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RAPPRESENTAZIONALE:
Karmiloff – Smith ha svolto un esperimento sulla leva. In questo esperimento, la traiettoria di sviluppo della prestazione è simile
a quella che abbiamo descritto per lo sviluppo della capacità di coniugare i participi passati dei verbi.
Infatti:
- A 4 e 9 anni: l’accuratezza è buona.
- A 6 anni: c’è una caduta.
curva ad U
Il compito è quello di mettere in equilibrio sulla leva 3 diverse tipologie di blocchetti.
1) Sono blocchetti simmetrici da un punto di vista percettivo e anche il loro peso è distribuito in maniera simmetrica
2) La loro forma è simmetrica ma la distribuzione del peso non è simmetrica (c’è un piombino nascosto che fa sì che i blocchetti
pesano di più da un lato).
3) La loro forma è asimmetrica dal punto di vista percettivo e il peso è distribuito in maniera asimmetrica.
I bambini di 4 anni prendono uno alla volta i blocchetti (qualsiasi esso sia), lo posizionano sulla leva, e modificano la posizione
del blocchetto fino a quando la leva non sta in equilibrio. Non hanno nessun modello in testa (così come non ce l’avevano per la
coniugazione dei verbi).
A 6 anni sviluppano un modello su come deve funzionare la leva e quindi il loro modello i porta a sbagliare.
A 9 anni hanno il modello ma si rendono conto delle eccezioni, quindi si rendono conto che i blocchetti asimmetrici non si
comportano secondo il loro modello, perché hanno un piombino nascosto.
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Lo sviluppo ha a che fare con 3 fasi ricorrenti, che coinvolgono in modo indipendente il cambiamento comportamentale e quello
rappresentazionale.
FASE 1:
Nella prima fase (4 anni): il formato delle rappresentazioni è implicito.
- l’informazione è codificata in maniera procedurale: ciò che faccio è prendere un blocchetto e metterlo sulla leva.
- le procedure sono specificate in forma sequenziale: non ho nessuna idea in testa. Ciò che faccio è ripetere sempre la stessa
operazione finchè la leva sta in equilibrio.
- le nuove rappresentazioni vengono immagazzinate in modo indipendente da quelle già esistenti e sono isolate: non ho un’idea
complessiva di quello che sta succedendo, ma prendo un blocchetto alla volta e vedo come va.
Le rappresentazioni non possono essere collegate con altre rappresentazioni all’interno dello stesso dominio o di domini diversi
Quindi questa fase si caratterizza per automatismo senza flessibilità: faccio sempre la stessa cosa in maniera poco flessibile. Alla
fine riesco nel compito ma non ho nessuna rappresentazione esplicita di quello che sta avvenendo.
Il bambino si concentra sulle informazioni che provengono dall’ambiente: l’apprendimento è guidato dai dati (imitazione,
memorizzazione). Culmina con il raggiungimento della padronanza comportamentale: una prestazione efficiente e veloce, ma
non flessibile
FASE 2:
È la fase in cui c’è una caduta nella prestazione. Karmiloff - Smith parla di teorie in atto.
Il bambino fa un passo avanti nella rappresentazione, nasce una teoria (un modello teorico), quindi applico questa teoria e
sbaglio: il mio modello funziona quando i blocchetti sono simmetrici in tutto o asimmetrici in tutto
Il bambino lavora sulle proprie rappresentazioni interne
la noncuranza per le caratteristiche dell’ambiente esterno può portare a errori e a un calo di efficienza nel comportamento
FASE 3:
Il bambino formula in maniera esplicita il suo modello teorico, la sua rappresentazione, sa perché compie quell’azione. Quindi
quando i conti non tornano e la leva non sta in equilibrio capisce che il suo modello è sbagliato e lo modifica: modifica la sua
rappresentazione della realtà, inglobando le cose che non funzionano.
ESPERIMENTO SULLA LEGGE DELLA LEVA (KARMILOFF-SMITH, 1984):
Da cosa è causato l’andamento a U nell’efficienza della prestazione?
- 4 anni: risolvono il compito utilizzando una procedura basata sulla retroazione propriocettiva, la prestazione è guidata dal
percetto: continuano a fare la stessa operazione fino a che vedono che la leva sta in equilibrio.
- 6 anni: utilizzano una teoria in atto non ancora verbalizzabile che li porta ad ignorare le informazioni di ritorno negative
provenienti dall’ambiente: i bambini hanno sviluppato un modello, ma è una teoria che non è ancora esplicita, manipolabile e
astratta. Quando il modello non funziona il bambino non lo sa correggere.
- 9 anni: risolvono il compito utilizzando la retroazione propriocettiva + possiedono una conoscenza esplicita del centro
geometrico e della legge della leva che sono in grado di verbalizzare: la conoscenza dei bambini è esplicita e sanno anche tener
conto dei feedback che ricevono dalla realtà esterna (non solo modello astratto ma anche manipolabile).
IL MODELLO RR DI KARMILOFF – SMITH:
Questo processo in realtà si trova tantissime volte nella realtà quotidiana.
Per esempio se pensiamo a come i bambini imparano i giorni della settimana: prima le conoscenze sono implicite (il bambino
apprende una filastrocca. Conosce solo la filastrocca e non la può manipolare in alcun modo), il secondo formato è esplicito, ma
ancora ad un livello basso, perché per esempio il bambino sa dire i giorni della settimana a partire da qualunque giorno, poi c’è
un altro formato esplicito (il bambino sa dire che giorno è oggi), poi c’è il formato esplicito astratto (il bambino sviluppa il
concetto di settimana come quantificatore temporale. Quindi sa dire che un mese è fatto di quattro settimane, ecc…)
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NEUROCOSTRUTTIVISMO 3: LO SVILUPPO ATIPICO:
Come il neurocostruttivismo (neuroscienze cognitive dello sviluppo) può applicarsi allo sviluppo atipico?
