CAP. 7 – LO SCONTRO TRA IL FILOSOFO E IL TIRANNO
Dionisio I, stategos autokrator, comandante supremo di Siracusa e di una buona fetta di territorio
siciliano da almeno 30 anni, stava giungendo alla fine della sua vita. Dionisio morì appena 4 anni
dopo la battaglia di Leuttra, nel corso di una complessa azione diplomatica, mentre si stava
giostrando tra Atene e Sparta, che richiedevano entrambe la sua alleanza.
Nonostante avesse tentato di corteggiare Dionisio fino a offrirgli la cittadinanza ateniese per
rendere più attraenti le trattative, era stata proprio Atene che gli avevano creato la reputazione di
feroce tiranno. Molti anni prima, nel 388 a.C. , Dionisio era stato accusato da Lisia di tirannia e di
aver soppresso la libertà greca. Platone era salpato per la Sicilia con animo ben più conciliante per
incontrarlo.
Approdando a Siracusa, Platone si proponeva di trasformare, attraverso una discussione intensa e
complessa, quell’uomo potente in un capo migliore e più giusto, che servisse di esempio per tutta
la Grecia.
Abituato a circondarsi di consiglieri servili e di gente sulla quale esercitava il diritto di vita e di
morte , non era preparato ad affrontare un uomo che era arrivato in Sicilia con la convinzione di
potersi esprimere liberamente. Platone fu tanto temerario da mettere in dubbio che i capi di un
governo assoluto fossero sempre nel giusto. Lo strategos autokrator esplose e diede ordine che
Platone fosse rimandato a casa.
Dionisio fu talmente inferocito dalle risposte audaci di Platone, che non solo lo rimandò a casa ma
lo fece imbarcare su una nave spartana. Mise l’ateniese Platone su una nave con il capitano e
l’equipaggio di una città con cui Atene era in guerra. Ma Dionisio non si accontentò di questo
oltraggio: pagò segretamente il capitano spartano affinché sulla via del ritorno uccidesse, o almeno
facesse cadere in schiavitù, Platone. Questi fu venduto come schiavo sull’isola di Egina, a poca
distanza dalla costa dell’Attica ateniese.
Agendo così sbrigativamente nei confronti di Platone, Dionisio aveva fatto un errore fondamentale
di valutazione. Infatti Platine era tutt’altra che un barbuto e solitario filosofo itinerante; ad Atene era
un uomo rispettabile con amici potenti e fedeli seguaci. Platone si salvò dalla schiavitù a Egina e
tornò ad Atene, gravemente ferito nell’orgoglio. L’anno seguente fondò una scuola filosofica, la sua
Accademia.
I filosofi non combattono con le spade ma con le parole. L’Accademia affermò pubblicamente che
la sua apparenza di uomo forte nascondeva una brama incontrollabile di potere che, a parere
dell’Accademia, era il difetto tipico dei tiranni. Il rovescio della medaglia di quella brama era la
paura e il sospetto costante verso tutti.
Nonostante tutto, fu questo l’uomo cui Atene, dopo la catastrofe diplomatica della vittoria tebana
alla battaglia di Leuttra nel 371 a.C. si rivolse per salvare la sua posizione internazionale. Nella
democratica Atene, le fazioni che erano favorevoli a collaborare con lui si premurarono affinché gli
fosse offerta la cittadinanza e fosse firmato un trattato che garantiva il suo appoggio ad Atene. Ma
l’Accademia aveva lavorato bene, Dionisio non fu mai accolto senza riserve nel seno della vita
politica o delle scelte politiche di Atene, perché la pubblica opinione, pilotata dall’Accademia,
vedeva in lui una persona spregevole.
A Dionisio I successe il figlio Dionisio II, un uomo molto diverso: rammollito da una educazione nel
lusso, indebolito da una carriera che non aveva richiesto alcuna impresa degna di nota.
