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FASI DELLA PROGETTAZIONE PARTECIPATA (Lamedica):
Acquisizione delle informazioni di base (si ottengono elementi che
permettono di cogliere l’immagine di un luogo; si utilizzano questionari,
discussioni)
conoscenza degli spazi da progettare (sopralluoghi, ricerche,
approfondimenti)
espressione delle caratteristiche principali dell’area (vengono create
mappe, tabulazione di dati)
progettazione (stesura di ipotesi progettuali individuali o a gruppi)
ampliamento del bagaglio di conoscenza (confronto con esperienze
simili)
progettazione collettiva (fase collettiva con realizzazione di un plastico)
R. Lorenzo e M. Francis rilevano 7domini della partecipazione all’interno di
diversi modelli di progettazione partecipata:
romantico: idea in cui i bambini sanno costruire da soli il loro futuro
advocacy planning: i progettisti pianificano opere per l’infanzia
basato sui bisogni dei bambini
dell’apprendimento: vengono svolte esperienze sul campo per i
bambini
del riconoscimento dei diritti: gli adulti considerano i bambini nelle
decisioni relative alla città
dell’istituzionalizzazione: vi è si il contributo dei bambini ma ciò è
vincolato da limiti istituzionali 3
proattivo: la partecipazione è un processo comunicativo. Questo
paradigma da attenzione alla condivisione, all’adattabilità di tempi e
strumenti dei soggetti coinvolti, alla valorizzazione delle capacità e
risorse esistenti, al coinvolgimento dei soggetti nell’analisi dei risultati.
Tutte queste azioni devono essere funzionali e pensare alla crescita infantile,
rendendo il bambino partecipe del lavoro sociale.
Progettare con loro e coinvolgerli in spazi urbani fa capire quali sono i loro
desideri e bisogni, favorisce l’autonomia e l’autodeterminazione. Compito
dell’educatore è quello di prendere sempre in considerazione l’età dei
soggetti coinvolti, i contesti in cui vivono bambini ed adulti e anche la
cultura locale, avendo come finalità il dialogo tra teoria ed esperienza,
conoscenza ed intuizione.
2. Co-progettare: un’avventura educativa
In Italia, tecnici ed amministratori non possiedono la preparazione e gli
strumenti per fare un percorso di progettazione con i bambini. Spesso i
progetti vengono condotti in modo autoreferenziale, non collaborando
nemmeno con altri specialisti.
Questo perché bisogna aumentare sempre più il profitto e la velocità di
realizzazione, a scapito della qualità dell’opera e del lavoro di progettazione
come motore di sviluppo dei territori.
Il sapere specialistico (esperienza, conoscenza e competenza) non va
sminuito ma condiviso, perché l’unione di conoscenza e competenza
diventano un valore aggiunto all’opera. Ma leggere un territorio,
interpretarne i problemi e trovarne soluzioni insieme comporta maggiori
difficoltà e fatica. Operando con più persone, l’importanza sarebbe non
delle singole scelte operative ma delle dettagliate conoscenze dei contesti
e delle diverse prospettive degli attori.
Il compito delle amministrazioni locali sarebbe quello di far nascere progetti
“dal basso”, considerando tutti i cittadini, bambini compresi, in quanto
ognuno è portatore di una specifica cultura dei luoghi e degli abitanti.
Come è accaduto nel 2005 a New Orleans durante la ricostruzione dopo
l’uragano Katrina, in cui la sfida non era solo quella di ricostruire ma si voleva
una rinascita anche della cultura, per questo si decise di ripartire dal
rapporto che la popolazione aveva con la terra e l’acqua, ritenendo questo
rapporto una risorsa per la pianificazione.
Questo consentirebbe di cogliere in modo più efficace l’impatto sociale e
culturale delle trasformazioni urbane e monitorare dall’interno i cambiamenti
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che derivano dalle trasformazioni territoriali e sociali (politiche abitative, piani
di mobilità, edilizia popolare, mercato immobiliare incidono sull’identità dei
singoli e delle comunità).
Non farsene carico significherebbe perdere l’HUMUS della pianificazione
perché l’identità dello spazio urbano è intrecciata con l’identità degli
abitanti. QUINDI la progettazione partecipata con i bambini rappresenta la
possibilità di osservare le capacità delle nuove generazioni di modificare le
strutture degli spazi e degli ambienti, diventando operatori attivi del
cambiamento.
Lo scopo infatti non è quello di fornire ai tecnici progetti esecutivi ma quello
di porre in luce le istanze specifiche degli STAKEHOLDERS più piccoli, quindi
gli adulti hanno modo di cogliere i reali bisogni dei bambini e dare loro voce
e spazio.
Nel caso di progettazione di bambini tra 6 e 11 anni si possono valorizzare le
capacità esplorative e la motivazione a conoscere e comprendere il mondo
avvalendosi della capacità d’immaginazione.
MONTESSORI: immaginazione = facoltà del pensiero che attiene alla
capacità di tracciare un mondo possibile, scavalcando il concreto ma
senza cadere nell’irreale.
Immaginare non significa fantasticare ma è l’abilità dei bambini di
interpretare il mondo e progettare dei piani d’azione su di esso, partendo da
esperienze e conoscenze da mettere alla prova. Per questo i bambini
devono avere un significativo rapporto con l’ambiente.
