Sunto di Storia dell'Arte e dell'Architettura dalla fine dell'Ottocento agli inizi del Novecento (dalla Poetica del Ferro alla Secessione Viennese)
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La Casa delle fate in realtà racchiude ben quattro villini sparsi in diversi punti del quartiere,
chiamati così perché non ricordano la severità dei palazzi e la possenza della loro facciate, ma il
giusto connubio fra sapiente uso del verde e corpi di fabbrica leggeri dalle decorazioni e dalle linee
eleganti, ne fanno posti da fiaba, dal carattere certamente allegro e solare. In ognuna delle quattro
case delle fate è presente sempre decorazioni tipiche dell’architettura rinascimentale, barocca,
romanica e moderna, chi presenta una quadrifora, chi una balaustra, chi un loggiato, chi decorazioni
con festoni e putti; in ciascuna decorazioni pittoriche raffiguranti i simboli delle quattro città
italiane più importanti: il leone alato di San Marco (Venezia), l’aquila di San Giovanni (Genova),
Romolo e Remo (Roma) e un rappresentazione di Firenze. Oltre a queste abbondano decorazioni di
putti, api, motivi floreali, angeli ed elementi simbolici lungo le pareti degli edifici.
SW
Gaetano Koch: Palazzo Koch (1888-1892) Attuale sede della Banca d’Italia. Siamo di fronte ad un
architettura imponente ma più sobria imperniata su un ritorno dello stile neorinascimentale. Koch
era un profondo conoscitore della storia e dell’architettura e le sue citazioni nella progettazione
delle sue opere, sono veramente profonde, dettagliate e rifacenti allo stile primario. Tale palazzo
non è altro che una citazione del Palazzo rinascimentale il cui modello si basa fortemente sui
prospetti offerti dalle opere michelangiolesche, Palazzo Farnese a Roma, Palazzo Strozzi a Firenze.
Trova nel rinascimento italiano il linguaggio che meglio dovrebbe interpretare l’identità italiana.
Niccolò Matas: Santa Croce a Firenze: impianto medievale attribuito ad Arnolfo di Cambio che vi
avrebbe lavorato tra il 1294-1295. Tuttavia come in molte chiese fiorentine la facciata rimase
incompiuta similmente alla attuale facciata di San Lorenzo, sebbene in forme e proporzioni diverse.
Una consuetudine questa dovuta al fatto che le risorse economiche erano destinate prima di tutto a
completare gli interni con decorazioni e affreschi e solo in ultimo si abbelliva la facciata. Poiché
questa quindi rimase incompleta si procedette al restauro in stile, provvedendo a costruirne una così
come l’avrebbero costruita in quel tempo. Ci sono forme che ricordano l’architettura medievale
fiorentina con ispirazioni e spunti presi in prestito dal Duomo di Orvieto e di Siena che
costituiscono un artificiosa opera neogotica incentrata sostanzialmente sull’alternanza di elementi
bianchi e scuri. La facciata costituisce una degna cornice per la piazza, tuttavia l’architetto Matas
aggiunge un particolare personale nel timpano della facciata: la Stella di Davide, pur non
sconosciuto come simbolo cristiano era una chiara allusione alla sua fede ebrea.
Giuseppe Sacconi: Bologna, San Petronio, facciata incompiuta Sacconi fu un grande architetto
nonché restauratore, il primo sovrintendente d’arte nelle Marche e in Umbria, aveva studiato a
Roma ed era membro dell’accademia romana delle belle arti di San Luca. La sua preparazione gli
permetteva di saper disegnare e riprodurre a mente notevoli monumenti romani con notevole
predilezione per le architetture rinascimentali. La sua collaborazione con Luca Carimini artista
marchigiano anch’egli originario di Urbisaglia, gli permise il restauro della Chiesa di Santa Maria
di Loreto a Roma. Solo negli ultimi decenni della sua vita restaurerà anche la Basilica della Santa
Casa di Loreto riformando l’interno in stile gotico non esitando a rimuovere alcune opere interne
del’500 e del ‘600. Fu per questa suo atteggiamento, molto criticato dai suoi contemporanei e non
solo, soprattutto del fatto di asportare dall’opera elementi posteriori che non riflettevano in alcun
modo il contesto di fondazione dell’Opera. Per quello che riguarda la basilica di San Petronio egli
partecipò al concorso del 1887 per la realizzazione della sua facciata, ma il progetto non ebbe
seguito.
Giuseppe Sacconi: Monumento a Vittorio Emanuele II (1885-1888) Il monumento doveva
celebrare colui che era considerato il padre della Patria e per questo si scelse un linguaggio artistico
adatto ad esaltare la grandezza e la maestà di Roma nonché dell’Italia, e la scelta andò
univocamente sullo stile classico elaborato in maniera spettacolare. Il concorso che ne sancì la sua
realizzazione prevedeva la costruzione di “un complesso da erigere sulla collina del Campidoglio,
in asse con via del Corso, una statua equestre del Re e un degno sfondo architettonico che ne
facesse da cornice, lasciato libero nelle forme ma in maniera tale da ricoprire tutti gli edifici
posteriori compresa la facciata laterale della Chiesa di Santa Maria di Aracoeli”.Il degno sfondo
architettonico fu costruito ispirandosi all’Altare di Pergamo in proporzioni e forme notevoli, su un
area vasta del Campidoglio occupata da un quartiere medievale con costruzioni rinascimentali e
presistenze romane, che spaziavano da Piazza Venezia ai Fori imperiali. Tuttavia non si esitò a
demolire tutto quello che si trovava in quell’area, anche di fronte al ritrovamento ai resti dell’Insula
dell’Aracoeli di cui alcuni resti possono essere ancora visti sul lato sinistro del monumento.
L'edificio, per le sue notevoli dimensioni, presenta una struttura dinamica e complicatissima con un
portico neoclassico caratterizzato da colonne in stile corinzio (con foglie d'acanto scolpite sul
marmo) che coincidono ai lati con due rispettivi pronai a due colonne (realizzate sempre con
capitelli corinzi) che ci riportano agli splendori del tempietto della Nike (la Vittoria "personificata")
dell'acropoli di Atene. Realizzò anche gli apparati effimeri e le decorazioni per la posa della prima
pietra.
Giuseppe Sacconi: Chiesa di San Francesco Force (AP) 1878 Inspirandosi alle opere di Leon
Battista Alberti in San Sebastiano (1460) e Santa Andrea (1472) Sacconi fa proprio il linguaggio
albertiano puro utilizzando le forme essenziali dell’architettura rinascimentale quali linee, cerchi
archi, paraste e capitelli, non più impostate su una facciata rivestita da lastre marmoree, ma ottenute
su una facciata completamente in laterizio, modellando il mattone in maniera tale da fargli assumere
l’impostazione desiderata. La facciata si imposta su due coppie di paraste disposti ai spigoli su cui
si imposta l’arco trionfale con rosone centrale e timpano sovrastante. Pregevole è il portale decorato
semplicemente utilizzando il mattone così come le formelle rotonde al centro delle paraste angolari.
La Poetica del Ferro
Esiste un'altra faccia della stessa epoca che fu definita da Renato De Fusco “La Poetica del
Ferro”.Meritano di considerazione alcune opere costruite in quel periodo come la Galerie
d’Orleans di Fontaine del 1829 demolita nel 1933, ricoperta con lastre di metallo e vetro. Costruita
per dare alla città industriale di quel tempo, un luogo di riposo e di tranquillità, nonché un esercizio
di eleganza nel grigiore delle spoglie e ombrose costruzioni industriali. Altra opera facente
riferimento a questa epoca è il Teatro Goldoni (1843-1847)a Livorno con copertura in vetro e ferro.
Henri Labrouste biblioteca di Sainte Genevieve (1838-1850 )Parigi rappresenta una costruzione
innovativa per l’epoca e sicuramente non perfettamente classificabile in una tipologia edilizia
precisa per i suoi canoni estetici e strutturali. E’ definita quindi una struttura di libera
interpretazione. Rappresenta una coesione fra muratura delle strutture perimetrali (tecnica
tradizionale) e il connubio fra ferro e vetro nello spazio interno e nella copertura. La muratura fu
essenziale per dar forma alla facciata figlia di un Revival greco con una successione di arcate su
paraste che incorniciano finestre al piano superiore. Anche al piano terra finestre ad arco in rilievo
su parete con fascia marcapiano decorato da festoni in bassorilievo con mascheroni tipici dell’arte
greca. All’interna la grande sale si suddive in navate separate da esilissimi pilastrini in ghisa che
sostengono volte ed arcate in ferro decorato e copertura in vetro.
