Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CAPITOLO IV. IL "GRANDE DISEGNO"
La II fase: dalla pace di Nicia alla spedizione in Sicilia (418-413 a.C.)
La spedizione contro Melo
Nel 416 a.C. l'Atene di Nicia aveva chiesto all’isola di Melo di aderire alla lega delio-attica,
sottomettendosi così alla dominazione ateniese. I meli però rifiutarono, perché erano una colonia
spartana e perché erano indipendenti da 800 anni, e offrirono ad Atene la loro neutralità nella guerra e
la possibilità di intrecciare rapporti di amicizia. Gli ateniesi, temendo che un atteggiamento troppo
morbido verso Melo potesse dare un’impressione di debolezza alle πόλεις alleate e nemiche, decisero di
attaccare l’isola: gli uomini furono uccisi, le donne e i bambini furono venduti come schiavi e gli ateniesi
stessi si stabilirono nel territorio. La spedizione contro l'isoletta di Melo fu poco comprensibile e
assolutamente gratuita, in quanto, come spiega Tucidide, «gli abitanti non erano per nulla disposti a
inchinarsi alla grandezza di Atene, tant'é che nelle fasi iniziali del conflitto si mantennero in sapiente
equilibrio tra gli stati in lotta». Ma gli ateniesi attaccarono comunque l'isola in quanto, secondo la loro
opinione, "era minaccia più pericolosa la loro amicizia che il loro odio aperto, in quanto la prima
avrebbe proposto agli occhi degli altri loro sudditi un esempio di fiacchezza, mentre il rancore avrebbe
rievocato sempre la loro potenza".
La spedizione in Sicilia
Alla fine del 416 a.C. prese forma nella mente di Alcibiade la spedizione contro la Sicilia,
contrariamente a quello che il suo tutore Pericle quindic'anni prima pensava e contro quello che Nicia
voleva:
- Pericle proponeva un piano difensivo per la conduzione del conflitto, che prevedeva la rinuncia
all'espansione e la gestione di una guerra di logoramento e non di confronto diretto;
- Nicia, da parte sua, era ben certo che Atene commetteva uno sproposito nel buttarsi in
un'avventura così grandiosa: secondo lui, infatti, la pace era malsicura ed era assurdo lasciare in
Grecia tanti nemici e andare a cercarne altri; che Siracusa regnasse in Sicilia non rappresentava
assolutamente un pericolo per Atene, la quale faceva meglio a consolidare l'impero là dov'era
debole e a recuperare le forze messe a dura prova dalla guerra e dall'epidemia;
- per Alcibiade, invece, la conquista della Sicilia significava fondi inesauribili per i salari (essa,
infatti, era padrona del commercio del grano), ma soprattutto maggiore ammirazione e
maggiore gloria: secondo lui, Atene, forte dell'alleanza con Argo e dei barbari che avrebbe
trovato laggiù, non aveva nulla da temere dai sicelioti così instabili; inoltre, secondo Alcibiade
Atene non poteva far altro che intervenire, vista l'esistenza stessa dell'impero («per uno stato la
rinunzia a una politica attiva significa il rapido deterioramento di ogni sua fibra» afferma il
nostro personaggio) (ricordiamo che a monte di questo sguardo costantemente volto a
Occidente stava l'evocazione di antichi legami e diritti fatta da Temistocle prima della II guerra
persiana con Salamina, 481 a.C., quando aveva minacciato gli spartani che, se li avessero
abbandonati di fronte alla flotta persiana, gli ateniesi sarebbero emigrati proprio in Magna
Grecia).
Ma il "grande disegno" di Alcibiade non era solo quello di soggiogare la Sicilia, ma anche quello
di estendere il dominio all'Italia e mettere poi alla prova Cartagine e la Libia (si racconta che
molti giovani, seduti nelle palestre e nei luoghi pubblici, disegnavano per terra la forma dell'isola
e la posizione geografica di Cartagine e della Libia); se il progetto fosse stato coronato, si
sarebbe invaso il Peloponneso, forti dei popoli assoggettati fino al quel momento, di modo che
tutto il Mediterraneo fosse potuto diventare ateniese. La tradizione racconta che sia Socrate che
l'astrologo Metone non si aspettassero niente di buono per Atene da quella impresa: Socrate, a
quanto pare, era stato avvertito dal suo genio (il famoso δαίµων) che lo preavvertiva con i suoi
consigli, mentre Metone finse di essere pazzo, bruciò la sua casa e chiese ai magistrati, a
compensazione del sinistro subito, che suo figlio venisse esentato dal partecipare alla
spedizione.
L'attenzione che Atene riservava alla Sicilia non era, a dire il vero, una novità: infatti, già Temistocle alla
fine del VI secolo a.C. aveva avviato una politica di espansione marittima in Sicilia per instaurarvi dei
legami, già Pericle nel V secolo a.C. concluse alleanze nell'isola, come per esempio con le città di
Segesta e Leontini, e già nel 427 a.C. si era verificata la cosiddetta “prima spedizione”, durante la quale
gli ateniesi erano stati chiamati dai leontini che si trovavano in difficoltà con Siracusa: in questa prima
spedizione gli Ateniesi si stanziarono a Reggio alleandosi con Messina; l'anno successivo, su richiesta
degli alleati, Atene inviò d'aiuto 40 navi, alcune delle quali furono trattenute altrove, permettendo così ai
siracusani di riprendere l'offensiva. Ben presto, tutte le città siciliane in disaccordo le une con le altre
tennero un grande congresso a Gela, nel sud dell'isola, dove il rappresentate Ermocrate si adoperò per
riunire le parti, visto che, secondo lui, le guerre in cui tutti si dilaniavano rischiavano di fare solo il gioco
degli ateniesi. E riuscì nel suo intento.