Dietro questa debole figura rappresentativa stava la forza intellettuale di Dione, un uomo che
aveva servito Dionisio padre per buona parte del suo governo e aveva avuto un ruolo determinante
nell’invito a Siracusa di Platone 20 anni prima.
Gli altri consiglieri non provavano simpatia per Dione e subito tentarono di instillare odio verso di
lui nel tiranno. Ma nonostante i suoi difetti, Dione era una pedina importante nell’ambito
siracusano. Soltanto lui era riuscito a mantenere un dialogo positivo con l’Accademia di Platone e
con Atene e lui soltanto poteva contribuire a migliorare la reputazione dei governanti di Siracusa.
Dione e Siracusa erano amici per corrispondenza, non sorprende quindi che nell’anno 366 a.C.
Platone, allora sessantenne, accettasse l’invito di Dione a ritornare a Siracusa. Si prosperava la
possibilità di una intesa tra il filosofo e il tiranno, una nuova alba nei rapporti tra Atene e Siracusa.
All’inizio l’incontro tra queste due personalità antitetiche, mediato dal fastidioso, difficile, per quanto
brillante Dione, fu un grande successo. Dionisio figlio, ansioso di mascherare una reputazione di
sciocco, voleva che Siracusa divenisse una nuova capitale intellettuale del mondo greco.
I consiglieri del nuovo leader, da tempo contrari a Dione e alla sua filosofia, mal sopportavano il
nuovo tono assunto dal regime ed erano gelosi dell’influenza di Dione. A cosa poteva servire,
sussurravano all’orecchio di Dionisio, la filosofia per un governante potente? E insinuavano che la
gente cominciava a parlava dell’influenza di Platone e, attraverso Platone, di Atene su Siracusa.
Dionisio figlio, nella brama di superare il padre, non poteva non farsi convincere. Dione fu mandato
in esilio, Platone imprigionato. L’intesa tra filosofo e tiranno era di nuovo finita male.
Alla sua partenza, Dionisio pregò Platone di non macchiare la sua reputazione come aveva fatto
con quella del padre, di non parlare male di lui ai Greci e di non sollevare una rivoluzione contro di
lui a Siracusa. Mentre navigava verso Atene Platone poteva dirsi abbastanza sicuro di essere il
vincitore del terzo scontro tra filosofo e tiranno. Tornando ad Atene, dove Dione era stato accolto
nella sua Accademia, Platone, nonostante l’età avanzata, aveva un nuovo obiettivo: trasformare
l’ostico Dione nel capo che aveva sempre sognato.
CAP. 8 – L’IMPLOSIONE DELLA GRECIA
La battaglia di Leuttra, nel 371 a.C., aveva segnato l’inizio dell’era della supremazia di Tebe.
Sparta era in declino e la politica estera di Atene non le forniva le garanzie e la sicurezza di cui
avrebbe avuto bisogno.
Nel 370 a.C., proprio quando sembrava sul punto di stringere la morsa sulla Grecia centrale, dopo
aver presieduto gli importanti giochi atletici a Delfi, non lontano dalla orchestra di Ares, Giasone, il
capo della Tessaglia, fu assassinato. Lo uccise il nipote Alessandro, che divenne il nuovo capo
supremo della Tessaglia.
Quando Giasone di Fere fu assassinato nel nord, Epaminonda e Pelopida decisero di trarre il
massimo vantaggio dalla situazione e portarono la guerra a sud, fino alle porte di Sparta. Tutta la
zona meridionale della Grecia, il Peloponneso, che era rimasta a lungo sotto il rigoroso controllo di
Sparta, era in disgregazione. Città che fiutavano la difficoltà di Sparta coglievano l’occasione per
ribellarsi, dichiararsi indipendenti e formare alleanze. Sul modello della Lega beotica organizzata
dai Tebani, sorse, non molto tempo dopo la battaglia di Leuttra, una nuova Lega arcadica nel
centro del Peloponneso. A man mano che la formula politica del federalismo andò diffondendosi
coi venti del sud, si profilò chiaramente una nuova mappa del potere politica in Grecia.