Il Padre delle Costruzioni in Ferro e vetro dell’età moderna è il Cristal Palace (1851) di Joseph
Paxton realizzato per l’esposizione universale di Londra da un semplice giardiniere costruttore di
serre, tale Joseph Paxton. Il progetto fu subito accettato per il fatto stesso che gli elementi potevano
essere prodotti in serie facilmente e smontati senza difficoltà e riutilizzati in seguito a differenza
degli altri progetti iniziali i cuoi componenti erano difficili da realizzare e da smontare una volta
l’opera conclusa. L’opera era costituito da un edificio completamente prefabbricato la cui unità base
era un quadrato del lato di 24 piedi (7.3 m). Il piano principale prevedeva il ripetersi di tali unità 77
x 17 volte andando ad occupare quindi un area di circa 84 000 mq. Il corpo centrale presentava una
chiusura curvilinea a botte. Questa struttura geometrica non aveva nulla di particolarmente nuovo o
diverso, ma il suo uso era innovativo sotto diversi punti di vista e comportava notevoli vantaggi:
l’uso dei sostegni in ferro permetteva una totale rinuncia ai pilastri centrali e ai muri portanti e
tutta la struttura poteva essere così costruita in vetro. La struttura fu più volte smontata e
ricostruita grazie alla grande adattabilità dei suoi elementi. Nelle successive ricostruzioni dopo
l’Esposizione Universale del 1851 vi furono aggiunte sostanziale come la volte a botte che ricopriva
tutta la struttura, permettendo all’interno di farvi crescere alberi. Furono costruite due torrette
laterali per incamerare l’acqua necessaria per la crescita delle piante.
Victor Baltard Halles Centrals (1845-1870 Mercati generali) fu una vasta opera di sistemazione
di una zona di circa 88000 mq attraversata da una grande strada principale scoperta che attraversava
e divideva in due tutta la costruzione e con strade ortogonali che individuavano circa 10 padiglioni
ognuno dei quali vendeva una determinata derrata alimentare e vettovaglia, provvisti tutti di
magazzini e depositi sotterranei. Ogni padiglione erano costruito completamente in ferro con
colonnette in ghisa e arcate superiori che sostenevano una copertura mista in zinco e legno così da
ottenere una camera d’aria. Les Halles determinò la sistemazione di un intero quartiere e furono
abbattuti solo nel 1971 per far posto ad un centro commerciale moderno con piani sotterranei.
Alessandro Antonelli: Mole Antonelliana (1863-1889) Fu progettata inizialmente come sinagoga
per la Comunità torinese, con pianta centrale. La massiccia costruzione inferiore è totalmente in
muratura e la sua architettura denota l’influenza neoclassicista e neobarocca dell’architetto. Su di
questa si innalza la cupola la cui struttura muraria interna è costituita da un doppio guscio di esili
muri di circa 12 cm separati fra loro da una distanza di 2 metri. L’uso abbinato di murature e catene
e tiranti metallici ha reso possibile l’esiguo spessore di queste strutture murarie. La guglia che i
innalza sopra la cupola è interamente costruita in acciaio assai sviluppata in altezza tanto da
ricordare l’idea di spinta verticale della struttura.
Giuseppe Mengoni: Galleria Vittorio Emanuele II (1865-1877) E’ un passaggio coperto che
unisce Piazza della Scala e Piazza Duomo costituito da una struttura muraria massiccia le cui
facciate interne ed esterne sono progettate in stile eclettico del tempo con un misto tra linguaggio
rinascimentale e barocco, in quattro bracci ortogonali che i incrociano sotto una cupola la cui
struttura così, come tutta la copertura è realizzata in vetro e ferro. Anche a Londra a Saint Pancras
Station (1868) nonostante lo stile della struttura muraria ispirata al Gothic Revival, William Herny
Barlow ricoprì l’edificio murario con una struttura in ferro e vetro. Ve
dute della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano Ve
dute di Saint Pancras Station a Londra: come alla Galleria di Milano alla struttura in muratura
particolarmente decorata si sovrappone una leggera copertura in ferro e vetro.
Arts and Crafts
William Morris (1834-1896) fondatore del movimento degli Arts and Crafts (arti e mestieri) fu un
architetto e fondatore del movimento Arts and Crafts, conobbe il pensiero di John Ruskin e
incontrò Dante Gabriel Rossetti pittore e poeta, sposò una preraffaellita, tale Jane Burden. Nel
1862 fondò la Morris, Marshall, Faulkner & Co laboratorio di arte e design, disegno industriale e
produzione di oggettistica quotidiana. Con Philip Webb progetta la Red House (1859-1860) opera
che riecheggia una progettazione che si fa alla tradizione edilizia contadina: tecniche tradizionali
che non hanno nulla a che fare con la monumentalità dei palazzi e delle opere delle grandi città. La
vera monumentalità di questa opera sta nell’insieme di costruzioni legate fra loro come stalla,
fienile e abitazione che ne fanno un’architettura contadina funzionale e che secondo Morris non
aveva nulla da invidiare ad un Teatro dell’Opera o ad una Chiesa. L’abitazione aveva una pianta ad
L e la sua struttura in muratura era costruita con mattoni rossi e coperture inclinate rotte da abbaini,
padiglioni e avvallamenti a livelli diversi, tali da poter essere paragonate alle costruzioni con i tetti
di paglia, naturalmente esisteva una speciale armonia fra la Red House, massiccia e romantica e il
giardino e il verde circostante. Questa
opera denota fortemente gli ideali e le convinzioni di Morris secondo il quale l’architettura era
curata nei particolari e non doveva dare prova di grande spettacolarità ma contrastare la smania
edilizia legata all’industrializzazione, distruttrice di ogni morale e di ogni gusto per il bello e per il
funzionale, in nome di un esigenza economica sovrastante. L’Architettura era più a modello
dell’artigianato tradizionale, una vera e propria arte volta alla cura del dettaglio, della semplicità e
modestia degli oggetti e della loro funzionalità. La Morris si dedicò anche ad altri aspetti: i torna a
lavorare il vetro e a decorarlo sul modello delle vetrate delle chiese gotiche, abitudine ripresa con il
Gothic Revavil. Si producevano quadri, sculture, arazzi e tappezzerie nei quali l’obbiettivo di fondo
era di ridare valore d’arte all’artigianato come reazione al cattivo gusto che dominava la produzione
industriale. Opponendosi allo scadimento del livello qualitativo ed estetico degli oggetti di uso
comune e rifiutando l'uso della macchina, miravano alla produzione manuale di questi oggetti. Il
limite della concezione artistica di Morris, per un ritorno ad un Medioevo utopistico, sta nel fatto
che egli non si avvide che il costo dei suoi prodotti risultava molto elevato e che, solo pochi eletti
avrebbero potuto godere di quelle meraviglie.
Le esposizioni universali e l’architettura degli ingegneri
Non è che la classe degli ingegneri non era esistita fin’ora, tuttavia è solo in questa epoca che si
assiste ad una diatriba professionale tra ingegneri e architetti. Il dissidio nasce da premesse di tipo
organizzativo: gli ingegneri avevano una formazione universitaria e scolastica prettamente
matematica e tecnologica, gli architetti si formavano nelle Accademie o nelle botteghe di Architetti
maggiori secondo l’antico uso dell’apprendistato. Alla preparazione ferrata nel campo della
matematica, delle scienze di costruzioni e della fisica degli ingegneri, si opponeva quella storico-
umanistica dell’architetto. Gli ingegneri venivano accusati di essere aridi, freddi e insensibili al
gusto della bellezza e dell’arte.
Esposizione Universale di Parigi (1867) Campo di Marte Le Expo nacquero a partire dalla prima
rivoluzione industriale intorno al XIX sec. E sono tutt’ora importanti per i contenuti conoscenziali
che si portano alla luce del mondo e per la quantità delle intuizioni che vengono manifestate alla
Comunità Internazionale, ma all’epoca esse erano importanti non solo per i contenuti ma anche per i
contenitori. Anziché la forma rettangolare e regolare del Crystal Palace del 1851 innalzato per
l’esposizione di Londra, Parigi ideò una forma circolare che architettonicamente doveva
rappresentare la forma di un globo, ma che per difficoltà tecniche, fu trasformato in un ellisse
progettato da G.B. Kranz con la collaborazione di Gustave Eiffel con sei immensi anelli
concentrici e intercomunicanti. La copertura erano sorretti da tralicci metallici e lastre di vetro.
