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Anche per lui la conoscenza storica non si compie dall’esterno, ma dall’interno del flusso metamorfico

delle forme: comprendere infatti significa per lui convivere con ciò che si osserva. E per arrivare a

questo tipo di comprensione è necessario che la civiltà cui l’osservatore appartiene sia giunta allo

stadio finale. Questo stadio è esattamente l’età del confronto di Nietzsche. Quando nulla appare più

intimamente vivente, quando tutto è ormai “divenuto”, allora si può cercare di comprendere le forme

storiche in senso storico-morfologico. Nella concezione morfologica spengleriana le forme culturali

(ovvero le civiltà) sono da intendersi come organismi. Ogni civiltà ha una propria forza irraggiante che si

manifesta in tutte le attività che caratterizzano la sua esistenza. E ogni civiltà imprime la propria forma

all’umanità, ciascuna ha la propria idea, proprie passioni, propria vita, volere e morte. In questo modello

la comprensione della storia è liberata così da qualsiasi tipo di finalismo o determinismo. Ogni civiltà è

isolata dalle altre, ognuna ha una sua storia irripetibile, una propria fisionomia e da un proprio

significato a spazio e tempo. Ogni civiltà da vita quindi ad un proprio stile culturale che è possibile

riconoscere in ogni sua espressione culturale, quali religione, arti, filosofia ecc. attraverso il tatto

fisiognomico quindi è possibile esperire il senso unitario di una civiltà, rinvenendo attraverso le sue

espressioni culturali un unico impulso metafisico che le attraversa per intero. Per spengler la città è uno

di questi tratti, tra i più espressivi per la comprensione di una civiltà: è il volto stesso della Kultur, legata

ad un arco temporale di vita, entro cui una civiltà nasce, cresce e muore. La fase di climaterio di una

civiltà viene definita da Spengler Civilizzazione che corrisponde alla fase di vecchiaia di una kultur che

si accompagna da una disanimanzione, preludio alla morte e alla sua scomparsa.

6.4 Dal “villaggio” alla “piccola città”, ovvero la nascita di una cultura: l’uomo inizia, per spengler, la sua

vita come uomo nomade, privo di abitazione stabile, senza leggi scritte, cacciatore, pastore. Solo con

l’agricoltura inizia una sua fase di trasformazione, che non vede più una paura nei confronti della

natura, ma la si inizia a domare. La terra così inizia a ricoprire un senso per l’uomo, e il precedente

caos naturale muta in cosmo dotato di ordine, significato e bellezza. Da nemica la natura diventa

amica. La terra diventa così casa stabile dell’uomo, proprietà nel senso più sacro. Ogni kultur alle

origini è strettamente legata con la terra, basti pensare all’archiettura egizia, dorica o gotica che sono

indice di modalità di trasformazione della natura. Ma il luogo propizio per diventare vera dimora

dell’uomo è tale solo se anche la natura stessa lo permette e se l’uomo si percepisce come

radicamento nella terra e suo sviluppo, quindi come generazione del paesaggio nel quale è emerso. Il

genius loci non è altro che l’espressione sul piano mitico-religioso del rapporto che l’abitante originario

intrattiene con la propria casa, riconoscendo in essa un rafforzamento del paesaggio. Quindi la nascita

di un villaggio è vista da spengler come un prolungamento dell’operare della natura stessa. Solo in fase

più matura la città comincia a porsi come entità altra rispetto alla natura: la città diviene allora luogo

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dello spirito, dell’intelligenza e della libertà in contrapposizione alla campagna ora sentita come luogo

della natura e di assenza di libertà. La piccola città è cresciuta sul suolo insieme alla madre terra, ma

ora la grande città vuole distaccarsi da essa, nega tutto quanto è natura, vuole esserle superiore e

inizia così la sua azione distruttrice sull’immagine del paesaggio. Quindi la grande città esprime la

nuova esigenza dell’uomo di emanciparsi dai legami naturali. Per spengler ogni civiltà passa questa

fase più matura e le grandi città sviluppano così uno stile definito non più in rapporto immediato con il

paesaggio circostante, ma in autonomia rispetto ad esso. Perde così importanza la campagna, luogo di

nascita della kultur e diviene funzionale alla città dominatrice (vedi infatti la nascita della borghesia che

nasce dalla dimensione contadina per poi distaccarsene).

6.5 la “città mondiale” ovvero il tramonto di una civiltà: l’ultimo stadio di ogni civiltà è definito Weltstadt,

città mondiale, li cui avvento segna l’ingresso di una civiltà nella fase di civilizzazione. Il genius loci

viene definitivamente reciso. In questa città inizia a svilupparsi una massa informe, costituita da case

alverari e da costruzioni utilitaristiche. Avanza divorando la campagna che si spopola e perde la propria

cultura e diventa mera macchina di produzione soggetta alla stessa pianificazione e uniformazione che

vige nella metropoli. Così il contadino diviene semplice lavoratore della terra e produttore di scorte per

la metropoli. Il volto della città diviene invece cadaverico, inespressivo; il centro storico è soggetto a

continua riprogettazioni che lo rendono funzionale alle nuove esigenze economiche oppure viene

mummificato in apparato museale. Anche l’arte cambia, diventa semplicemente un affare economico

rilegato ad esperti intenditori e le composizioni musicali mutano in assurde masse strumentali e la

pittura assume la forma di una serie di enigmi di carattere formare o coloristico. Troviamo quindi un

unico standard stilistico globale in ogni ambito culturale. Tutto questo avviene a partire dall’ingresso

nell’era della città moderna mondiale, dove la civilizzazione occidentale si muta attraverso la diffusione

planetaria della tecnica in civilizzazione mondali, segnando così la sua fine. L’ottica di spangler

ovviamente è dominata da un forte realismo tragico.