Pelopida e Epominonda nell’inverno del 370 a.C. avanzarono verso sud, fin nel ventre del
Peloponneso, saccheggiando il territorio. Quando gli ultimi mesi del 370 cedettero ai primi gelidi
giorni del 369 a.C. l’esercito tebano, che appariva inarrestabile, continuò la marcia, finché giunse
alle porte di Sparta.
Nonostante la forza di Tebe, in quell’inverno Sparta non cadde e riuscì a difendere le sue mura.
Sparta dipendeva però dalle popolazioni greche stanziate intorno alla città, ridotte in schiavitù molti
secoli primi. Questi schiavi, gli Iloti della Messenia, aspettavano l’occasione per ribellarsi e
l’esercito tebano offrì loro la copertura necessaria.
Per Tebe, al contrario, la campagna di quell’inverno era stata un successo senza precedenti: cosa
che rende ancora più paradossale il fatto che, al ritorno in patria, Pelopida e Epominonda fossero
immediatamente sottoposti a processo; l’accusa nasceva da un cavillo: portando avanti la
campagna militare nell’inverno dal 370-369 a.C, non erano ritornati a Tebe per essere rieletti
generali per l’anno seguente. La questione fu giudicata abbastanza serie da essere portata in
tribunale a Tebe. Si disse che Pelopida scoppiasse a piangere come un bambino, accusando E. di
non avergli impedito di tornare a casa. Secondo Plutarco, E., noto per la sua arroganza, guardò
invece i giudici negli occhi, ammise di aver infranto le regole e chiese il massimo della pena, con
una pietra tombale dove fosse incise le imprese che aveva compiuto per Tebe. I giudici
cominciarono a ridere davanti all’evidente assurdità del caso loro sottoposto e lasciarono l’aula
senza nemmeno preoccuparsi di votare una assoluzione.
E. voleva combattere, ma non più al fianco di Pelopida; che sia o no dipeso dal tradimento di P.
compiuto per debolezza in tribunale, rimane il fatto che P. ed E. non andarono mai più a
combattere insieme dopo l’inverno del 370-369 a.C. Ciascuno si creò una propria sfera di
influenza: P. al nord e E. al sud.
Giasone, il capo di Tessaglia, con il quale Tebe era stata in buoni rapporti, era stato assassinato e
sostituito dal nipote Alessandro, nel 370. Per di più alcune città della Tessaglia avevano colto
l’occasione offerta dalla crisi per la successione, per rivoltarsi contro la forma di governo che da
alcuni anni comprendeva tutta la Tessaglia sotto un unico capo. Il paese si divise in due campi,
uno capeggiato dalla città di Fere e uno da Larissa città situata più a nord, vicino al confine
macedone. Larissa era debole e per far fronre alla forza militare di Fere non aveva altra alternativa
che chiedere aiuto alla Macedonia. Il re di Macedonia, salito anch’egli al trono nel 370, fu ben
felice di acconsentire e inviò l’esercito in sua difesa. Quando, più tardi, nel 369, P. iniziò la marcia
verso nord, si trovò a dover scegliere da che parte schierarsi: con Alessandro, il successore di
Giasone, con le mani sporche di sangue, o con la città ribelle, Larissa, e il suo alleato macedone?
Almeno per il momento optò per Alessandro. Marciando verso nord estromise dalla Tessaglia il
nuovo re macedone e riuscì addirittura a stipulare un trattato che rendeva la Macedonia
ufficialmente alleata di Tebe. Come garanzia della pace, P. chiese ostaggi al re di Macedonia. Fu
così che negli ultimi mesi del 369 Filippo, un giovane della nobiltà macedone, fu scortato insieme a
os
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