Esposizione Universale di Parigi (1878) Campo di Marte L’evento più importante fu la
costruzione del Troncadero costruito dall’architetto Davioud Gabriel (1824-1881) e l’ingegnere
Jules Bourdais (1835-1915) in stile moresco con padiglione centrale con struttura in muratura
centinata da grandi finestroni alti e stretti con gli archi tipici moreschi. La copertura del padiglione
in ferro e ai lati due elevati torrette simili a minareti. Un sapiente connubio fra giochi d’acqua,
decorativismo e giardini integrati lo rendevano un interessante opera di architettura magnificente.
Divenne successivamente un sala da ballo e una sala concerto. Fu demolito nel 1935.
Esposizione Universale di Parigi (1889) Campo di Marte è l’anno della costruzione di quello che
è il vero simbolo di quest’epoca e di Parigi stessa: La Tour Eiffel. Già l’ingresso all’Esposizione
stupisce per la presenza della Tour che si erge fin da subito come simbolo monumentale della
grandiosità del ferro. I tralicci metallici delle arcate della Tour a giusa di cornici sembravano dare
attenzione fin da subito al contenitore dell’Esposizione. Rappresenta il simbolo e l’ingegno del
ferro, totalmente realizzata con tale materiale proprio per mostrare quale forza espressiva e
tecnologica poteva avere l’uso di un solo materiale nella costruzione di tale opera. Gustave Eiffel
(1832-1923) era un personaggio veramente maniacale; i suoi schizzi preparatori avevano già una
cura e una precisione volta a non lasciare al caso alcun particolare costruttivo, tuttavia il suo
artificio e la sua fama fu dovuta essenzialmente anche ai suoi collaboratori che lo coadiuvarono
nelle sue maggiori opere. Essa è una delle poche opere rimaste dopo l’Esposizione nonostante fu da
subito osteggiata dagli stessi parigini che ne volevano la rimozione dopo almeno due anni dalla
costruzione; tuttavia la torre si salvò poiché si rese utile per studi scientifici ed esperimenti
radiotelegrafici. Altro edificio costruito per questa Esposizione fu Le Palais des Machines di
Ferdinand Dutert (1845-1906) il cui primo progetto prendeva spunto dai precedenti edifici delle
esposizioni parigine, con una struttura a cinque gallerie. Alla fine fu scelto di realizzare un'unica
galleria coperta da un immensa struttura reticolare in acciaio alta 110 m, sviluppata principalmente
in larghezza, relegando alla vista un senso di imponenza. Tuttavia il progetto fu notevolmente
ridimensionato dal Comitato Organizzatore per diventare una semplice galleria d’appendice da
ingentilire strutturalmente. La struttura finale era costituita quindi da una galleria lunga circa 420 m
con 19 cappellette laterali sormontate da una copertura ad arco. La copertura stessa della Galleria
rappresentò per l’epoca una delle soluzioni più geniali e più avanzate dell’ingegneria moderna;
archi a sesto acuto con tre cerniere, due al suolo e una all’estremo superiore in modo da compensare
il ritiro e la dilatazione dell’acciaio. Questa particolare realizzazione di arco a tre cerniere, risultava
staticamente perfetta per coprire grandi luci, ottenendo una struttura non labile ed in perfetto
equilibrio.
Ponte sul fiume Severn (Iron Bridge 1775-1778) Coalbrookdale UK: Thomas Pritchard su idea
di John Wilkinson realizzato grazie a Abraham Darby. E’ un opera che precede di parecchi anni
l’epopea dell’ingegneria del ferro nata inizialmente come sperimentazione delle capacità industriali
del progresso finora raggiunto nella siderurgia è rivelatasi una delle prime opere perfettamente
riuscite, pioniere dei tale epoca. Nonostante i piloni fossero in muratura, le campate fra un pilone e
l’altro sono semiarchi preparati in officina e saldati in cantiere, nel punto di chiave per ottenere un
arco a tutto sesto. Tuttavia proprio per la sua struttura mista in ghisa e in pietra, non poteva
sostenere pesi imponenti tanto che nel 1934 fu escluso dalla circolazione veicolare.
Ponte Maria Pia sul fiume Douro (1877-78) Oporto: Gustave Eiffel Le nuove tecnologie di fine
Ottocento permisero la costruzione di opere ardite completamente in acciaio specialmente ponti
dalle dimensioni maggiori e dalle campate più elevate. E’ strutturato secondo un grande arco
tralicciato che sostiene un traliccio rettilineo che costituisce il passaggio per la ferrovia.
Viadotto sul fiume Garabit (1880-84) Ruynes-en-Margeride, Francia: Gustave Eiffel costruito su
modello del Ponte Maria Pia realizzato pochi anni prima sempre da Eiffel, presenta anch’esso un
grande arco tralicciato centrale sul quale si appoggia una trave tralicciata che costituisce il
passaggio superiore. Si differenzia dal precedente che a causa della maggior lunghezza, furono
necessari la disposizione non sole del grande arcone centrale di sostegno ma anche di torri
tralicciate in acciaio ai lati.
A Gustave Eiffel si deve anche la costruzione della struttura in ferro interna della Statua della
Libertà, opera modellata su progetto dello scultore Frederic Auguste Bartholdi, donati dai francesi
agli Stati Uniti d’America nel 1886 in occasione del primo centenario della Dichiarazione
d’Indipendenza Americana. La sua costruzione fu ispirata da quella che fu ritenuta una delle sette
meraviglie del Mondo Antico: il colosso di Rodi. La donna indossa una toga fino ai piedi, porta una
corona a sette punte in testa, simbolo dei sette mari e dei sette continenti, sorregge in un mano una
fiaccola, simbolo del fuoco della libertà mentre con l’altra regge un libro recante la data del 4 luglio
1776, giorno della Proclamazione d’Indipendenza, mentre ai piedi vi sono catene spezzate, simbolo
della liberazione dall’oppressione inglese.
La Scuola di Chicago
Chicago nacque da un piccolo villaggio di pionieri sorto agli inizi dell’800 costituito in maggior
parte da abitazioni in legno sia nella struttura portante sia nei rivestimenti. L’uso appunto del legno
permise di sviluppare tecniche costruttive ed elementi architettonici per l’edilizia residenziale come
il Ballon Frame ovvero la tecnica che permetteva di costruire una struttura portante in listelli di
legno e controventi mediante chiodatura con rivestimenti in laterizio o in tavole di legno stesso.
Nel 1871 quando la città aveva raggiunto i 300 000 abitanti, un
grandissimo incendio si sviluppa ne centro della città che la
devastò sia per il carattere ligneo delle strutture per le
condizioni ambientali che si erano sviluppate. Circolarono
dall’inizio voci sulle possibili cause, alcune totalmente
inventate come la versione di Michael Ahern giornalista
repubblicano che sostenne come l’incendio fosse stato causato
da una mucca che con un calcio aveva rotto una lanterna su un suolo di paglia in una stalla.
La tecnica del Ballon Frame è un sistema costruttivo basato sull’accostamento
modulare di listelli di legno di dimensioni standard, intorno ad una struttura che ha
come fondamento principale il camino e la canna fumaria in muratura lungo l’asse
della casa.
La ricostruzione prevedeva quindi che la città fosse risorta in maniera differente, non più
affidandosi al ballon frame, tecnica secondo il quale l’intelaiatura di legno delle strutture e il
successivo rivestimento interno ed esterno in legno, risultava facile da realizzare ed economica.
L’impiego nella progettazione di Ingegneri e l’uso delle nuove tecnologie dell’epoca del ferro
determinarono la ricostruzione di Chicago fra il 1880 e il 1900.