La pedagogia dell’infanzia può svolgere un ruolo fondamentale
nell’orientare gli adulti sulle risorse dei propri bambini, sulla loro originalità e
sui progetti esistenziali che custodiscono. Quindi la collaborazione tra
pedagogisti e architetti risulta strategica perché i primi interpretano i bisogni
educativi dei soggetti, i secondi perché progettano facendo da intermediari
tra i desideri del pubblico e le esigenze dei fruitori, non possono infatti
sottovalutare le conoscenze, i bisogni e le competenze sia di altri esperti che
degli abitanti. (R.Lorenzo afferma che: “ci vuole un’integrazione di
competenze professionali e un impegno comune con tutti i membri della
comunità locale per creare e sostenere servizi e spazi”). Il sapere tecnico
deve quindi entrare nelle relazioni con le risorse del territorio, con i saperi di
tutti i membri e attivare forme di incontro tra le generazioni per far crescere
la comunità.
La città, possiamo dire, che delinea un assioma dell’incompiutezza perchè è
in continuo divenire, è un insieme che deve essere aperto alla propria
trasformazione, nessuna città può sapere che cosa sarà. E’ questa
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incompiutezza che promette un futuro.
La dimensione progettuale apre al futuro e alla formazione di scenari
esistenziali inediti, ma si nutre anche del passato e presente. La pedagogia è
un sapere che si muove dialetticamente tra il non ancora e il già, tra
presente e futuro e con progetti partecipati rende ancora più marcati i nessi
spazio-temporali. La progettazione partecipata si basa sulla profondità dei
legami tra territorio e abitanti, è infatti il radicamento che non fa frantumare
la progettazione. Le trasformazioni possono quindi essere create solo da
persone fortemente legate ai luoghi e alla comunità, che sentono delle
responsabilità verso il mondo.
In educazione il progetto è andare oltre la situazione esistente, è creare
nuovi scenari esistenziali. Quindi prima di progettare bisogna costruire il senso
di appartenenza e i radicamenti.
L’essere parte di… si lega all’essere responsabili per… che diventa
impegnarsi a favore di… e quindi porta al progettare con… perché solo
sentendosi parte si contribuisce al miglioramento.
Analisi delle identità di Castells:
Identità legittimate porta al consenso
Identità di resistenza si nutrono di azioni reattive e difensive
Identità di progetto porta a progettazione partecipata e genera
trasformazioni sociali, urbanistiche e personali
Le esperienze di progettazione partecipata possono concorrere alla
diffusione di una cultura che sa valorizzare le esperienze e promuovere la
riflessività. Il sapere pedagogico-educativo deve saper accogliere le idee
provenienti dall’infanzia, trasformando gli spazi presenti e ipotizzando muovi
scenari.
Le trasformazioni dello spazio urbano ad opera di progettazione partecipata
sviluppano percorsi di apprendimento reciproco tra i soggetti coinvolti, e
attraverso l’interazione si avviano processi di ricostruzione della propria
identità personale grazie alla condivisione di spazi e tempi. Da ciò nasce un
circolo virtuoso che crea un processo di sviluppo “co-evolutivo” della
comunità e del suo spazio di vita. Quindi la pianificazione partecipata,
fondata sull’interazione, rappresenta un percorso di sviluppo dei singoli e
della collettività. CAPITOLO PRIMO (PG. 117)
“LA SCUOLA. RISORSA PROGETTUALE PER LA CITTA’”
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La sfida di una GOVERNANCE PARTECIPATA, trova nella scuola un’occasione
per sviluppare le competenze e le creatività indispensabili per promuovere
processi partecipativi e di cittadinanza attiva. La scuola può essere un luogo
in cui imparare a porsi in ascolto. L’empowerment generato dalle forme
partecipate di apprendimento restituisce potere di pensiero e di azione agli
studenti dandogli responsabilità. (per esempio, la classe è un luogo di
apprendimento reciproco). L’insegnante nella logica partecipata è
FACILITATORE DI RELAZIONI TRA I SOGGETTI e di MEDIATORE CON I
CONTENUTI DI APPRENDIMENTO. Grazie allo spazio e al tempo nei contesti
educativi per l’infanzia si vivono esperienze che contribuiscono alla
FORMAZIONE DEL SE’, perché la configurazione dell’identità è strettamente
legata con le esperienze spaziali e temporali. NON SI PUO’ IGNORARE LA
GRAMMATICA DEGLI SPAZI NELLA PROGETTUALITA’ EDUCATIVA.
1. Crescere dentro e attraverso gli spazi scolastici
Ogni ambiente educativo influisce sui processi di crescita degli educandi
perché trasmette valori e comportamenti. Infatti c’è legame tra PERSONA –
SPAZIO – RELAZIONI, quindi lo spazio scolastico agisce, in modo implicito, sui
vissuti degli alunni. (la struttura facilita o ostacola le esperienze di socialità, la
fruibilità degli spazi favorisce o inibisce l’esplorazione e la scoperta).
L’ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI per la Montessori è un caposaldo
dell’educazione. Lo spazio scolastico deve rispondere alle esigenze di
crescita del bambino, ( che s