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I racconti di Heym sono variazioni dello stesso tema: malato-criminale-folle. Di solito si sottolinea il
legame tra Lenz e Der Irre, il folle, di Heym: in realtà il collegamento formale e significativo in
quanto con questo racconto si introduce un altro aspetto, quello del ladro.
Ma il racconto più importante non è di Heym ma di Doblin, autore di Berlin Alexanderplatz, che
scrive nel 1911 un racconto dal titolo Die Ermordung einer Blatter Blume, l’assassinio di un ranuncolo.
Qu descrive la giornata di un impiegato borghese, un uomo comune ed anonimo che tornando a
casa impazzisce immediatamente ed inizia a fare la guerra con un ranuncolo che uccide
decapitandolo. Vedendo il fiore animato e consapevole del suo delitto, cerca di seppellire il
ranuncolo ma viene assalito da numerosi altri fiori che lo guardano male. Questo racconto vuol
mostrare come il borghese per eccellenza, da un momento all’altro con uno scatto immotivato, possa
diventare un essere diverso vedendo una realtà meno rassicurante, totalmente spaventosa e
angosciante. Si squarcia così il velo di abitudine che aveva avuto finora davanti agli occhi e vede il
mondo come morte, distruzione, dolore, paura, delitto e sofferenza. Il racconto esercita un grande
influsso nei giovani di generazione espressionista: è un vero e proprio modello. E’ il primo racconto
su questo tema.
Der Dieb si intitola così rifacendosi ad un episodio realmente accaduto ossia il furto della Gioconda
al Louvre. Il ladro, che portandola in Italia, ha ritenuto che la Gioconda avrebbe dovuto trovarsi
nella sua patria. Prendendo spunto da ciò, Heym scrive un racconto narrando una vicenda simile
presentato dalla prospettiva del protagonista cui si aggiungono alcuni inserti da parti di un io-
narrante esterno che fa da cornice. Il protagonista entra in scena immediatamente parlando con un
discorso diretto: “Dio ti giuro farò la tua volontà perché tu sei il Signore e io sono il tuo strumento. Sì,
la tua volontà deve esser fatta. Ti ho supplicato in ginocchio, lo sai notte dopo notte qui nel Getsemani
di questa mansarda, se è possibile, allontana da me questo calice ma sia fatta non la mia ma la tua
volontà. E adesso mi voglio calmare come un tempo Elia ha combattuto i falsi profeti o Mosè le danze
profane. Nemmeno una notte come questa passata, altrimenti perderò la ragione. Ho bisogno del mio
intelletto perché mi hai affidato una grande impresa”. Il racconto provocatoriamente comincia in
discorso diretto mentre parla un personaggio di cui non viene detto assolutamente niente (sono
presenti citazioni letterali).
Subito dopo notiamo l’inserto del narratore esterno: “Cadde in ginocchio e si inchinò davanti l’angelo
del Signore che stava dietro la stufa, là dove adesso era solito apparirgli tutte le volte. Poi si alzò,
prese il pacchetto e se ne andò”. Il narratore esterno si limita a registrare le visioni del protagonista,
l’osservazione presenta la realtà della visione. Il protagonista probabilmente confonde l’ombra del
cappotto con l’angelo del Signore, anche se ciò non viene esplicitato: il narratore assume la
prospettiva del protagonista e fa suo lo sguardo delirante e visionario.
Fin dall’inizio veniamo confrontati con una visione allucinatoria e siamo senza strumenti per poter
distinguere ciò che è reale e ciò che è finzione. Il discorso diretto è significativo perchè di quest’uomo
non sappiamo niente, né l’età né il luogo. Sicuramente il racconto è ambientato in un epoca
contemporanea ad Heym ma non abbiamo elementi che permettono di risalire a ciò (ad esempio
elementi descrittivi, caseggiati, mobili, rumori): non c’è nessun elemento realistico quindi
l’ambientazione è vaga. Ci troviamo in una grande città e sappiamo che è Parigi in quanto viene
detto che il protagonista vive a pochi passi dal Louvre: sono gli unici elementi realistici.
