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Un altro radiologo francese, Wackenheim, riflette sulla radiologia e sulla sua possibile ed
intima natura filosofica.
-Lasciare una traccia
Ben presto dopo l’invenzione della radiografia si capì che l’immagine da essa fornita necessitava di
un approccio di lettura più complesso, in quanto richiedeva un interprete dotato di specifiche
competenze.
Non è difficile a questo punto ricorrere alla psicoanalisi freudiana e dell’idea di
perturbante: l’impronta è oggetto di presenza del corpo che l’ha lasciata ma allo stesso tempo di
assenza, perchè affinchè essa possa apparire è necessario che il corpo si stacchi da supporto su
cui l’ha praticata. Allo stesso modo la radiografia si può giudicare un’impronta, e assume così una
duplice natura, immagine estremamente realistica da un lato, e immagine imprecisa in quanto in
assenza del referente dall’altro. E’ dunque un’icona, ma problematica per il fatto che in essa si
crea una dualità di presenza-assenza, che se riferita al corpo del paziente si lega bene alla
dinamica tra soggetto e oggetto, illness e disease, impersonale e individuale.
-Specchietti retrovisori
Gli artisti visivi per primi raccolgono le suggestioni della radiografia, inserendola nelle loro opere
o direttamente (Francis Bacon) o imitandone alcuni aspetti, come il contrasto di bianco e nero (De
Kooning, Warhol).
Oggi tuttavia gli artisti non sono più attratti dalla radiografia e i suoi aspetti, perchè essa è ormai
superata, non sorprende più: con il progressivo diminuire del suo valore diagnostico (oggi è infatti
considerata solo un comune esame preliminare), diminuisce anche la sua efficacia simbolica in
campo estetico.
-Trappole per lo sguardo
Continuando il discorso sulla iconofobia delle medical humanities, abbiamo dunque constatato
che la ragione risiede nel pericolo che l’immagine tecnologica renda ancor più sbilanciato il
rapporto medico-paziente: un’immagine radiologica infatti non rimanda direttamente alla realtà che
raffigura, e si mostra incomprensibile al paziente profano; necessita dell’interpretazione del
medico, e questo crea un divario tra le due figure.
Inoltre queste immagini radiologiche possono generare nel paziente un senso di
perturbante, nel momento in cui egli vede il suo interno ma non lo capisce, non riesce a
riconoscersi.
-Disperazioni visive
Sul dibattito su come il medico debba rapportarsi all’immagine, interviene lo psicanalista
Assoun, che fa notare che il problema non è il medico che guarda le immagini per aggiungere
informazioni su cui compiere la diagnosi, ma lo sguardo con cui si rapporta a quelle immagini, che
non deve vederle come assoluta verità.
Ci si chiede in particolare se è possibile unire le due modalità di visione, quella oggettiva e
specifica del medico, e quella profana e fantasiosa del paziente, di fronte ad una immagine
biomedica.
Un passo in questa direzione dell’imaging biomedico è offerto dalla tendenza metaforica che
presentano molte immagini diagnostiche nei dizionari medici: forme comuni come becco d’uccello,
cavatappi, fiamma di candela, gambo di sedano, permettono al medico di riconoscere in modo
immediato la forma assunta da qualche anomalia e di memorizzarla facilmente.
Tuttavia, l’utilizzo di queste metafore non sembra poter contribuire ad una dinamica di
maggior scambio tra medico e paziente: certo la somiglianza di forme può essere facilmente
riconosciuta dal paziente inesperto di medicina, ma non avrà per lui una grande rilevanza. Infatti,
seppur descritte in maniera immediata, queste immagini rimangono segni, e continuano ad
appartenere al dominio della disease.
9) Storie di corpi
Se per buona parte del Novecento il discorso del corpo come Leib predominava,
successivamente a causa della diffusione massiccia di immagini scientifiche del corpo umano
(pensiamo al docudrama Body Story su Discovery Channel o alla progressiva consuetudine di
inserire specifiche tecniche di visualizzazione medica per veicolare elementi narrativi nel cinema e
nella televisione, come l’ecografia per dichiarare una persona in dolce attesa ecc), la dimensione
del Korper non si può più eludere. Si è dunque gradualmente creata una maggiore coscienza nel
paziente, una percezione del proprio corpo come Leib e Korper insieme
Nel 2007 Radstake pubblica Visions of Illness, in cui propone l’esame diagnostico con esito
in tempo reale come modo per superare il conflitto tra disease e illness; in questa pratica infatti,
non è raro che il medico coinvolga direttamente il paziente nella lettura dell’immagine, arrivando a
quel processo di co-costruzione di significato per immagini di cui ci chiedevamo se esistesse la
possibilità.
Rispetto alla funzione dell’immagine, occorre poi sottolineare che i medici sono oggi
molto più relativisti dei pazienti: mentre i pazienti sembrano ancora avere una sconfinata fiducia
nelle possibilità di un’immagine perfettamente chiara e veritiera del proprio corpo, i medici la
considerano come qualcosa di più inaffidabile, un punto di partenza per scoprire la verità.
10) Senza parole
Il caso del neuroimaging ha esercitato un potente fascino sul pubblico negli ultimi decenni.
