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CAP. 4. LA GIUSTIZIA POPOLARE
Età classica: V-IV secolo a.C.
Il tribunale popolare ateniese
Ad Atene i principali organismi democratici erano la βουλή dei Cinquecento, l'assemblea popolare
formata da tutti i cittadini di età superiore ai vent’anni (έκκλησία), e il tribunale popolare; esso era
chiamato in origine "Eliea" (dal dorico άλίαια, "assemblea") e a partire dal IV secolo a.C. δικαστήριον,
termine che indicava le diverse sottosezioni in cui il tribunale operava; analogamente, i giudici erano
chiamati "eliasti" o "dicasti": essi giudicavano questioni pubbliche e private di ogni tipo e avevano
un'ampia funzione di controllo su magistrati con processi di bilancio, oratori con accuse di illegalità e
strateghi con accuse di attentato alla sicurezza dello stato.
Un deciso incremento dell'importanza del tribunale popolare fu dovuto a Efialte: egli sottrasse
all'Areopago, ovvero il consiglio vitalizio costituito dagli ex arconti, la custodia delle leggi contro ogni
violazione e le ridistribuì alla βουλή dei Cinquecento, all'έκκλησία e al δικαστήριον stesso, che ne
uscirono ovviamente potenziati (all'Areopago da quel momento spettarono solo i processi per i delitti
di sangue, la cui pena era in caso di colpevolezza la morte, e poche altre competenze di natura religioso-
sacrale).
Il tribunale popolare era composto da seimila giudici in misura di seicento per tribù, sorteggiati
annualmente per assicurare un'ampia turnazione fra tutti i cittadini di età superiore ai trent'anni, non
privi dei diritti politici (άτιµοι) e senza debiti nei confronti dello stato. Ogni giudice disponeva di una
tessera (πινάκιον), prima in bronzo e successivamente in legno, recante il suo nome, il patronimico e
l'indicazione del demo di provenienza con una lettera dell'alfabeto a specificare la corte di assegnazione
(insomma, una sorta di documento d'identità).
L'assegnazione veniva fatta ogni giorno di attività con una serie di procedure precauzionali, che
comprendevano il sorteggio dei giudici, del presidente del tribunale e dei funzionari incaricati di
sovrintendere alle operazioni di sorteggio e di voto, in modo da evitare imbrogli sia nella formazione
delle corti giudicanti, che risultavano così essere più eque e obiettive, sia nello svolgimento dell'attività
giudiziaria, che appariva in questo modo più seria. Il sorteggio (κλήρωσις) dei giudici era fatto per
mezzo di una speciale macchina, il κλεροτὲριον, che consisteva in una superficie piatta con diverse
cavità contenenti le tessere e in un tubo colmo di sfere bianche e nere (κύβοι); la tessera corrispondente
alla sfera bianca risultava essere estratta. Questo tipo di sorteggio si usava per la prima fase, quella della
selezione dei giudici necessari per i compiti della giornata, mentre per la seconda fase, quella
dell'assegnazione dei sorteggiati alle differenti corti, si usava il sistema più antico e più semplice
dell'estrazione dall'urna.
I giudici prestavano una promessa, il cosiddetto "giuramento degli eliasti", e giuravano di dare
giuramento non solo in conformità alle leggi (κατά τούς νόµους), ma anche secondo l'opinione più
giusta (γνώµη δικαιότατης), ispirandosi così all'έπιείκεια e non esclusivamente al νόµος.
La partecipazione a una seduta del tribunale, che durava un'intera giornata, veniva retribuita con due
oboli e successivamente con tre (si ricordi, infatti, che Pericle alla fine del V secolo a.C. introdusse il
µισθός, ovvero la retribuzione delle cariche pubbliche); si trattava certo di una retribuzione modesta, ma
che poteva tuttavia costituire un'accettabile rimborso per chi perdeva la giornata di lavoro e attirare
quelle persone anziane, invalide o disoccupate per le quali essa costituiva l'unico reale mezzo di
sussistenza.
Il processo attico "tradizionale"
La natura del processo attico è stata molto discussa: alcuni l'hanno visto in una prospettiva
prevalentemente antropologica, come agone retorico tra membri privilegiati della società che si
sottopongono a una sorta di giudizio pubblico e cercano di convincere i giudici a esprimersi in loro
favore; altri hanno preferito vedervi la sede privilegiata dell'applicazione della legge e della giustizia.
Una delle caratteristiche del processo attico è il suo carattere accusatorio: l'azione legale, infatti, partiva
dalla denuncia del cittadino, il quale aveva diverse alternative possibili: accusa privata (δίκη) o accusa
pubblica (γραφή), processo in cui la pena era fissata per legge senza valutazione da parte del tribunale
(άγών άτίµετος) o processo in cui la pena veniva invece stabilita dal tribunale (άγών τιµετός), procedura
dalle gravi conseguenze penali o procedura alternativa meno severa, e così via.