Le opere più importanti furono naturalmente i grattacieli che ebbero una diffusione importante
nell’America di fine ottocento e naturalmente gli ingegneri più importanti che li progettarono:
William Le Baron Jenney, il primo progettista ad aver realizzato un grattacielo, Louis Sallivan e
Dankmar Adler. L’idea del grattacielo nacque dall’esigenza di dover ricostruire un numero elevato
di alloggi su lotti regolari e ristretti le cui speculazioni edilizie non permettevano di edificare su
zone più ampie a causa dell’elevato costo del metro quadrato di superficie edificabile. Si preferì
quindi sviluppare gli edifici in altezza per sfruttare al massimo il suolo edificabile a vantaggio della
richiesta di abitazioni. Il grattacielo quindi nasce con struttura e scheletro d’acciaio e nuove
fondazioni su pali infissi. Esso determinò l’esigenza di far coesistere la struttura e la sua architettura
con tutti gli impianti tecnologici derivanti dall’uso delle nuove scoperte e dalla perfezione di quelle
già esistenti: ascensore, rete di telefoni, rete idrica e rete fognaria, citofono e posta telematica. Il
grattacielo quindi è il simbolo della giusta condivisione fra ingegneria della struttura e architettura
degli interni. La ricostruzione di Chicago iniziò dalla costruzione del Loop, quartiere centrale degli
affari costituito da soli 9 isolati; ed essa fu così radicale che già nel 1889 il volto urbano della città
apparve completamente riformato.
Ci si chiedeva quale arte e architettura nazionale dovesse caratterizzare la
ricostruzione; è la preoccupazione degli americani di trovare un linguaggio artistico
nel quali essi potevano riconoscersi; è chiaro che il grattacielo del tutto nuovo alla
tradizione architettonica, divenne per l’America una sorta di simbolo nazionale, una
strada su cui insistere per emanciparsi dagli altri.
Firts Leiter Bulding (1879) Chicago: William Le Baron Jenney edificio provvisto di 7 piani è
ancora una struttura primordiale che non ha la snellezza degli edifici successivi. Poggia su colonne
in ghisa all’interno di pilastri di muratura abbastanza imponenti e l’intera mole dell’edificio non si
avvicina ancora al principio dell’altezza quando invece quello della larghezza della facciata.
Tuttavia la struttura portante permette di aprire finestre ampie dal piano del pavimento al soffitto
così da poter illuminare al massimo lo spazio interno.
Manhattan Building (1890-91) Chicago: William Le Baron Jenney La struttura è più complessa
oltre al fatto che l’altezza è notevole rispetto ai precedenti esemplari di grattacielo; 16 piani,
struttura completamente antincendio e un design della facciata che fosse identificabile dalla
clientela e al tempo stesso un ornamento per la stessa città. Elevato a ridosso di una strada stretta.
Presentava il problema dell’illuminazione dei piani bassi che Jenney tentò di risolvere con
l’inserimento della finestra a balcone detta blow window, nella parte centrale dell’edificio, al di
sopra del basamento, fino alla parte superiore dove il prospetto è coronato da una fascia di chiusura.
Si tratta essenzialmente di una finestra sporgente rispetto al prospetto che conferisce ondularità e
interrompe la geometria piana della facciata. Tali accorgimenti occupano la fascia centrale della
facciata dell’edificio, mentre la fascia ai piani più bassi sono rivestiti da un bugnato e la fascia più
elevata presenta in prossimità dell’ultimo piano finestre ad arco superiore.
Fair Store Building (1891) Chicago: William Le Baron Jenney Di questo edificio ci si sofferma
sul carattere estetico della facciata che prende in prestito caratteri dell’architettura
neorinascimentale. La facciata può dirsi suddivisa in tre grande fasce ognuna ripartita fa fasce
marcapiano sostenute da paraste con capitelli corinzi. All’interno di tali colonne corrono i pilastri in
ghisa che sostengono l’intera struttura. Tuttavia la sua struttura e la sua forma è ancora lontana
dall’idea di grattacielo moderno a causa dell’altezza non particolarmente elevata rispetto alle
dimensioni in pianta. Egli fu costruito fin da subito per ospitare grandi magazzini per ospitare il
cosidetto ”mercato equo e solidale” che proponeva alla clientela la vendita di generi alimentari a
prezzi solidali.
Second Leiter Building (1889-1890) Chicago: William Le Baron Jenney Era il secondo edificio
che portava il nome Leiter ad otto piani, tuttavia pur conservando la tradizionale struttura portante
in acciaio all’interno di un massiccio rivestimento in muratura, tende leggermente ad un maggior
decorativismo rispetto al precedente modello. L’architetto inserisce in facciata fra una colonna di
finestre e l’altra, e negli angoli paraste con capitelli tuscanici e sulla stessa colonna delle finestre le
suddivide in due fasce con fasci di tre colonnine con capitello corinzio. Tuttavia la struttura della
facciata rimane ancora particolarmente libera nelle aperture, e questa rappresentava un esigenza
irrinunciabile per permettere la massima libertà di divisione interna della pianta.
Grandi Magazzini Marshall Field (1885-87) Chicago: Henry Richardson Il Palazzo ha richiama
nell’aspetto alcuni elementi romanici tanto da poter essere interpretato come un edificio
neoromanico di Chicago. Anche la sua forma non ci da l’idea di slanciatezza del grattacielo ma
piuttosto una solenne maestosità nella quale la larghezza e la lunghezza prevale sull’altezza. Tutte le
finestre sono architravate con archi a tutto sesto che irrompono in una facciata rivestita da una
muratura costituita da grossi blocchi calcarei più accentuati nella parte bassa dell’edificio così come
se si trattasse di uno zoccolo in bugnato. E’ interessante notare come la successione delle finestre
con arco in correlazione con quelle del piano sovrastante, ricordi l’architettura di un acquedotto
romano nel quale due arcate poggiavano su una sottostante unica arcata (modello delle logge a più
ordini). Il cornicione è costituito da un particolare fregio che richiama lo stile di edifici più antichi.
Nonostante la facciata lasci tradizionalmente molto spazio all’apertura di finestre; il progettista nel
disegno definitivo non tiene conto della funzione finale che dovrà assumere l’edificio, ma configura
l’aspetto esteriore a suo piacimento e secondo il suo stile neoromanico imponendo all’attività che vi
svolgerà al suo interno di adattarsi, soprattutto nella posizione delle partizioni interne.
L’architettura americana, nonostante smaniosa di ricercare uno stile tutto suo, ha
un grande interesse per la classicità e per la tradizione antica europea. In molti
richiamano lo stile romanico dei grandi edifici, pur apportando numerose modifiche
e filtrando i precetti per gli edifici moderni. La pianta simmetrica e gerarchica, che
sottomette le esigenze funzionali; le forme dell’edificio con masse importanti che
non danno l’idea di slanciatezza e leggerezza.
Auditorium Building (1886-89) Chicago: Louis Sullivan e Dankmar Alder Rappresenta un vero
e proprio capolavoro messo in piedi da una coppia formidabile; Sullivan allievo di Richerdson ed
Alder uno dei padri dei grattacieli moderni. La formazione classica di Sullivan influenza non poco
quest’opera dove abbondano i richiami ad un gusto architettonico romanico-rinascimentale negli
elementi di facciata. Innanzitutto l’opera di per se è innovativa poiché si tratta di uno dei primi
auditorium pubblici (teatro con annessa zona commerciale) in senso moderno nella quale oltre al
senso puramente commerciale che accompagnava molto spesso la costruzione di questi edifici, si
doveva conferire un carattere più solenne, un immagine civica legata alla funzionalità pubblica
dell’Auditorium. Al tempo stesso infatti di dovevano fondere all’intero dello stesso impianto una
sala concerti, ristoranti, hotel e uffici.
La massa complessiva dell’opera, con la sua torre su di un lato richiamava la solennità dei palazzi
civici medievali nonostante comunque la sostanza e la forma fosse profondamente diversa; si aveva
infatti una creatura che poggiava su ampie luci in ferro ed impianti tecnologici all’avanguardia
come quello di riscaldamento e ventilazione. La facciata si può suddividere in più fasce principali;
la prima, la più a terra è costituita da grandi blocchi di pietra appena sbozzati volutamente rimasti
così, un livello ancor più impressionante del semplice bugnato, in realtà un legame profondo con la
classicità e con la decadenza delle opere dell’antichità greco-romana. La seconda fascia è scandita
da semicolonne ornamentali che sostengono su capitelli pseudo-dorici, archi a tutto sesto che
chiudono le fasce verticali di finestre. Al di sopra una successione di bifore costituiscono la fascia
sommitale, ornamento meno vistoso rispetto gli altri.