Si tratta di immagini che trasformano dati numerici sull’attività cerebrale dell’individuo in una
particolare situazione e le traducono in macchie di colore. Esse si basano sui cosiddetti paradigmi
di attivazione, ossia sulla correlazione tra l’incremento dell’attività in una determinata area
cerebrale e lo stato del soggetto. Esse sono chiaramente fuorvianti e di dubbia attendibilità
per una serie di motivi: innanzitutto pretendono di registrare questi dati in laboratorio,
dunque chiaramente i risultati sono diversi da quelli che si otterrebbero se l’individuo fosse
chiamato a svolgere la stessa azione in una condizione di normalità; in secondo luogo partono
dal presupposto che tutti, nelle medesime situazioni, hanno lo stesso tipo di reazione.
Infine, si tratta di artifici, in cui la tavolozza dei colori è scelta in modo convenzionale e
arbitrario.
Ciò che è interessante è tuttavia la forza attrattiva e l’efficacia comunicativa che ha esercitato
questa operazione di trasferimento di fenomeni psicologici in categorie visive e colori
evocativi, anzichè descriverli attraverso le parole o grafici astratti.
Il successo del neuroimaging è comunque un successo popolare, massmediatico; nel campo
propriamente scientifico, al contrario, ben presto si smentisce l’affidabilità di queste
rappresentazioni. Il successo popolare di queste immagini si riconduce ad una più generale
modalità di fruizione delle informazioni da parte della massa, che tende spesso a credere più
all’immagine che alle parole, le quali, a differenza di quanto accade nelle pubblicazioni scientifiche,
si mettono al servizio della prima.
Riassumento il discorso relativo alle immagini mediche:
Il paziente che ricorre all’immagine medica, la inserisce in un’orizzonte di attesa in cui si
1) aspetta che il medico la sappia interpretare per risolvere il mistero della malattia
Il paziente può usare l’immagine biomedica per materializzare la propria situazione,
2) ossia usare l’immagine del proprio corpo come mezzo per oggettivizzare il proprio dolore e
separarlo in tal modo dal sè.
Per queste ragioni, è auspicabile che le medical humanities si sforzino di considerare le
immagini con lo stesso rispetto che manifestano per la parola.
4) I rischi dell’esoftalamo
-Chiama il dottore
Analizziamo il dipinto The Doctor dell’inglese Luke Fildes, 1891: esso rappresenta un medico
che assiste un bambino steso su un cuscino sorretto da due sede spaiate, mentre la madre piange
addolorata.
Ci sono tante ipotesi circa l’ispirazione per il dipinto, ma ciò che è certo è che non fu realizzato
dal vero, bensì nel suo studio londinese, dove aveva ricostruito la scena e chiamato due modelli.
Sin dalle prime reazioni, il dipinto viene elogiato come esempio del buon medico, il
medico empatico, filantropo, che veglia il malato personalmente; viene inoltre assunto
come perfetta descrizione della relazione ideale tra medico e paziente.
Ad un’analisi più approfondita e forse dall’occhio più esperto di arte, si possono osservare
tuttavia una serie di elementi che mettono in dubbio la precedente interpretazione: notiamo
innanzitutto che al centro del quadro c’è il medico; inoltre, il bambino è decisamente troppo piccolo
rispetto alle dimensioni del dottore, dunque è impossibile pensare ad una relazione paritaria tra i
due. Anche la madre e il padre hanno una posizione marginale, confinati nella penombra, a
malapena distinguibili.
Con questa immagine come punto di riferimento, analizziamo il modo in cui viene
comunemente trattata la relazione tra arte e medicina degli scritti medici e i metodi più
diffusi in cui le arti visive sono utilizzate nei corsi di medical humanities.
-Dubbi positivi
Con il termine iconodiagnostica ci si riferisce alle pratiche utilizzate per trarre notizie su una
malattia del passato attraverso immagini della storia dell’arte, e fu coniata da Anneliese Pontius,
psichiatra di Harvard.
Primi esempi di questa tecnica sono contenuti nei volumi Le Indemoniate nell’arte, 1887, di
Charcot e Richter, dove si mettono in relazione rappresentazione tratte dalla storia dell’arte con
immagini dei malati della Salpetriere, e Les difformes er les malades dans l’art, 1889, degli stessi
autori. Occorre ricordare però che un metodo simile era già utilizzato da Giovanni Morelli, laureato
in medicina dedicatosi poi alla storia dell’arte.
In quest’ultimo volume in particolare, gli autori affermano innanzitutto che arte e scienza sono
da sempre alleate, come dimostra l’interesse degli artisti di ogni tempo per l’anatomia
umana; in secondo luogo, che l’arte può trarre beneficio dall’intervento della medicina,
perchè il suo esame potrà rivelare se certe deviazioni dalla norma derivino dalla natura patologica
dell’oggetto rappresentato, cioè dalla realtà, o dall’incompetenza dell’artista.
-Ombre della sera
I primi studi dei francesi Richer e Charcot permisero a coloro che vennero dopo di avvalersi di un
grande repertorio iconografico, ma si iniziò anche a biasimare il precedente metodo.
Hollander in particolare pone l’accento su una differenza di metodo tra la scuola tedesca e
quella francese: la prima infatti intende collegare medicina e arte secondo una chiave storica
medica, mentre la tradizione francese si era concentrata su una lettura più artisti