inserirono
bene nella società normanna; la cultura arabo-siciliana crebbe intanto nelle città e soprattutto a Palermo, dando alla corte normanna
un carattere particolare. Affidata la Sicilia al fratello Ruggero (il Gran Conte), Roberto conquistò il Mezzogiorno continentale: nel 1071
prese Bari, ultimo baluardo bizantino in Italia; nel 1073 Amalfi e nel 1076 Salerno, esiliando il cognato Gisulfo. Nel 1081 si lanciò quindi
su Costantinopoli, ma dopo poco dovette tornare in Italia per domare una rivolta di duchi pugliesi e difendere i propri domini da Enrico
IV, assediante Castel Sant'Angelo, dov'era asserragliato Gregorio VII. Il Guiscardo liberò il papa e lo portò a Salerno, ma nel 1084 morì
mentre raggiungeva l'Oriente in nave. La fragile politica fu quindi messa in discussione: i successori Ruggero Borsa e Guglielmo si
rivelarono vulnerabili agli ancora autonomi nobili cittadini. La situazione cambiò con Ruggero II, figlio del Gran Conte: padrone della
Sicilia, alla morte senza eredi di Guglielmo rivendicò il titolo di duca di Puglia e Calabria, scontandosi con i baroni meridionali e papa
Onorio II. Nel 1130 – approfittando della crisi della Chiesa alla morte del pontefice – si fece incoronare dall'antipapa Anacleto II, dando
vita a un regno che – fra mille crisi – sarebbe giunto al 1860.
Presa Napoli nel 1139, Ruggero organizzò il proprio regno, definito come via di mezzo fra Sato moderno e realtà feudale. Forti sembrano
i caratteri moderni: Ruggero e i suoi successori – Guglielmo I e Guglielmo II – sfruttarono le strutture governative ereditate da Arabi e
Bizantini, basando l'amministrazione su un ufficio centrale presso la corte di Palermo e vari uffici periferici. Questo offrì la possibilità di
produrre leggi, entrate fiscali e di imporsi sull’apparato ecclesiastico, avvicinando il Regno di Sicilia più agli Stati del mondo arabo-
bizantino che a quelli d’Europa – fatta eccezione per l'Inghilterra normanna – come dimostra l'esaltazione della maestà regia e
l'attribuzione di titoli arabi e greci da parte di molti nobili. I sovrani normanni furono l'apice di un’organizzazione definibile feudale,
della quale facevano parte i discendenti degli antichi conquistatori, i quali – pur litigiosi – erano solidali fra loro dinanzi al popolo
sottomesso ed esercitavano il diritto signorile derivante dal servizio militare offerto al sovrano. Le abbazie di Montecassino, Cava, S.
Vincenzo al Volturno e quelle normanne di S. Lorenzo di Aversa, Montevergine, SS. Trinità di Venosa e Monreale mantennero grande
libertà, cui si aggiunse l'autonomia dei maggiori centri cittadini, i quali conservarono le proprie tradizioni. La situazione politica fu quindi
frammentaria, ma il potere regio controllava saldamente tutte le varietà. Si ritiene che i rapporti feudo-vassallatici nel Mezzogiorno si
siano rivelati dannosi e meno efficienti dei dinamici Comuni del resto d'Italia, ma va detto che questo crollo avvenne al di là dell'età
normanna, quando ancora si rivelarono invece efficaci strumenti di governo.
I Normanni dell'Italia meridionale furono i protagonisti delle crociate. I preludi erano stati il movimento riformatore, la lotta per le
investiture e il Concilio di Clermont-Ferrand nel 1095, durante il quale Urbano II avanzò una generica esortazione al pellegrinaggio,
presumibilmente rafforzata dai cronisti successivi. Le parole del pontefice ebbero tale risonanza a causa del forte slancio espansivo
dell'Europa dell'XI secolo: la popolazione aumentava, venivano coltivate nuove terre, i mercanti musulmani e italiani si contendevano
i commerci mediterranei, i cadetti dell'aristocrazia erano alla ricerca di propri spazi… e il tutto era condito da una profonda inquietudine
religiosa. Quest'ultima era alimentata da predicatori itineranti, mentre lo spirito di avventura e purificazione fece incrementare il
numero dei pellegrini, diretti anche verso mete non tradizionali, come Moint-Saint-Michel sulla Manica, S. Michele della Chiusa e
Santiago di Campostela. Quest’ultimo cammino di S. Giacomo risultò particolarmente suggestivo, in quanto la Spagna era ancora teatro
di scontri fra musulmani e cristiani e proprio a Roncisvalle – uno