Dankmar Alder è un allievo di Richardson e dalla sua collaborazione, riprende la
formazione classica del maestro. Caratteristiche influenti di questo palazzo è il
Basamento in pietra grossolana; la divisione in fasce e il rivestimento in pietra dello
zoccolo, ciò dimostra la sua adesione ad uno stile antico, rivisto, rivisitato che
appare oggi come un adesione quasi retrograda, stucchevole. Anche l’utilizzo di
semicolonne doriche che non sorreggono ma abbelliscono descrivono una prova di
forza di coerenza con lo stile introdotto.
Monadnock Building (1884-1891) Chicago: Welborn Root e Daniel Burnham Questa volta
l’esigenza di costruire in altezza fu predominante rispetto alle dimensioni in piñata; fu questo infatti
l’ultimo progetto che segnò la costruzione dell’edificio monolitico in muratura, della facciata
maestosa e ampia. Il Monadnock occupava la metà di uno stretto lotto mostrando un profilo snello
ed alto adagiato su una pianta rettangolare tanto che non fu necessario includere una corte interna
per l’illuminazione dei locali; bastavano le finestre aperte sui lati più lunghi. Tali aperture erano
costituite da colonne verticali di bow window che al di sopra dello zoccolo granitico basamentale, si
innalzavano fino all’ultimo piano lasciando spazio alla classica facciata piana. Tali colonne di bow
window erano separate da una fila verticale di finestre aperte su superfice piana, due file in
prossimità degli angoli, un gioco che dava ritmo alla semplice facciata modulare e che annullava il
senso di massa che poteva avere una parete piana. Root fu un attento esecutore di particolari, diede
importanza al singolo dettaglio costruttivo, agli angoli netti e spigolosi alla base sempre più
tondeggiante verso la sommità, al cornicione levigato fuori da ogni razionalismo, il succedersi
ordinato delle finestre tali da conferire al palazzo, una pelle di vetro sotto un anima di completa
muratura.
Reliance Building (1890-94) Chicago: John Root con Charles Atwood Siamo ad un vero punto di
svolta verso l’evoluzione ai grattacieli moderni poichè certamente è l’edificio più interessante e il
più originale dal punto di vista costruttivo. Ci si stacca de finitamente dalla tradizione della facciata
pesante in muratura per abbracciare invece l’idea di una superficie quanto più vetrata possibile, un
mondo nuovo di trasparenze e superfici riflettenti tanto che venne etichettato come il primo esempio
di grattacielo dove il vetro di facciata prevaleva sulle strutture murarie. Il bow window elemento
costitutivo degli edifici tradizionali, diventa una vera e propria ragione d’essere, una membrana
bucata con i lati per l’illuminazione rivestita intorno da una cornice leggerissima, esigua quasi che
ora non ci fosse più spazio per la struttura portante. Una struttura costituita da pilastri snelli è
completamente rivestita dalle bow window, soluzioni che conferiscono movimento anche se con
ritmica precisione in un gioco di luci e trasparenze intenso; quasi una gabbia apparentemente priva
di peso sospesa su di una base indistinta con una lastra a chiusura della sommità della costruzione.
Ogni piano era separato da tutta una cornice orizzontale di rivestimento in terracotta costituita da
formelle decorate e dettagli particolari così come le colonnine verticali articolate che costituivano la
cornice del bow window, separazione fra le varie finestre.
Wainwright Building (1890-91) St. Louis: Louis Sullivan e Dankmar Adler L’idea di Sullivan di
grattacielo poteva essere riassunta in una ridefinizione elementare della colonna o della lesena
classica, da cui Egli traeva l’ispirazione fondamentale nella progettazione dei suoi grattacieli, e in
particolari i suoi effettivi elementi architettonici richiamavano il neoclassicismo di Inizio
Novecento, in particolare l’uso variegato di colonne e paraste con decorativismi classicheggianti. L
tecnica costruttiva dei grattacieli finora consolidata, prevedeva il ripetersi del decorativismo al fine
di non produrre soluzioni di facciata banale, o al tempo stesso il ricorso agli elementi romanici di
Richardson che usò archi e paraste per coprire le elevate facciate degli edifici. Tali soluzioni non
sembrarono piacere a Sullivan nella progettazione del Wainwrigth, tanto che ideò l’intero
complesso come se fosse un'unica colonna con i piani più bassi a costituire il basamento e i piani
ultimi, il capitello e il fregio. Sullivan eliminò quindi elementi orizzontali nascondendo all’occhio
la varia ripartizione dei piani ma strutturò la facciata secondo una successione di pilastri verticali
rivestiti in mattoni, mentre gli elementi orizzontali sono arretrati e ricoperti da formelle decorate in
terracotta, così da fondersi con la finestratura. La selva di pilastri nasceva dal basamento nel quali
l’alternanza di pilastri era meno folta così da costituire una separazione visiva tra il massiccio
basamento “abbozzato” e la parete slanciata e snella, più elegante, più raffinata. Anche il materiale
e il colore era diverso: mentre per i pilastri della facciata Sullivan usò il mattone dal caldo colore
rosso bruno, i piani più bassi furono rivestiti con pietra levigata dai colori caldi così da rendere
impercettibile ma esistente, la separazione fra tonalità e zone d’importanza. I capitelli a
coronamento dei pilastri di facciata lasciavano il posto al massiccio cornicione leggermente più
aggettante e totalmente decorato.
Le idee di Sullivan che era consapevole della rivoluzionaria tecnica introdotta con il
grattacielo moderno, non poteva prescindere dal richiamarsi sempre ad uno stile
già codificato e presente nel panorama dell’architettura mondiale. Non erano ancora
maturi i tempi di un architettura completamente differente da qualsiasi accademia
precedente e quindi l’influsso dello stile romanico o classico è evidente, anche se si
tratta di una questione di accenni e piccole forme. Bisogna anche affermare come
questi architetti rielaborino molto del linguaggio antico, adattando le geometrie alle
nuove esigenze e necessità; il fatto che Sullivan ridefinisce gli elementi
architettonici “classici” identificandoli con il telaio e la trave (elementi nuovi); una
raffinatezza di decorazione nel fregio o il sottogronda montato su un organismo
completamente nuovo.
Guaranty Building (1894-95) Buffalo: Louis Sullivan e Dankmar Adler Tale edificio appartiene
ad una linea di ricerca parallela al Wainwright, tuttavia in questa opera si usano gli archi. Le Paraste
questa volta si fanno più evidenti e da terra a cielo demarcano il carattere prettamente decoratorio
della struttura con l’apposizione di formelle in terracotta. Notiamo rispetto al Wainwrigth la fine
dei pilastri d’angolo demarcati in maniera pesanti e al loro posto un ritmo costante di slanciate
paraste ricoperte da ornamento, quasi fossero le sculture e i geroglifici di un pilone egizio, quasi che
le stesse decorazione scaturissero dalla struttura in acciaio sottostante. I piani più bassi apparivano
più leggeri a vedersi rispetto alle opere precedenti, non c’è tanto l’idea dello zoccolo basamentale
che affiora rispetto alla fascia superiore; c’è invece una demarcazione più sobria, più trasparente.
Quelli più elevati vedono la successione di archi a tutto sesto che chiudono le file verticali di
finestre sormontati poi da ovoli tondi, quasi fosse un richiamo di una costruzione romanica.
Completa poi il cornicione elemento irrinunciabile nella caratterizzazione della struttura,
completamente rivestito di terracotta con decorazioni floreali di rami d’albero e foglie in stile con la
visione generale della struttura di un grattacielo assimilabile anche ad un albero con le radici al
basamento, il tronco in facciata e i rami e foglie sul cornicione e tetto.
Magazzini Schlesinger (in seguito Carson Pire Scott Store) 1899-1900 Chicago: Louis Sullivan Il
suo progetto segnalò il momento di massima forza dell’architetto. Il telaio riceve un enfasi
decisamente orizzontale con sottili variazione nell’altezza delle campate. Egli crea all’incrocio fra
le due strade un angolo circolare, costituendo quasi una torre integrata nel resto della costruzione.
