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LA CONVERSAZIONE

(Galatolo-Pallotti)

I MARCATORI DELLA CONVERSAZIONE (Stefania Stame)

Viene adottato il termine marcatore, senza eccessive preoccupazioni teoriche di definizione, sia

perché facilmente “scambiabile” nel dibattito internazionale in lingua inglese sia, soprattutto,

perché ormai il più apertamente connotato in senso pragmatico. L’appartenenza all’ambito

pragmatico è Stata ulteriormente sottolineata, in alcuni dei nostri articoli, dalla scelta di aggiungere

al termine marcatore la specificazione conversazionale. Questa dizione, che mette l’accento

sull’intera¬ verbale, è stata preferita, in molti casi, a quelle più generali come discorsivo, del

discorso, pragmatico per la sua più diretta attenzione alla dimensione dell’intersoggettività nella

conversazione. Sotto la categoria di marcatore conversazionale sono stati compresi i morfemi

analizzati nei primi lavori – il cui uso pragmatico è tipico della lingua parlata, ma che occorrono

anche nello scritto che erano stati definiti con il termine connettore. Sono state inoltre incluse nella

stessa categoria altre “particelle” “ (e combinazioni multiple di esse, osservate nell’analisi del

nostro corpus di conversazioni) impiegate pragmaticamente esclusivamente nella lingua ta, come

he’, he’ no sì, ma, ma sino. Le osservazioni e le analisi sugli usi e sui funzionamenti specifici dei

singoli marcatori nella conversazione potrebbero riproporre l’esigenza di rivedere e differenziare

queste categorie di morfemi, anche in termini di definizione. Esempio, Redeker (1991) propone la

distinzione tra “ideational markers” e “pragmatic markers” nell’ambito della distinzione più generale

tra struttura ideazionale e struttura pragmatica del discorso, le quali rappresentano due aspetti

complementari di un unico paradigma di coerenza discorsiva. In questo quadro, la funzione

ideazionale dei marcatori riguarda la coerenza intradiscorsiva, ma si riferisce anche al livello

intrasoggettivo (cognitivo), facilitando l’elaborazione e la pianificazione del discorso; la funzione

pragmatica si riferisce, invece, al livello intersoggettivo, relazionali. Molto vicina alla posizione di

Redeker, più recentemente Maschler (1997) ha proposto una classificazione dei marcatori

relativamente a quattro diversi livelli: quello della relazione interperso¬ naie (più o meno riportabile

alla struttura pragmatica di Redeker), della referenza, della struttura e dei vincoli cognitivi (tutti e

tre riferibili alla struttura ideazionale). Più precisamente, la categoria referenziale comprende i

marcatori che hanno la funzione di segnalare rapporti causali, contrastivi, condizionali, di

coordinazione e disgiunzione nella conversazione. La categoria strutturale include i marcatori che

forniscono informazioni su come le diverse azioni conversazionali si connettono progressivamente

l’una all’a tra in termini di relazioni gerarchiche. Infine, la categoria cognitiva riguarda quei

marcatori che mettono in evidenza le informazioni circa i processi cognitivi del parlante in rapporto

al discorso in atto. Maschler (1997, p. 194)?4) decide alla fine che ogni marcatore possiede una

funzione relativamente non marcata e, in più, altre funzioni marcate che emergono di volta in volta

ei diversi contesti di conversazione. Ma, come aveva già rilevato che Schiffrin, esistono marcatori

per i quali è difficile individuare con precisione la funzione non marcata. Ira i fattori più importanti

che contribuiscono a orientare e a modificare il valore pragmatico dei marcatori sono stati

individuati la co-occorrenza con altre particelle e la posizione che essi occupano nel discorso

(Downing, Noonan, 1995). In particolare, Vicher e Sankoff (1989) mostrano, in una ricerca di tipo

quantitativo, che la oro occorrenza – che può essere anche di tipo olofrastico – privilegià certi

“luoghi”, come le aperture di turno e le interruzioni, identificate come keysites dal punto di vista

dell’interazione. Da questo punto di vista, i marcatori vengono visti agire come indici relaziona¬ li,

segnalando la posizione del parlante rispetto a quella dell’interlocutore, il tipo di relazione che il

parlante intende stabilire, o modificare, con l’interlocutore nei diversi turni della conversazione.

Il buon andamento di una conversazione richiede ai partecipanti una particolare attenzione agli

aspetti relazionali, essendo lo scopo di una conversazione non tanto, o solo, la reciproca

com)rensione ma anche il mantenimento della conversazione stessa. Aie logica cooperativa non

sta a significare che vi debba essere a tutti i costi una totale armonia tra i partecipanti. Si collabora

anche dissentendo, distanziandosi dalla posizione dell’altro: in molti casi, anzi, la conversazione

può procedere proprio grazie al diffe¬ renziarsi delle posizioni proposte dagli interlocutori. Anche la

ricerca .’asimmetria, l’affermazione di sé e del proprio punto di vista contro quello dell’altro fanno

parte della dinamica relazionaie della conversazione, nel rispetto delle regole della cooperazione.