Le competenze dei magistrati erano poi divise: l'arconte eponimo si occupava del diritto di famiglia,
l'arconte re del diritto sacrale, l'arconte polemarco delle controversie relative a meteci e stranieri, gli
strateghi e i curatori degli arsenali dei reati militari, i tesmoteti di casi di diritto pubblico e di reati contro
la pubblica amministrazione, i Quaranta di controversie in materia di proprietà e possesso per
controversie di valore minore a dieci dracme, ecc.
La procedura ordinaria prevedeva una serie di tappe:
1. citazione orale (πρόσκλησις) fatta alla presenza di testimoni dall'attore al convenuto, il quale
aveva due possibilità: chiedere che l'azione non avesse corso o accettare la causa e difendersi. In
questo'ultimo caso:
comparizione dopo almeno cinque giorni dalla citazione. Nel frattempo l'attore presentava al
2. foro del magistrato competente uno scritto in cui riassumeva le sue pretese o i motivi
dell'accusa avanzata e il convenuto il proprio. Entrambi poi depositavano una somma per le
spese giudiziarie, che il soccombente rimborsava al vincitore al termine del processo;
3. istruttoria (άνάκρισις) in cui si svolgevano indagini e si acquisivano le prove e le informazioni
utili ai fini del giudizio. Il magistrato doveva assistere le parti mentre esse producevano i mezzi
di prova e doveva conservarli per trasmetterli al tribunale;
4. introduzione della causa in tribunale e dibattimento. Il tribunale poteva trattare in una giornata
quattro cause private e una sola causa di carattere pubblico: il magistrato fissava il giorno del
dibattito presso una delle sottosezioni del tribunale eliastico, comprendenti 2500, 2000, 1500,
1000, 500 giudici (con l'aggiunta di un altro per evitare un verdetto paritario) per le cause
pubbliche a seconda della gravità del caso, 400 o 200 membri per le cause private di valore
rispettivamente superiore e inferiore alle 1000 dracme.
Il magistrato procedeva poi al sorteggio di dieci giudici, un addetto alla clessidra e quattro
scrutatori. Le parti venivano poi invitate a salire in tribuna per parlare e potevano intervenire
anche degli amici a sostegno delle parti, interventi di appoggio, questi, usati soprattutto dai
membri dell'élite e che creavano senz'altro delle disuguaglianze. Ai discorsi dell'oratore e del
convenuto era assegnato un tempo stabilito in base al valore della causa, misurato con la
clessidra, che veniva però fermato durante la lettura di documenti ufficiali. Bisogna comunque
ricordare che nella cause pubbliche, in cui il dibattimento durava tutta la giornata, il tempo
concesso era ovviamente assai maggiore: il giorno veniva diviso in tre parti, ovvero accusa,
difesa ed eventuale fissazione della pena;
5. verdetto del tribunale reso a maggioranza. Nel tribunale venivano poste due anfore, una in
bronzo e una in legno, e i giudici esprimevano il loro voto segretamente utilizzando dei dischetti
di bronzo forati e pieni; l'araldo proclamava che il dischetto forato era per esempio per il primo
oratore e quello pieno per il secondo; i giudici deponevano così i loro voti, quelli validi
nell'anfora in bronzo e quelli non validi nell'anfora in legno, tenendo il dischetto in modo da
coprire il perno per non rendere manifesto il loro voto. La decisione del tribunale era definitiva,
sebbene si potesse contestarla, per esempio protestando per falsa testimonianza: in questo caso
si poteva ottenere la revisione del processo, mentre non si poteva "ricorrere in appello" in senso
proprio;
pena che poteva essere άτίµετος o τιµετός; in quest'ultimo caso si facevano due votazioni
6. successive, una per stabilire colpevolezza o innocenza e una, in caso di condanna, per decidere
tra la pena proposta dall'attore e la pena proposta per se dal convenuto stesso.
Il processo attico per omicidio
Caratteristiche molto diverse avevano i processi per omicidio: si trattava innanzitutto di cause private
esperibili solo dalla parte lesa, cioè dalla famiglia del morto, in quanto l'omicidio ledeva prima di tutto
l'integrità dell'όικος.
Il magistrato competente era l'arconte re, a cui spettava, una volta ricevuta la denuncia, proclamare
l'allontanamento dell'accusato dai luoghi pubblici e sacri, allo scopo di evitare la contaminazione della
comunità, e istruire le tre sezioni istruttorie da tenersi in tre diversi mesi prima del dibattimento
conclusivo; egli introduceva poi la causa ai diversi tribunali competenti, a seconda del tipo di reato
valutato sulla base dell'intenzione dell'omicida e dello dell'ucciso. Questi tribunali speciali erano
status
costituiti da giudici chiamati "efeti" in numero di cinquantuno. In particolare:
all'Areopago spettavano i processi per omicidio e tentato omicidio con premeditazione e quelli
• per avvelenamento e incendio, la cui pena era la morte;
al Palladio competevano le cause per omicidio involontario e colposo e per l'omicidio di
• meteci, stranieri e schiavi, la cui pena era l'esilio, da estinguere eventualmente con una somma
di denaro;
al Delfinio toccavano le cause di omicidio legittimo (es. cas