L’angolo cilindrico dove originalmente il progetto di Sullivan prevedeva l’ingresso può essere
interpretato come tema compositivo autonomo, sviluppato per confrontarsi univocamente con la
modularità delle facciate. Il cilindro in quanto rottura stessa, della classica planarità delle superfici
del grattacielo, conferisce all’angolo di strada, un carattere specifico assumendo il ruolo di elemento
identificativo del luogo. Le decorazioni in ghisa che si diramano dal rivestimento di questo angolo
circolare abbracciano il marcapiano delle due facciate coprendo i primi due piani, come un
rigoglioso rampicante, quasi si volesse evocare l’immagine dell’architettura che si appropria di un
elemento architettonico. Con Sullivan l’ornamento è architettura.
Questa fu in sintesi l’ultima commessa importante per Sullivan, dopodiché si ritirò a vita privata nel
suo mondo ermetico fatto di tematiche cosmiche e panteistiche legate al concetto di natura come
elemento divino e decorativismo universale. La società industriale non permetteva all’artista di
vivere in simbiosi con le sue opere, ovvero non si accettava che egli potesse coltivare questo culto
per una vita più elevata nell’elaborazione delle sue opere e del pensiero filosofico che le
accompagnava. Si va sempre più verso una civiltà materialistica, nella quale il grattacielo diviene
elemento comune in una città fatta di mille contraddizioni, di problematiche sociali, di come la
realtà urbana che proponeva l’industrializzazione non permetteva di concepire opere di una certa
elevatezza poetica e filosofica; costruzioni nude e crude senza sentimento. La scuola di Chicago
infatti aveva riversato tutte le proprie energie e attenzioni nella forma del grattacielo, ma non si
erano domandate di quale forma migliore poteva avere la realtà urbana generale della città dei
grattacieli, una città cupa e squallida con le sue strade cavernose e gli spazi insufficienti a far
circolare l’aria, la luce e gli uomini. L’esigenza di un progetto più ampio che non coinvolgesse la
singola costruzione ma che studiasse proprio la forma dell’intera zona ove sorgesse il grattacielo
parte da queste considerazioni.
Esposizione Mondiale Colombiana di Chicago 1893 La maggior parte delle strutture furono
progettate secondo un gusto classicheggiante sullo stile Secondo Impero francese, un chiaro segnale
di come il gusto parigino influenzasse la moda americana e il gusto in genere. Non furono realizzati
in alcun modo opere che rimandassero all’idea di grattacielo, lo stesso Sullivan progettò opere che
richiamassero ad un mondo naturale e quasi esotico come la Trasportation Building, gli altri
architetti penseranno di ingentilire le proprie costruzione con uno stile classicheggiante quasi fosse
“ornamento alla macchina”. Nacquero a questo punto due categorie di stili, due concezioni e
filosofie di progettisti:
-Coloro che osservavano il bisogno di ancorarsi alla tradizione millenaria e si rifacevano agli stili
antichi europei per di più dell’arte classica.
- Coloro che vedevano nella modernità e nell’architettura moderna il vero futuro dello stile
americano, che libero da ogni tradizione aveva il privilegio di poter attingere da qualsiasi cultura
volesse al punto stesso di creare uno stile tutto suo. Tuttavia la tradizione classica nella
progettazione di opere ed edifici sarà sempre presente pur tollerando un certo modernismo che
andrà sempre di più sviluppandosi.
Da quest’epoca la ricerca e l’attenzione per la progettazione di grattacieli si sposterà maggiormente
a New York che diventerà appunto la patria delle opere che sfideranno il cielo e che contenderà per
molto tempo a Chicago, il primato di città con i grattacieli più elevati.
L’Arte Europea dal 1848: Gli Inizi della Modernità
La modernità rappresenta un autenticità di espressione in relazione al proprio
tempo, l’architettura di Primo ‘900 nasce come reazione alla “non autenticità”
dell’architettura eclettica che rappresentava un semplice revival degli stili
precedenti. Questa esigenza di modernità ha radici antiche, già nel ‘700 e nel primo
‘800 l’enfasi delle rivoluzioni e il progresso scientifico imminente suggeriscono uno
stile per cosi dire “moderno” che rompa ogni riferimento con il passato, visto come
epoca buia e negativa rispetto a tutte le innovazioni che si erano introdotte.
L’architettura deve offrire un nuovo insieme di forme simboliche che riflettano la
realtà contemporanea. La Rivoluzione industriale accentua questo distacco e la
crisi con il mondo classico portando innovazioni e nuovi stimoli: crisi
dell’artigianato, nuove strutture economiche, nuovi centri di potere, nuovi
committenti, nuove tecnologie e nuovi materiali innovativi.
Il Razionalismo è un atteggiamento mentale e procedurale adeguato ai tempi
contemporanei per affrontare la progettazione esecutiva di edifici. E’ un concetto
che evolve di pari passo con la Rivoluzione Industriale e il perfezionarsi della nuova
società da essa derivante.
La ricerca e l’esigenza di caratterizzare la nuova società industriale, con uno stile
architettonico proprio del tutto dissociante con le forme antiche, rappresentò per
molti un operazione filosofica e culturale impossibile da eseguire. Molti si
rifacevano quindi a stili e forme architettoniche antiche e codificate aggiungendo
però delle modifiche e aggiunte personali; servendosi quindi di più linguaggi
contemporaneamente.
Nella storia dell’architettura indichiamo come periodo moderno quello che va dal 1848, anno di
svolta nella società europea, anche se tuttavia esistono segni e comportamenti anteriori al 1848 tale
da decretare i successivi avvenimenti; a tutto il Novecento. Non si può far a meno di notare come
Spagna, Francia, Russia, Portogallo, Gran Bretagna e Stati Uniti arrivarono all’appuntamento del
1848 sotto forma di Stati Nazionali ben consolidati, alcuni da secoli altri da meno, mentre sia
l’Italia sia la Germania erano entità composte da numerosi Staterelli Indipendenti fra di loro. L’Arte
di quest’epoca è il contributo alla situazione che sta intorno a queste vicende, espressione del
sentimento delle varie Nazioni e dei vari Popoli che si trovarono ad attraversare questo periodo i
vicissitudini e accadimenti irrequieti, vera rappresentazione del risultato che la Storia fino ad allora
aveva prodotto.
La frammentazione italiana ha determinato che qualsiasi movimento artistico sviluppatosi altrove,
ha attecchito molto lentamente subendo poi sfumature e aggiunte personali. Così come lo era stato
per l’arte gotica che in Italia subisce modifiche profonde rispetto ai canoni rigidi europei e che in
pochissimi luoghi si rifà completamente allo stile francese-tedesco (Il Duomo di Siena in parte, il
Duomo di Orvieto), anche l’arte moderna segue le stesse regole.
Moti insurrezionali del 1848: Alla Restaurazione operata dal Congresso di Vienna segue lo spirito
rivoluzionario dei popoli di Germania, Francia, Italia, Austria, Ungheria, volti al rovesciamento
delle imposizioni dei regimi e alla ricerca di maggiore libertà e democrazia. Ma è proprio la
Rivoluzione Industriale che spinge per questa voglia di progresso, di velocità, di innovazione. Essa
porta profondi cambiamenti nella vita quotidiana, dallo spostamento di massa dalle campagne alla
città, alla nascita di un economia fortemente industriale che soppianta quella agricola. Ma tutto
questo determina anche problemi notevoli che nuovi sulla scena mondiale impongono nuovi
dibattiti culturali e sociali: condizioni di vita miserevoli, nascita delle città in maniera incontrollata
senza alcuna regola sanitaria e civile, bisogno di ragionati piani di edificazione e lottizzazione alla
ricerca di maggiore salubrità e maggior ordine.
Si assiste alla nascita di due nuove classi sociali legate al mondo industriale: il ceto borghese e
imprenditoriale padrone e la classe operaia sfruttate. Sono tempi di notevoli fermenti e cambiamenti
improvvisi, tanto improvvisi che si sente un nostalgico ritorno ad una vita più pacata, più semplice,
più ordinata che si rifacesse a stili antichi e solenni. La Confraternita dei Preraffaelliti appartiene a
questa mentalità: i suoi esponenti furono William Hunt (1827-1910), Dante Gabriel Rosetti
(1828-1882), John Millais (1829-1896) tutti pittori.