E fu questa salda unione che Atene trascurò nel 415 a.C.: nella "seconda spedizione", se così si può ben
definire, Segesta richiese l’aiuto di Atene contro Siracusa, e Atene accettò; Alcibiade venne nominato
stratego con pieni poteri (αύτοκράτωρ) insieme al timoroso e prudente Nicia e al coraggioso Lamaco e
vennero allestite una flotta di 134 triremi, più due grandi navi giunte da Rodi, e una forza di 5.100 opliti
e 1.300 fra arcieri, frombolieri e fanti leggeri. Nicia aveva detto che l'impresa si prospettava difficile, che
le città della Sicilia erano forti, che la distanza era grande e che servivano forze considerevoli, ma
invano: le sue parole non scoraggiarono gli ateniesi ma, anzi, li entusiasmarono ancora di più.
CAPITOLO V. GLI "AFFARI"
La mutilazione delle Erme e i Misteri Eleusini
Ma il giorno prima che le navi salpassero, vi erano donne che portavano in giro dappertutto immagini
raffiguranti dei morti, simulando cerimonie di sepoltura e cantando inni funebri. Allora dunque vi fu
l'oscuro episodio della mutilazione delle Erme, di cui trattarono Plutarco, Tucidide e Andocide (siamo
nell'estate del 415 a.C.): si trattava di colonnine di pietra di base quadrangolare raffiguranti la testa e
l'organo genitale del dio Ermes, collocate ai crocevia delle strade e sulle soglie delle abitazioni private e
dei santuari; avevano valore religioso, in quanto invocavano la protezione del dio.
L’episodio, a detta di Tucidide, fu accolto con stupore: il fatto che le Erme fosse state mutilate tutte
quante lasciava immaginare che ci fosse sotto un obiettivo ben preciso, forse un complotto, non certo
l'azione di giovani ubriachi che avevano compiuto una bravata; la paura più grande era quella di vedere
uomini riuniti in eterìe riportare la città di Atene a un regime meno democratico o addirittura tirannico.
D'altra parte, però, l'evidenza dei fatti non venne mai a sostegno dell'idea che si aspirasse davvero alla
tirannide, e ciò che si riconobbe fu un segno infausto per la partenza; al tempo, infatti, si teneva conto
di tutti i segni che potevano indicare la volontà divina, da un terremoto fino al volo degli uccelli o
addirittura a uno starnuto.
Tra tutti questi dubbi e sospetti la cosa certa era che la città, nel momento in cui intraprendeva la
spedizione più considerevole, si trovò di colpo destabilizzata. E ciò non era un caso: gli autori
dell'attentato, infatti, avevano voluto colpire proprio questo progetto e fermare ogni cosa con il
disordine che avrebbero fatto nascere. E ci riuscirono. Vennero così aperte due indagini: una per
cercare i colpevoli del gesto con ricompensa dell'eventuale spia e una per sollecitare eventuali denunce
(si parla di είσαγγελία per indicare quell'azione giuridica che permetteva a qualsiasi persona di chiamare
in giudizio chiunque fosse sospettato di agire contro la democrazia).
Tra le persone incolpate vi fu anche Alcibiade, accusato da un oratore di parte popolare di nome
Androcle di aver commissionato il crimine delle Erme e da uno schiavo di nome Andromaco di aver
addirittura profanato i Misteri Eleusini nell'abitazione privata di Pulizione, assumendo in questa
circostanza il compito dello ierofante, del somma sacerdote. Alcibiade chiese di essere giudicato prima
della partenza della spedizione, per potersi allontanare discolpato, ma la sua richiesta fu rifiutata.
Fortunatamente, poco prima di salpare, venne da un meteco di nome Teucro un'altra denuncia a
riguardo: per le Erme essa incriminava ben diciotto persone e per i misteri undici, ma il nome di
Alcibiade non c'era né in un caso né nell'altro. Queste notizie lo rassicurarono certamente.
La partenza
Una volta partiti e una volta raggiunta l'Italia meridionale, i successi tardarono a venire: in primo luogo
alcune navi procedettero fino a Reggio Calabria, che però non le accolse dichiarando la sua intenzione
di rimanere neutrale, e in secondo luogo una nave inviata a Segesta ritornò con la cattiva notizia che il
denaro su cui si faceva affidamento e che i suoi abitanti avevano mostrato ad Atene in realtà non c'era.
Che cosa fare, dunque, in queste condizioni? Nicia era dell'avviso di andare fino a Selinunte e là si
sarebbe presa una decisione sul da farsi in base alla loro possibilità o meno di contribuire
finanziariamente e, se davvero non possedevano nulla, si sarebbe rientrati ad Atene; Alcibiade, invece,
voleva intraprendere un'azione diplomatica presso tutte le città della Sicilia, eccezion fatta per Selinunte
e Siracusa, e poi, una volta ottenuto il loro aiuto, attaccare finalmente Siracusa; Lamaco, per parte sua,
avrebbe voluto attaccare subito Siracusa, ma accettò l'idea di Alcibiade.
Ma l'idea di Alcibiade non era facile da realizzarsi: Messina rifiuta di accogliere le truppe, a Nasso
possono entrare, Catania inizialmente rifiuta ma poi è costretta ad allearsi, Camarina è d'accordo ma è
disposta ad accogliere solo un vascello, e così via. Erano certo piccoli successi, ma accompagnati da
gran malcontento.
Nel frattempo ad Atene...
Dopo la partenza di Alcibiade, ci fu un'altra denuncia sulle Erme: un certo Diocleide disse d