Strettamente connessa a questo presupposto, una delle nostro gruppo di ricerca sui marcatori

pragmatici è che nel nostro gruppo di ricerca sui marcatori pragmatici è che nelle conversazioni

vengano continuamente espressi, per mezzo di alcuni dispositivi presenti nelle lingue (come la

modalizzazione dei verbi, ma anche attraverso dispositivi verbali e non verbali), tanto l’accordo

quanto il disaccordo, tanto il consenso quanto il dissenso, sia pure in modi e gradi diversi. Questa

prima ipotesi, proposta da Marina Mizzau, ha continuato a essere implicitamente alla base delle

nostre ricerche successive, anche quando le componenti del gruppo si sono orientate a elaborare i

propri lavori separatamente. Ora, l’ipotesi del doppio movimento, secondo la quale la cooperazione

conversazionale si realizzerebbe attraverso una costante dinamica delle due funzioni

interdipendenti accordo/disaccordo, è ritrovabile in forma esplicita in un recente saggio sulle

funzioni comunicative di Mizzau (1995). È l’espressione di questa duplicità funzionale che

consente lo svilupparsi di una conversazione. Il Disaccordo è stato visto in termini di dissenso

quando concerne il piano ideazionale, ossia quello dei contenuti; in termini di distanziamento

quando riguarda il piano della relazione. E così, l’accordo è consenso rispetto al livello dei

contenuti, avvicinamento verso la posizione dell’altro a livello relazionale. Come si è detto, l’ipotesi

funzionale del doppio movimento proponeva la messa in rapporto, grazie a diversi dispositivi fra i

quali i marcatori, di due piani distinti: quello della relazione e quello, informativo o ideazionale, dei

contenuti. Nella conversazione il rapporto che si stabilisce tra questi due livelli rappresenta anche

la realizzazione di ima coerenza, che non è solo intradiscorsiva ma anche interdiscorsiva. Rispetto

a questo punto, un riferimento obbligato è stato, e non solo per noi, la teoria di Orice (1975) che

rende conto, almeno in parte, della realizzazione di tale coerenza in termini di cooperazione e di

pertinenza. Esto quadro teorico, come sostiene Moeschler (1990), offre un modello della

comprensione della conversazione che non differisce sostanzialmente da quello relativo alla

comprensione di un qualunque testo, tranne per ima più accentuata dipendenza dal contesto e per

la presenza di regole strutturali. Sequenziali e rituali proprie alle conversazioni. Il riferimento a

Schiffrin è ineludibile. Secondo questa studiosa (1987, pp. 326-330), i “discourse markers”

rappresenterebbero le coordinate contestuali de discorso, le quali consentono il realizzarsi della

conversazione e ne garantiscono la coerenza, attraverso l’integrazione fra diversi piani (cono¬

scienza, significato, linguaggio, azione). )reve, il suo modello di analisi conversazionale propone

principalmente due piani non linguistici impliciti allo scambio linguistico: la struttura dello scambio

“exchange structure”), ossia le regole strutturali come sono state ascritte dagli etnometodologi, e la

struttura dell’azione (“action ructure”), che riguarda le intenzioni e gli scopi dei parianti. Un zo

livello, quello linguistico, viene detto ideazionale e riguarda la mantica e la struttura del discorso. A

questi tre livelli si aggiungo3 poi due dimensioni, ortogonali rispetto ai tre piani precedentemente

menzionati. Ossia: il “participation framework” (schema di partecipazione), nella cui descrizione

vengono riprese le distinzioni Goffman (1981) relative ai vari ruoli presenti nelle figure de variante”

e dell’”ascoltatore” e il loro grado di coinvolgimento e responsabilità nell’interazione. Schiffrin

aggiunge, infine, l’”infornation state” che è relativo alle capacità cognitive e all’organizzazione delle

conoscenze dei partecipanti all’interazione.

Dal punto di vista della coerenza intradiscorsiva e interdiscorsiva, i marcatori possono funzionare

secondo una modalità di tipo anaforico o, anche, cataforico. Come ben si sa, si parla di anafora

quando un particolare dispositivo linguistico si riferisce a un elemento del testo precedente,

riportandolo nell’enunciato attuale; di catafora, quando questo si riferisce, anticipandoli, a elementi

deld iscorso che verranno in seguito. Tuttavia la sua funzione non si esaurisce in quella di

segnalare un legame anaforico implicito con un antecedente del discorso: la realizzazione del

doppio movimento di appunto consiste nel concedere qualcosa all’altro per poi riappropriarsene;

nel confermare e, al tempo stesso, nel distanziarsi dalla posizione dell’altro operando un effetto di

ribaltamento. Oltre a quella del piano del testo, o dell’enunciato. Esiste un’altra direzione che i

marcatori indicano e riflettono: è quella della deissi, relativa al contesto dello scambio, alla

relazione con l’interlocutore.

Nell’ottica dell’ipotesi del doppio movimento, la fimzione indessicale dei marcatori conversazionali

risulta dunque centrale. In questo ambito, può essere interessante prendere in considerazione

l’uso dei marcatori rispetto alla dimensione della politeness, o cortesia. Brown e Levmson

propongono un’interpretazione della cortesia in termini di evitamento strategico del conflitto, ossia

come un insieme di re¬ gole universali, proprie a ogni cultura, che permettono agli individui di

riequilibrare il significato dei propri atti, moderandone il potenziale effetto di “minaccia” nei confronti

dell’altro. Rifacendosi a Goffman, Brown e Levinson parlano di “positive face”, riferendosi al

decoro, all’immagine sociale di una persona; di “negative face

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
10 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/01 Glottologia e linguistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher monica.des di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Linguistica generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Mucciante Luisa.