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Adesso de Sade si rivolge direttamente a Marat, confrontandosi esclusivamente con lui. Ciò si rifà
direttamente allo spettacolo messo in scena: la pantomima diseducativa dei ricchi portati alla
ghigliottina che trasformano in un trionfo la loro sconfitta. De Sade scompiglia le carte individuando
una dinamica completamente diversa: sta parlando dell’ancien régime. Si rivolge a Marat
commentando la condizione della società: coloro che possedevano tutto non sono dispiaciuti perché
sono profondamente corrotti. L’ancien régime era costituito da aristocratici che si annoiavano a
morte e da questo abisso di noia è scaturita la rivoluzione: adesso le uccisioni di massa si
configurano come un diversivo contro la noia, un piacere più profondo e sottile al di là della
sofferenza del patibolo, sia per chi assiste e sia per chi viene decapitato. E’ uno scenario inquietante
che scava l’apparenza della rivoluzione che dovrebbe portare al progresso.
Scena n.12
Comincia il vero e proprio dialogo. Viene ripresa la forma in uso nel Settecento dei dialoghi coi
morti, Totengespräche, una forma letteraria che si fece ricordo in ambito illuminista: si costruiscono
dialoghi immaginari con morti celebri per confrontarsi alla luce dell’oggi con le loro opinioni e
convinzioni. Il dialogo tra de Sade e Marat riprende questa forma: è un dialogo filosofico che di
teatrale ha ben poco. Il testo di Weiss ha una forte teatralità, ma il dialogo tra de Sade e Marat è
statico e opaco:
Marat prende la parola: si presenta come un ammiratore di de Sade e definisce immortali le
sue opere;
de Sade riprende la battuta di Marat dicendo che la morte è soltanto immaginazione:
rifiuterà ogni idea di modificazione e progresso perché convinto che non serva a niente.
Affermerò la necessità di vivere di immaginazione in mondi che lo scrittore stesso crea:
immaginazione contrapposta all’azione politica. La morte è qualcosa che abbiamo inventato
noi e la natura vi è indifferente: la natura non conosce né vita né morte. De Sade odia la
natura e la sua indifferenza, vuole vincerla e intrappolare. L’uomo moderno è nemico giurato
della natura, l’anti-natura per eccellenza. Il principio della filosofia di de Sade non tratta il
ripristino delle leggi di natura ma il combattere la natura e configurarsi come anti natura
con la violenza: l’unico modo per esercitare il potere con le stesse armi della natura, è
utilizzare la violenza e l’oppressione sugli altri esseri umani. Il mondo storico è soltanto
quello. Ma anche la violenza è terminata con l’ancien règime in quanto una volta si
uccidevano gli esseri umani in modo crudele e adesso non si fa più nemmeno quello: de Sade
ricorda provocatoriamente l’esecuzione di Damien che aveva cercato di uccidere il Re.
Adesso con la rivoluzione non ci sono nemmeno i supplizi spaventosi e crudeli con cui loro
avevano creduto di opporsi alla natura, adesso la morte è solamente un meccanismo. Così
de Sade interpreta la pantomima che abbiamo appena visto: le teste che rotolano sono un
fatto burocratico, a cui possiamo condannare intere popolazioni con un calcolo freddo fino a
che saremmo arrivati al punto di distruggere la vita. Questa è l’essenza della rivoluzione:
quella che poteva essere un’esaltazione della morte, intesa come emancipazione rispetto alla
natura, è un fatto burocratico che può perpetuarsi all’infinito nel futuro, destinato a non
concludersi mai, una condizione necessaria della storia umana;
Marat obietta che le cose possono cambiare, che c’è spazio per l’azione e la violenza non è
l’unico modo sulla natura. Accusa de Sade di proiettare sugli eventi storici la propria apatia;
de Sade concorda sul fatto che entrambi vogliono pensare gli estremi, ossia uomini che
pensano fino in fondo. Secondo de Sade, lui e Marat sono due spiriti forti in senso
settecentesco, capaci di pensare alle contraddizioni del mondo fino alle conseguenze più
estreme;
Marat ribadisce in modo netto la propria posizione: bisogna attaccarsi al proprio codino (Le
avventure del barone di Münchhausen) ossia spingere l’interno verso l’esterno. Marat si
presenta come un rivoluzionario a tutti gli effetti in quanto pensa in modo estremo fino in
fondo, affronta il paradosso e ha il coraggio di dire se qualcosa è giusto o sbagliato. Marat
oppone l’azione dell’uomo alla natura: la convinzione che l’umanità deve essere anti-natura
in de Sade si trasforma in passività mentre Marat è la convinzione che la posizione umana
contro la natura comporti azione. Ciò è rischioso ma bisogna avere il coraggio di compierlo
per cambiare le cose. Questo pezzo è stato interpretato come un dialogo a distanza fra le
due Germanie: la posizione della Germania ovest pessimistica, e la visione ottimistica dello
stato dei lavoratori della Germania est;
qui viene impostato il rapporto fra i due personaggi: l’osservazione degli aspetti più
spaventosi in de Sade e l’attività rivoluzionaria di Marat, a costo di sbagliare e fare delle
vittime;
segue una liturgia di Marat, presentato come un santo che sta per essere martirizzato;
interviene un matto disturbando la vicenda.
