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Ma quando si iniziò a considerare altre cause di natura genericamente
“isterica”, la faccenda si complicò: per stabilire un legame tra gli
effetti della discrasia del sangue e quelli della psiche, si dovette
costringere il segno princeps della malattia, ossia il colorito
verdognolo, a far da ponte tra due dimensioni apparentemente
irriducibili l’una all’altra. Dalle ipotesi secentesche, fino a quelle
ottocentesche e primo novecentesche, la clorosi presenta sempre una
dimensione caleidoscopica. A differenza delle isteriche, spesso
presentate come pericolose e manipolatorie, la natura eminentemente
fisiologica, cioè ematica, della clorosi, fa delle giovani che ne sono
colpite delle pazienti maggiormente inoffensive, più controllabili dalla
famiglia, soprattutto dal padre o dal medico che talvolta si erge a suo
degno sostituto.
Certo, le donne di queste zone (Paesi Bassi) sono più pallide rispetto a quelle
mediterranee, ma ciò (dovette supporlo anche Meige) dipende più dalla
quantità di melanina presente nel loro derma che non ai loro cattivi umori.
Tuttavia, dato che ogni epidemia ha fondamenti biologici, sociali e
culturali, cerchiamo di capire che cosa avvenisse in quelle zone di così
adatto allo svilupparsi del male, o almeno che cosa spingesse i pittori
olandesi del secolo d’oro a ritrarre tante giovani malate d’amore con
tale impellenza.
Nell’Olanda del XVII secolo si parlava molto di Soetepijn, di minne-
pijn o di minnekoortz: sono queste le espressioni con cui si definiva il
MALE O LA FEBBRE D’AMORE. Sappiamo che il Seicento è il secolo
d’oro delle rivoluzioni scientifiche e soprattutto quello della diffusione
di concezioni “razionaliste” e “materialiste” in medicina. In Olanda
queste posizioni assunsero una grande rilevanza, maggiore che da
altre parti d’Europa, in particolare attorno all’università di Leida
Jan Baptista Van Helmont, leader della direzione iatrochimica e paracelsiana,
il cui Ortus medicinae (1648) costituisce una delle ultime grandi sintesi
medico-filosofiche prima della presunta frattura cartesiana, sostiene che la
localizzazione dell’“anima sensitiva” non sia affatto un’ipotesi peregrina. A suo
avviso, la vita corporea sarebbe regolata da un duumvirato stomaco-milza – a
cui ovviamente, nella donna, si aggiunge l’utero. Da esso dipende il controllo
del ritmo sonno-veglia, la produzione dei sogni, l’istinto della fame e della
sete, l’angoscia, la tristezza e la gioia.
Su questa linea si colloca, ad esempio, Thomas Willis, allievo di Sylvius
e anch’egli assai influente per la scuola di Leida, che considera la
MALINCONIA un disturbo del cervello e del cuore, ma pensa che sia il
sangue, a causa di un rallentamento, a popolarsi di “confused animal
spirits … Per questo la flebotomia fu molto praticata. Osserviamo una
celebre incisione di Abraham Bosse (fig. 2.3) e leggiamo la didascalia
con la lode delle virtù di tale pratica. Nell’immagine si vede: un cane
che strusciandosi contro un gatto, guarda verso una finestra aperta;
un ragazzetto impertinente si allunga su un tavolo per prendere chissà
cosa; un paravento, sul cui spessore si sostengono due vasi, nasconde
qualcosa che non possiamo vedere; i ritratti dei “padroni di casa”,
collocati sopra un innocuo ma allusivo paesaggio, partecipano
attivamente alla scena.
L’altro fluido corporeo fondamentale era l’urina, la cui ispezione
continuava ad essere compiuta secondo i metodi tramandati dalla
Scuola Salernitana. Il medico doveva osservare la matula contro luce e
valutare lo stato delle quattro “sezioni” dell’urina; dopodiché poteva
argomentare quanto osservato, procedendo dal basso verso l’alto, a seconda
delle parti del corpo corrispondenti a ogni “sezione”: il “fondo” per organi
inferiori (in particolare i reni), la “sostanza” o “corpo” per i membra
nutritionis (stomaco e fegato), la “superficie” per i membra spiritualia (cuore e
polmoni) e la “corona” o “circolo” per i membra animata (il cervello). Una vera
e propria scienza dell’osservazione su base anatomica venne messa a punto
anche una “ruota dei colori” dell’urina, riprodotta sia nell’Epiphanie
Medicorum (1506) di Ulrich Pinder (fig. 2.4), sia nel Looßbuch zu ehren der
Römische (1546) di Paul Pambst
CARTESIO: Uno dei suoi scritti è di particolare rilevanza per il nostro studio. Ci
riferiamo alle Passioni dell’anima, iniziato nel 1645 e pubblicato nel 1649. Per
Cartesio, per conoscere le nostre passioni, è necessario innanzi tutto esaminare a
fondo la differenza tra anima e corpo; in tal modo, per via negativa, capiremo “a
quale dei due si debba attribuire ciascuna delle funzioni che si trovano in noi. Dal
punto di vista anatomico e fisiologico, la parte del corpo attraverso cui l’anima
esercita le proprie funzioni non è affatto il cuore, e neppure tutto il cervello ma
soltanto una piccolissima ghiandola, la ghiandola pineale, situata “al centro della sua
sostanza” e “sospesa […] al di sopra del dotto attraverso cui gli spiriti delle sue cavità
anteriori comunicano con quelli della posteriore”. I minimi movimenti di questa
ghiandola possono modificare il “corso” degli spiriti, il quale, reciprocamente, può
modificare i movimenti della ghiandola.