Rivolgono molta attenzione ai particolari dei loro dipinti e al simbolismo dei loro soggetti
richiamandosi ad aspetti figurativi e forme tipiche dell’arte pittorica prima di Raffaello, prima del
passaggio dall’arte rinascimentale a quella manierista, l’arte di fine ‘500 che precede il gotico. Il
loro ritorno all’arte italiana è visto come un atto di accusa verso la società disumanizzante nata dalla
rivoluzione industriale. La difesa dell’attività artigianale e della vita semplice, riletta anche
attraverso episodi del Vangelo, tende a simbolizzare un ideale di convivenza sociale sempre più
irrecuperabile. La loro esigenza di rifarsi ad un epoca precedente sembra trarre ispirazione da
fenomeni simili avvenuti in Inghilterra con la cosidetta Pittura di Paesaggio di Joseph Turner
(1775-1851) e John Constantable (1776-1837), riproduttori di paesaggi e armonie sentimentali,
nature e paesaggi quali evocatrici di sensazioni e ricordi, anticipatori di quello che poi
contraddistinguerà in particolare il Futurismo, Impressionismo e l’Espressionismo.
La Confraternita dei Preraffaelliti erano coloro che si opponevano ad un evoluzione
della moda e della società, troppo in fretta, desideravano tornare a dipingere come
lo si faceva prima di Raffaello, ispirandosi al cosidetto Gotico fiorito dove i Santi e i
Personaggi biblici venivano disegnati su sfondi d’oro con abiti eleganti e paesaggi
particolarmente decorati e attenti. Certamente però c’è la consapevolezza di vivere
in un mondo nuovo, in un epoca del tutto distante dalla società precedente. Già nel
quadro di “Ecco Ancilla Domini” di Rosetti sebbene il tema trattato richiami molto
spesso le Annunciazioni del Beato Angelico o dei maestri del Quattrocento, la sua
rappresentazione assume carattere moderno. L’angelo vestito di bianco non
presenta le classiche ali, ma possiede fiamme che escono dai suoi piedi; un segno
tangibile di interpretare in senso moderno un soggetto ampiamente trattato
anticamente. Anche il carattere del volto della Vergine risulta del tutto inconsueto,
per la prima volta la sensazione che si ha, è di una ragazza veramente impaurita,
timorosa che cerca di nascondersi. Anche la ripresa di temi floreali con conseguenti
studi “botanici” che precedono la pittura della natura e del paesaggio, è un tema
proprio del Tardo Gotico e quindi carattere predominante dei Preraffaeliti.
Dante Gabriel Rosetti (1828-1889)
Autoritratto (1847); Ecco Ancilla Domini (1850); Prosepina (1873); Venere Verticordia (1866)
Il mito di Prosepina pur essendo un mito della cultura classica, ben si adatta a quel gusto medievale
che richiama una storia oscura, tenebrosa sentita caome una sensibilità morbosa e che richiama uno
stile gotico. Gabriel si sente molto vicino alla storia di Demetra dopo la morte della moglie, Così
come Demetra fu deufradata dal Dio degli Inferi che rapì la figlia Prosepina, anche Rosetti si sente
oltraggiato dalla morte per avergli sottratto la moglie che la ritrae nelle figure della giovane dea
figlia di Demetra. Tale malinconia apparente accompagna l’arte di Rosetti nel ritrarre in gran parte
figure femminili nelle sembianze della moglie; soggetti caratterizzati da tratti essenziali e lineari
che rendono con plastica realtà le figure, e colori caldi e profondi, che ben si adattano ai sentimenti
dell’autore. Questi elementi; disegno e colore avvicinano il pittore alla grande pittura italiana
fiorentina per il disegno, e a quella veneziana per le tonalità del colore. Nell’Ancilla Domini, il
pittore raffigura un angelo senza ali di veste bianca che porge il giglio, simbolo di purezza, alla
donna, che sembra ritrarsi indietro, rannicchiandosi vero il basso, domandandosi “Perché proprio a
me?”. Un idea straordinariamente moderna di raffigurazione, dove la Vergine appare come una
ragazza pallida spaventata, fuori dal canone classico finora rappresentato. L’uso dei colori e della
luce è significativo in questo dipinto; il bianco, utilizzato soprattutto nella riproduzione delle vesti
della Vergine e dell’Arcangelo Gabriele, quali segno di purezza e contributo a diffondere la
luminosità; l’oro, usato soprattutto per l’aureole dei personaggi, indicando il carattere religioso dei
soggetti; e infine l’azzurro, utilizzato quale sfumatura del bianco. Anche le linee sinuose, dolci e
morbide richiamano lo stile preraffaellita con una certa armonia della composizione e dei volumi
rappresentati. Nella Venere Verticordia, il soggetto rappresentato è ancora la moglie, sullo sfondo
ancora un roseto, dipinto con una precisione di particolari degna della maestria del Pisanello,
particolarmente abile, anch’esso nella riproduzione di particolari florovivaistici.
William Hunt (1827-1910)
The Hireling Shepherd (1851); Isabella and the Pot of Basil (1868); The Scapegoat (1856)
Nel The Hireling Shepherd il gregge di pecore è rappresentato all’ombra del bosco sullo sfondo, in
primo piano un pastore e una pastorella occupano gran parte della scena, nella quale lui cerca di
ottenere qualcosa dalla ragazza che sembra cedere alle sue lusinghe. Nell’Isabella il soggetto
richiama una novella del Decamerone, secondo il quale la ragazza abbraccia un vaso di basilico la
cui terra è costituita dalla ceneri del suo amante, che i fratelli di lei hanno ucciso e che lei stessa ha
fatto cremare. Il richiamo ad un personaggio medievale è chiaro così come il legame alla letteratura
medievale. L’assenza di sfondo prospettico, la minuta attenzione al costume e all’acconciatura si
rifà alla Beatrice d’Este della Pala Sforzesca. Nel The Scapegoat, (il capro espiatorio) viene
rappresentato l’animale che veniva sacrificato nei rituali religiosi, all’interno di un paesaggio ideale,
ricco di particolari. L’uso sapiente dei colori e delle linee agili ma ben marcate rendono i dipinti ben
definiti e mai sfumati nei soggetti. Le opere di Hunt vennero elogiate dal gruppo dei Preraffaeliti
per la grande attenzione al dettaglio, l’uso vivace del coloro e il loro complesso simbolismo:
profondamente colpiti soprattutto da quest'ultimo aspetto furono John Ruskin e Thomas Carlyle,
critici ufficiali del movimento pittorico, secondo i quali Hunt riusciva efficacemente a dar voce al
principio secondo il quale tutto l'esistente è un simbolo che sottende ad un significato profondo.