Scena n.15
Prosegue il dialogo tra Marat e de Sade:
Sade sostiene che per cambiare si deve conoscere se stessi, anche se gli esseri umano non
conoscono se stessi. L’uomo è un enigma per se stesso e ciò che noi facciamo è un’immagine
onirica di ciò che vorremmo fare: agiamo come se fossimo sonnambuli, ciò che chiamiamo
verità è un riflesso di esperienze che facciamo casualmente, dentro di noi c’è un fondo
spaventoso di violenza in cui non è possibile distinguere se siamo noi i carnefici o le vittime.
Essendo fino a questo punto un enigma, tutto ciò che possiamo fare nel mondo storico non è
altro che scatenare il mostro che alberga dentro di noi, (ed è ciò che succede). Tanto vale
vivere di immaginazione e crearsi i propri mondi fantastici in cui mettere in scena queste
dimensioni e porsi come osservatori passivi del mondo storico, che è immodificabile;
Marat non è convinto. Secondo lui con l’immaginazione non si cambia niente, tutti vogliono
qualcosa e bisogno agire per combattere la rivoluzione fino in fondo. Il popolo reagisce e
tenta di fare la rivoluzione rivolgendosi a Marat che proclama la necessità di andare fino in
fondo. Il dialogo di d Sade e Marat è esclusivo a due, in quanto de Sade si disinteressa del
testo che lui stesso ha scritto, non interviene quando qualcuno sfugge al copione, si rivolge
solo a Marat trasformando il dramma in un colloquio a due. Così il mondo esterno irrompe e
la rivoluzione si presenta come un focolaio in ogni momento: ad ogni battuta di Marat i matti
si sentono chiamati in causa e tentano di voler far rivivere la rivoluzione. Anche i pazienti si
rivolgono a Marat (morto).
Scena n. 21
De Sade sotto la frusta. Entra de Sade in scena, tranquillo, e consegnando a Corday una frusta
pronuncia un monologo facendosi frustare: mette in scena le proprie contraddizioni come concezione
novecentesca. Nel Settecento i contemporanei di de Sade non pensavano che le sue opere fossero
l’estremo smascheramento delle contradizioni dell’Illuminismo, di quanto di mostruoso c’è in questa
società dell’ancien régime. De Sade si accorge di non aver coraggio di uccidere un’altra persona e
non accetta la bestialità del popolo: cita infatti i massacri di settembre (presenti anche in Dantons
Tod). Nei mesi successivi ai massacri si è reso conto che questa violenza, che lui stesso ha previsto,
non è riuscito a sopportarla. La violenza si è trasformata in un gesto meccanico, ossia la ghigliottina
che decapita tutti e in massa. De Sade argomenta la rivoluzione come un trasformarsi da azione
eroica da bestialità pura a meccanismo. Nel colloquio con Marat, de Sade individua due rischi
connessi alla rivoluzione:
emersione di una violenza inimmaginabile, una brutalità che lui ha evocato e riconosciuto
• ma che de Sade stesso aveva lasciato confinata alla propria immaginazione. Adesso questa
dimensione è evocata dalla rivoluzione, un esito inatteso e pericoloso dell’azione
rivoluzionaria: la massa scatenata che fa emergere istinti spaventosi;
costruzione di uno stato oppressivo, quello delle dittature, uno stato macchina basato sulla
• burocrazia del Terrore dove tutti gli oppositori devono essere portati alla morte
meccanicamente: non esiste dialettica interna ma c’è una sola voce.
La rivoluzione francese, come evento traumatico alla base della nostra modernità, ma anche la
rivoluzione francese come inizio drammatico ripreso sulla base delle esperienze novecentesche
dei totalitarismi: analogia con la guerra e la burocrazia del Terrore del nazional-socialismo e
l’eliminazione sistematica degli oppositori. De Sade presenta provocatoriamente, alla luce delle
proprie riflessioni, la rivoluzione francese come il momento il cui la storia umana può evolversi
nell’una o nell’altra di queste direzioni. La risposta di de Sade è lo stare a guardare: visto che il
mondo storico procede con fatalismo, gli intellettuali lucidi possono solamente assistere ed
analizzare. L’unica cosa lucida che possono dire o fare è negare la possibilità di cambiare le cose:
l’azione è un’illusione pericolosa e ipocrita.
Da Marat, eroe e uomo onesto, possono scaturire tutti i futuri tiranni e dittatori. Anche la figura di
Marat è ambigua in quanto è stato ucciso quando intendeva farsi nominare dittatore, quindi ucciso
al “momento giusto”.
Riprendendo Büchner, osserviamo la riflessione di de Sade e il dialogo con Marat. La riflessione sulla
rivoluzione francese trova parallelismi meccanici con l’opera di Büchner in:
1. argomento;
2. intervento della massa;
3. struttura a dialogo serrato e dialettico fra i due personaggi principali (ricorda Danton e
Robespierre);
4. struttura del monologo di St. Just, sulla natura della rivoluzione;
5. riflessione filosofica del rapporto col mondo storico e la natura, ossia la possibilità della
rivoluzione in un decorso storico di modificare gli eventi.
Weiss con il colloquio affonda le radici nel cuore della riflessione di Büchner.
L’azione dell’assassinio di Marat si colloca ai margini del dibattito di natura ideologica. La
ricostruzione di un evento traumatico della rivoluzione francese si trasforma in qualcosa di diverso: il
delitto politico contro Marat, esponente principale, si tra trasforma in un assassinio a sfondo
sessuale per ragioni personali. La morte di Mara