Prendiamo in esame due diversi esempi:
1) fa riferimento alla sindrome genetica di Williams (che deriva da una microdelezione del cromosoma X)
2) fa riferimento ai bambini che nascono pre – termine
DISORDINI DELLO SVILUPPO A ORIGINE GENETICA:
L’idea classica della sindrome di Williams è che sia caratterizzata da deficit specifici nelle abilità di pianificazione e nelle abilità
visuo – spaziali e che invece ci siano aree cognitive (es. quelle relative alle abilità linguistiche, alle abilità sociali) preservate,
integre, che funzionano in maniera del tutto simile a quanto avviene per un bambino con sviluppo tipico.
Frequentemente quindi negli studi sulla sindrome di Williams troviamo tre gruppi di soggetti:
- bambini con sindrome di Williams
- bambini con sviluppo tipico
- bambini con sindrome di Down: la sindrome di Down è caratterizzata dal fatto che non ci sono deficit dominio – specifici, cioè
abilità fortemente danneggiate e abilità che sono preservate ma sono presenti deficit dominio – generali.
Malattie provocate da alterazioni genetiche note:
a) Sindrome di Williams (WS): deficit nelle abilità cognitive generali (pianificazione, soluzione di problemi) e nelle abilità visuo-
spaziali, a fronte di abilità linguistiche, sociali, di elaborazione e riconoscimento dei volti preservate e, in alcuni casi,
particolarmente accentuate.
b) Sindrome di Down (DS): deficit generale e indifferenziato nel funzionamento cognitivo.
APPROCCIO NEUROPSICOLOGICO CLASSICO:
Questa idea della sindrome di Williams si rifà all’approccio neuropsicologico classico, che concettualizza la nostra mente come
una sorta di coltellino svizzero: il nostro cervello è formato da aree diverse, ciascuna delle quali ha una funzione specifica, così
come il coltellino è composto da diverse parti, ciascuna con una funzione specifica.
Quando una di queste aree è danneggiata, tutte le altre rimangono integre (quando una parte del coltellino svizzero si
danneggia, gli altri strumenti rimangono integri).
Un danno in una precisa area cerebrale ha come conseguenza un deficit selettivo, specifico in una determinata funzione
cognitiva.
LA NEUROPSICOLOGIA CLASSICA APPLICATA AI DISORDINI DELLO SVILUPPO:
Come si applica l’approccio neuropsicologico classico ai disordini dello sviluppo, in particolare alle sindromi genetiche?
Se c’è un’alterazione genetica, c’è un’alterazione nel processo di maturazione (l’idea classica è che sono i geni che guidano il
processo di maturazione dello sviluppo) e quindi si danneggia la funzione.
Il legame è diretto tra difetto genetico e l’outcome (il risultato cognitivo).
L’epigenesi è sempre pre – determinata, unidirezionale (le frecce vanno sempre nella stessa direzione: dai geni, alla maturazione
delle diverse aree cerebrali, alla funzione cognitiva, al rapporto del bambino con l’ambiente circostante). È proprio l’alterazione
genetica che alla fine determina nell’approccio neuropsicologico classico quel deficit in uno specifico dominio, nella funzione di
uno degli strumenti che fanno parte del nostro coltellino svizzero.
Cosa implica questo approccio?
Tutte le altre funzioni cognitive sono risparmiate. Devo avere un deficit specifico per quella funzione cognitiva, legata a quella
specifica area cerebrale, mentre tutte le altre funzioni cognitive risultano integre.
Il cervello è organizzato in moduli che possono essere selettivamente danneggiati a seguito di un’alterazione a livello dei geni
che codificano per la maturazione di tale area.
Epigenesi predeterminata, unidirezionale. Visione statica dello sviluppo.
L’APPROCCIO NEUROPSICOLOGICO CLASSICO AI DISORDINI DELLO SVILUPPO:
Le alterazioni genetiche provocano un danno selettivo di moduli cognitivi innati. L’esito fenotipico è caratterizzato da deficit
cognitivi specifici a carico di uno o più domini in presenza di un funzionamento mentale “normale” all’interno dei domini
cognitivi non danneggiati.
Alterazione genetica Alterazione del processo di maturazione Danneggiamento di moduli cognitivi innati localizzati in
specifiche aree del cervello Deficit cognitivi selettivi a carico di uno specifico dominio.
Link diretto tra difetto genetico e outcome cognitivo
L’APPROCCIO NEUROCOSTRUTTIVISTA ALLO STUDIO DEI DISORDINI DELLO SVILUPPO:
L’approccio neurocostruttivista la pensa in modo diverso: non è vero che uno specifico gene si traduce nella maturazione di una
specifica area cerebrale, che si traduce in una funzione cognitiva, che si traduce in un funzionamento alterato con l’ambiente.
Piuttosto, uno specifico gene determina deficit aspecifici lievi e diffusi a carico di diverse regioni cerebrali. Non è uno specifico
gene che mi dice come maturerà quella specifica area, quella specifica caratteristica individuale. Non può essere che un singolo
gene definisca una singola alterazione in una specifica area cerebrale. Quello che fa è far s&