John Millas (1829-1896)
Cinderella (1881); Ofelia (1852); Bolle (1886) L’Ugonotto il giorno di San Bartolomeo (1852)
Seguendo l’esempio di Hunt, Millais dipinge con dei colori accesi, non usa le modelle professionali
e cerca di essere minutamente fedele nel raffigurare il mondo materiale. La sua rappresentazione
quindi si discosta dal canone classico dei Preraffaelliti. La Cindarella è un attenta riproduzione di
una visione realistica e curata nei dettagli; il vestito e la scopa in mano con lo sfondo costituito da
legni per il fuoco. L’Ofelia richiama un personaggio letterario contenuto nell’Amleto di
Shakespeare, una donna morta che galleggia sull’acqua, con le braccia aperte e il viso così
espressivo, che sembra che il delitto sia stato consumato all’istante. La natura in riva al fiume,
molto dettagliata e realistica è il frutto di un periodo di studio e di osservazione che Millas rivolse
nei confronti della natura in ambienti acquatici. Di particolare valore e contenuto espressivo la
ghirlanda di fiori sfatta che l’acqua smembra e porta via. L’Ugonotto è carico di simbolismi
religiosi; Il ragazzo protestante abbraccia l’amante di fede cattolica che le stringe un fazzoletto
bianco al braccio, simbolo cattolico, quasi a preservarlo da morte sicura. Ma il ragazzo,
contemporaneamente sembra rifiutare il segno distintivo che gli garantisce la salvezza, preferendo
andare incontro al proprio destino. E’ quasi la riproduzione di un dialogo intenso e appassionato fra
i due amanti. L’Impressionismo
Per Impressionismo si intende un preciso movimento
artistico, e in speciale modo pittorico, iniziato in Francia
nella seconda metà dell’Ottocento e durato fino ai primi
del Novecento. Con il termine espressionismo si voleva
indicare una pittura del tutto nuova, trascurata e senza
legami con la tradizione. Di fatto il termine deriva
essenzialmente dalla volontà dei suoi fondatori di superare
il realismo puro, per concentrarsi sull’aspetto mutevole
delle cose, sottolineando l’impressione istantanea che le
cose stesse producono alla vista. Il dipinto per eccellenza
da cui forse fu preso anche il nome è L’Impression, soleil levant (1873) di Claude Monet quadro
fatto di studi sulla luce, un sole nascente su uno sfondo molto sfocato, fatto di luci, ombre e tonalità
accese ma mai definite così come doveva suggerire l’impressione dell’alba. Le barche in mezzo
all’acqua rompono il riflettersi delle ombre del paesaggio sull’acqua marina. I soggetti non chiari,
appena accennati, la modalità di rappresentazione del cielo e i colori utilizzati ci permettono solo di
intuire il paesaggio, mai di fruirlo così intensamente come è riprodotto. Un particolare interessante è
dato dal Sole che è dipinto con un grado di luminosità pressoché identico al cielo circostante, a
differenza di quanto si verifica in natura. Si tratta però di una caratteristica che sembra conferire un
carattere fantastico e soprannaturale all’aspetto dell’astro, preferendo il suscitare sentimenti ed
impressioni piuttosto che ricalcare la realtà della natura. E anche a causa di questa enigmatica
natura che tale stile faticherà non poco ad essere accettato dalla critica, anche per il fatto che fin
dalla sua prima comparsa, questa pittura fu bollata di essere immorale. I soggetti scelti dagli
impressionisti non contribuivano a divulgare alcun insegnamento etico, né offrivano spunti capaci
di stimolare i valori morali della società. Il rifiuto della pittura impressionista fu quindi un fatto di
dissenso culturale prima che formale: gli Impressionisti non solo avevano osato sostituire le
tematiche storiche come soggetti contemporanei, ma avevano emarginato dai loro dipinti la storia. Il
tema del paesaggio risponde perfettamente ai nuovi intenti degli Impressionisti. Dipingendo en
plein air (all’aria aperta) e non nello studio, e utilizzando una nuova tecnica, capace di cogliere le
variazioni istantanee di luce, essi decretavano concluso il tempo della pittura rispondente a regole
certe e codificate, in nome invece di una spontaneità scaturita dal contatto con il vero naturale.
Caratteri generali: La data convenzionale di inizio di questa corrente artistica, è il 1867 quando
all’Esposizione Universale di Parigi viene ufficialmente presentata la fotografia, strumento molto
legato alla filosofia impressionista, in quanto la foto stessa rappresenta l’impressione della realtà su
lastra. A motivare ciò nel 1874 la Prima mostra in assoluto degli Impressionisti fu allestita nello
studio fotografico di Gaspard Tournachon meglio conosciuto come Nadar (1820-1910) che fu il
primo a credere a questi artisti. C’è una notevole somiglianza di intenti e di caratteristiche fra la
fotografia e i dipinti impressionisti del tempo, molto di più di qualsiasi altro stile precedente.
La volontà di raffigurazione degli Impressionisti richiama attimi rubati, convinzione che i contorni
delle figure non esistano e che siano una pura astrazione mentale a differenza delle espressioni,
degli atteggiamenti dei protagonisti che suscitano sentimenti; ricerca della luce e
dei colori così come la fotografia cerca di cogliere un immagine della realtà in
frazioni di secondo. Tuttavia la prima esposizione fu considerata dalla
Critica come un “attentato ai sani costumi dell’arte, al culto delle forme e
del rispetto dei maestri” giudizio che riaffermava il primato del soggetto storico e della tecnica
rifinita nei particolari ne nel disegno di stampo accademico. La pittura impressionista era così
nuova rispetto alla tradizione da sconcertare il pubblico.
Le rivoluzioni sulle tecniche del colore e luce: la grande specificità del linguaggio pittorico
impressionista, sta soprattutto nell’uso di colore e luce. Essi sono elementi principali delle visione,
l’occhio umano percepisce inizialmente la luce e il colore, il cervello distingue forme e spazio in cui
queste sono collocate. La maggior parte della tradizione pittorica precedente si era fermata solo
sulla concezione dello spazio e della forma dei soggetti. Il rinnovamento
parte proprio dalla volontà di rappresentare la realtà sensibile. Su questa
scelta ebbero influenza le scoperte scientifiche di quegli anni. Il meccanismo
della visione umana diventò semre più chiaro e si capì meglio il
procedimento ottico di percezione dei colori e della luce. L’occhio umano ha una sensibilità spiccata
per tre colori: rosso, verde e il blu. La diversa stimolazione di questi tre ricettori produce nell’occhi
umano la visione dei colori. Una stimolazione simultanea di questi colori mediante luci pure da
luogo alla luce bianca (sintesi additiva).
Il colore che percepiamo dagli oggetti è luce riflessa dagli oggetti stessi. In questo
caso, l’oggetto di colore verde non riflette le onde di colore rosso e blu, ma
solo quelle corrispondenti al verde. In pratica, l’oggetto, tra tutte le onde che
costituiscono lo spettro visibile della luce, ne seleziona solo alcune. colori che l’artista pone su una
tela bianca seguono lo stesso meccanismo: selezionano solo alcune onde da riflette. Sovrapponendo
fra di loro più colori, su di una tela, si ha la soppressione delle varie colorazioni fino a raggiungere
il nero (Sintesi sottrattiva). Più i colori si mischiano e sovrappongono, meno luce riflette il quadro.
L’intento degli impressionisti è quello di evitare al massimo la perdita della luce riflessa, così da
dare alle loro tele la stessa intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà. Per
far questo gli Impressionisti utilizzano sempre colori puri, non li diluiscono ne li sfumano per creare
il chiaro scuro, i colori complementari verde,viola, e arancione derivanti dalla mescolanza dei
primari, giallo, rosso e blu, sono accostati gli uni agli altri direttamente sulla tela (come il
Veronese). Essi rifiutano la linea, la prospettiva, il chiaroscuro; è il colore che a piccoli tocchi deve
dare la percezione visiva e sostituirsi alla nettezza dei contorni, attraverso una variazione dei toni
che riproduce più efficacemente l’effetto atmosferico.
Claude Monet (1840-1926)
Cathedral de Rouen: le portal, la facade a diverse ore del giorno
Monet aveva il suo studio di fronte alla Cattedrale di Rouen (gotico francese); evidentemente
quest’edificio lo impressionò talmente tanto che fu il soggetto di numerose sue opere nel quale la
Cattedrale veniva riprodotta a diverse ore del giorno. Nelle sue opere Monet riesce a restituire le
varie sfaccettature e componenti del gotico attraverso un gioco di luci e ombre che si viene a creare
sulle facciata, senza incorrere in un vero e proprio studio di dettaglio. Potrebbe risultare un fatto
maniacale il voler riprodurre lo stesso soggetto su circa cinquanta tele, in realtà Monet afferma di
avere nei propri occhi la ricchezza delle colorazioni che mutavano alle varie ore del giorno e
dichiarò in un suo scritto di volere ritrarre tutte, per l’importanza che sentiva per questo edificio. La
struttura, gli archi, i pinnacoli, il rosone sono appena intuibili nella deformazione e nella miscela di
colori che vengono utilizzati. Ogni pennellata è utile per riprodurre una rifrazione di luce, un
riflesso o un ombra.
La cattedrale di Rouen diventa per Monet come un ossessione; lui stesso scrive nel
suo diario che la sognava di notte mentre gli crollava sopra.
Nymphears (Ninfee) 1907 Il Parlamento di Londra (1904)
Il tema delle ninfee appassionò Monet dal 1915 al 1926 da quando aveva fatto scavare uno stagno
nel giardino della sua casa di Giverny presso Parigi. Da un tema apparentemente semplice, divenne
oggetto di un analisi complessa e approfondita, tanto che più di una volta Monet ebbe la tentazione
di rinunciare all’impresa. Egli aveva portato la figuratività delle piante acquatiche al limite estremo;
pur mantenendola ancora all’interno di un carattere fatto di tratti indefiniti, sensazioni, toni di colore
variegati. Monet stesso afferma di aver dipinto molte di queste ninfee, mutando il punto di vista,
modificandole secondo le stagioni dell’anno e sottoponendole agli aggetti differenti della luce
provocati dal variare delle stagioni. Altra opera di particolare interesse è il Parlamento di Londra
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher DavideM088 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico delle Marche - Univpm o del prof Cruciani Paolo.
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