Ripercorriamo nuovamente le teorie sulle malattie d’amore nel
Seicento. Ormai lo sappiamo, è intollerabile abbandonarsi alla
melanconia, alle incessanti fantasticherie amorose e ai suoi continui
tormenti. I moralisti del tempo, tutti, e quelli di Leida in testa, ne sono
persuasi, e dunque non vi è nulla di sorprendente nel fatto che essi,
sulla scorta di Cartesio o delle posizioni neostoiche raccomandino di
porre la passione sotto il controllo della ragione. Parallelamente, però,
la MALINCONIAamorosa viene sempre più accostata, o sovrapposta, al
furor uterino e a tutta una serie di disturbi genericamente collegabili
all’isteria.
2.3
La verità vi prego
Nell’Olanda del tempo i medici vestono fuori moda (ricorda TAV.3 E
tav.4). La fig. 2.5 ce lo mostra agghindato con un abito che sarebbe
stato di moda nel 1570, ma veste la tipica calzamaglia che circolava
nel 1600 e un paio di scarpe databili, forse, al 1620. Altro es. fig. 2.6,
in Olanda i medici abbigliati in questo modo, ancora molto diffuso in
Europa, venivano immediatamente considerati accademici old
fashioned, e non solo dal punto di vista del guardaroba. È impossibile
non pensare a Molière, campione della medicina e della malattia comiche, e
alle sue satire sui ciarlatani, diffusissime anche in Olanda nella seconda metà
del Seicento. Saremmo dunque al cospetto di un magnifico defilé di
travestimenti che dal palcoscenico passa alla corsia, o alla stanza del malato,
per poi contagiare anche la relazione tra medico e paziente su entrambi i
livelli, di finzione e di realtà. Ma con il mal d’amore non possiamo limitarci a
ipotizzare che a una “falsa” malattia debba per forza corrispondere un medico
altrettanto “falso” (e dunque comico). Figg. 2.5 e 2.6
Così Meige parte alla volta di Vienna, sperando di incontrare altre
pazienti e altri colleghi con cui discutere dei suoi casi clinici. Si
imbatte in una malata, con un fazzoletto sulla testa e una casacchetta
di velluto bordato di piume di cigno (o almeno Meige ce la descrive
così). Siede vicino a un tavolo sul quale ci sono una bacinella e una
spugna; tiene una mano sul petto, e solleva mollemente l’altra perché
il medico, sostenendo con due dita quel povero braccio, possa
prenderle il polso. Sulle ginocchia ha una copia della Bibbia, e con
sguardo umido e implorante chiede conferma al medico della sua
condanna, preparandosi a morire santamente con il conforto di pie
letture (TAV.5). Ecco la descrizione di Meige relativa all’intera scena:
Anche stavolta, la diagnosi non lascia dubbi: si tratta sempre DI MAL
D’AMORE. L’attenzione di Meige, dunque, si concentra tutta sul collega, che
abito da accademico,
sfoggia un corruga il sopracciglio e si indica la fronte
nello sforzo del pensiero (sempre che non stia contando i battiti del polso con
le dita di una mano…). La forte antipatia di Meige nei confronti del medico ci
pare eccessiva, ma è innegabile che questo medico abbia un’espressione che
spaventerebbe chiunque, soprattutto una povera giovane che crede di essere
a un passo dall’oltretomba. Una condizione del genere non spinge certo
all’umorismo, o a burlarsi di chi consideriamo il solo capace di impedire che
l’inesorabile si compia. Questa novella Maddalena pare quasi passare
silenziosamente in rassegna ogni suo peccato, e pentirsi di ognuno: ha uno
sguardo che, se non fosse per il contesto molto laico, potremmo definire
“mistico”.
A proposito delle domestiche: Anche quando ostentano un’aria compita, dal loro
sguardo traspare sempre un presuntuoso scetticismo nei confronti dei medici, e con
questo atteggiamento contagiano anche il resto della famiglia (fig. 33). Meglio,
insomma, diffidare delle domestiche o, al limite, far assegnamento su di loro perché
denigrino gli amati “sbagliati”
2.4
Lettere morali
Torniamo al caso di Monaco di Baviera ( TAV.4), e alla “lettera” che la
paziente tiene tra le mani. Nei dipinti olandesi del Seicento non è
affatto raro che compaiono delle lettere. Ess. Di lettera che viene
spiata da qualcuno alle spalle di chi scrive: figg. 2.7 e 2.8. La lettera-
diagnosi è, più che mai, un oggetto da guardare ma è anche un oggetto
che sa di essere visto, o meglio vuole essere visto, in un’ostensione a
fini narrativi: è Jan Steen a suggerire la diagnosi.
Lettere d’amore: anche il teatro e la letteratura del tempo, e non solo
in Olanda, corroborano l’idea che le lettere d’amore possano essere
uno dei motivi scatenanti non solo delle farse e delle commedie degli
equivoci ma persino dei drammi più cupi. e in molti dei nostri dipinti
olandesi, sono le lettere d’amore a incendiare il sentimento.
Altri autori paiono meno pessimisti a proposito delle lettere d’amore. È il caso,
Jan Harmensz. Krul e di un suo emblema del
per restare in Olanda, di
Pampiere Wereld (1644), nella cui incisione compare Cupido che porge
una lettera a una giovane (fig. 2.10). La scena non ha toni drammatici:
siamo nella solita camera da letto, questa volta in perfetto ordine – le
tende del baldacchino sono chiuse, il tavolo è sgombro di oggetti, la
sedia è