6.6 la guerra nella metropoli: Jünger sarà l’autentico continuatore della morfologia storica spengleriana.

Il lavoro sarà per Jünger una svolta all’interno della storia che muta le forme delle cose in base alla

direzione imposta dall’apparato della tecnica. Così il lavoro è una forza elementare, un quinto elemento,

che trasforma la natura della terra in senso planetario. E la prima guerra mondiale, cui Jünger aveva

partecipato, sarà un passaggio storico decisivo. Infatti nel corso di questa per la prima volta le nazioni

fanno appello alla mobilitazione delle nazioni nel sostenere gli sforzi bellici dei soldati al fronte, che

mira, secondo lui, a mettere in moto sono più soltanto il corpo militare, ma anche tutta la forza-lavoro

della quale le prestazioni militari sono una parte di espressione. Ogni ente ora è concepibile solo in

quanto al lavoro e ogni particella è messa in attività per il lavoro stesso. La popolazione viene

indistintamente mobilitata e assume la forma di esercito del lavoro. ogni individuo diventa energia

potenziale in senso bellico. Emerge così per Jünger un inedito processo di fusione tra guerra e lavoro:

la mobilitazione è la sintesi di entrambi ma segna una svolta epocale, una mutazione genetica della

storia, un nuovo scenario spazio-temporale fatto di normalità violenta in guerra e di violenza

normalizzata in pace. Gli stati infatti diventano un modo liscio, dove è annullato il confine tra stato di

guerra e stato di pace, durante la prima guerra mondiale. Sempre in questo periodo un altro elemento

viene conquistato dalla violenza distruttrice dell’uomo, l’aria. Bombardare da un aereo o sparare ordini

con gas venefici significa colpire in modo indiscriminato un avversario per raggiungere un fine politico

che vede due stati lottare in una serie infinita di atti terroristici. Jünger sa che la guerra è un fatto

sanguinoso, ma prima era circoscritta a particolari ambiti della vita quali giuridici o religiosi. Ora con la

mobilitazione generale la violenza bellica minaccia sistematicamente tutti, soprattutto i più indifesi. Per

questo lo spazio di guerra non è più il campo di battaglia, ma la città. Basti pensare a Hiroshima,

Nagasaki, Dresda ecc. il lavoro così per Jünger, nel 900, non è più semplice attività tecnica, ma totalità

dell’esistenza e il scenario di questo periodo è dominato dal sistema lavoro e il lavoro in sé si

sostituisce ad ogni riferimento teologico o etico, imponendo come unico criterio di realtà e di verità a

livello globale. Il sistema lavoro condizione ora del tutto la vita umana e ogni uomo deve sottostare alle

sue sempre più capillari e intrusive richieste. 19

6.7 la metropoli officina e museo: anche la metropoli di Jünger diventa annullamento delle tradizioni,

standardizzazione, ma particolarmente diventa “officina”: ogni cosa è resa funzionale allo spazio del

lavoro e ogni ente ne viene assorbito integralmente. La metropoli appare così come un insieme

illimitato di strumenti che vengono continuamente rimodellati, nulla è durevole, facendo così diventare

la città movimento del lavoro, inquietudine, instabilità e assenza di stile. Anche la metropoli

novecentesca di Jünger subisce anch’essa una scissione dal legame con il paesaggio originario ed è

retta dalle nuove logiche del consumo. Il tratto distintivo dell’attività della metropoli è un movimento in

costante accelerazione, un moto che risponde solo a se stesso e che non è sottoposto ad alcun limite.

Le masse sono in continuo reciproco rapporto con questo complesso automatismo e la metropoli e il

pianeta possono essere concepiti come un immenso sincronizzato parco macchine. Il moto della

metropoli assume quasi il carattere di gioco perché il lavoro non ha alcun fine al di fuori del suo tesso

movimento e della sua stessa perpetuazione. Emerge quindi uno stretto rapporto tra lavoro e

nichilismo: per raggiungere la perfezione il sistema lavoro deve demolire e annullare tutto ciò che è

passato e in questo processo nulla ha senso al di fuori dell’esecuzione del processo in quanto tale. Ma

sotto la pressione della forza-lavoro, l’umano non cresce più come individuo, ma come tipo, cioè

acquista valore solo nel caso sia utile. Nella metropoli domina oltre allo spirito da officina, anche quello

museale che si manifesta attraverso il feticismo storico, tipico dell’epoca moderna. Questo processo di

mummificazione del passato è interpretata da Jünger come una delle ultime roccaforti della sicurezza

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A.A. 2014-2015
27 pagine
11 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simosuxyeah di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Contessi Gianni.