Il centro del racconto è il forte rapporto emotivo in una dimensione assoluta senza tempo. Il
personaggio si presenta come un secondo Cristo riprendendo le sue parole come nell’orto del
Getsemani. E’ il secondo Cristo perché il primo Gesù ha fallito: Cristo, che era stato chiamato a
redimire l’umanità dal peccato originale non ci è riuscito. “L’opera di Cristo era stata totalmente
inutile, come avrebbe potuto redimere gli uomini se questi erano destinati a ricadere sempre nel
peccato? ”dice il narratore: la sua opera non è servita in quanto Cristo non è riuscito ad eliminare il
male ed il male è nella donna. La femmina, come male originario, fu colei che condusse l’uomo in
tentazione ed è per questo motivo che gli uomini sono condannati a peccare (questo dimostra una
misoginia radicale). Ma Dio, attraverso il suo angelo, ha chiamato lui a completare l’opera di
redenzione di Cristo: si deve eliminare la donna partendo dal simbolo della donna per eccellenza.
“C’era un simbolo per questa femminilità verso il peccato e intorno a questo simbolo si raccoglievano le
donne e da questo simbolo traevano nuova forza come i serpenti che scendono sottoterra per rifarsi il
veleno” dice il narratore “E questo simbolo stava appeso sulla stessa strada nel suo tempio”. Il Louvre è
un tempio idolatra costruito intorno a quest’immagine del male, dove si radunano le donne e da esso
traggono nuova forza-veleno. Il folle identifica il simbolo con la grande meretrice di Babilonia di cui
si parla nell’Apocalisse, figura a cavallo di un mostro, e la identifica con la Gioconda.
Il suo compito è redimere l’umanità ingaggiando una battaglia con la donna attraverso il simbolo.
Ogni giorno va a Louvre e, considerato un innocuo visitatore con un pacchetto sottobraccio, si
avvicina mano a mano al quadro, guardandolo negli occhi e allontanandosi di continuo. Vede che gli
occhi sono beffardi e il sorriso è il segno della totale mancanza di umanità: ritorna un motivo
importante per gli espressionisti il “riso-sorriso” come negazione di empatia quindi disumanità. Sia
gli occhi che il riso della donna sembrano cambiare fino a che il ladro scopre che lei si è accorta di
lui e ricambia il suo sguardo, capisce che è suo nemico ed accetta di ingaggiare battaglia con lui
accompagnata da tutte le forze del male. Lui non riesce più a sostenere lo sguardo con la femmina
diabolica che ogni tanto sembra uscire dal quadro, altri nascondersi nel paesaggio, altre ancora
sembra maligna e altre bellissima soprattutto al tramonto quando la luce rossa le illumina il viso: ciò
sottolinea un rapporto ambivalente dove amore e odio si intrecciano.
L’angelo nascosto dietro il cappotto da al ladro l’ordine di agire ed il ladro col suo pacchetto entra
al Louvre, da una mancia ai custodi per stare oltre l’ora di chiusura, si avvicina alla figura e
toccandola si accorge di non venir bruciato al contatto, fino a che prende coraggio e staccandola
dal muro la mette nel pacchetto ed esce. Il giorno dopo tutto il mondo parla del furto della
Gioconda, degli innocenti vengono arrestati e vengono perquisite le navi verso l’America: il mondo si
interessa di questa notizia come se esistesse solo la Gioconda. Qui finisce la prima parte, la parte
ispirata all’evento realistico: la Gioconda poi venne recuperata.
La cesura è dei contenuti ma anche temporale: si nota infatti “Anni dopo”. Ci troviamo a Firenze in
una mansarda dove vivono, da tempo imprecisato, un vecchio e la sua amante la quale non è che un
quadro appeso. Il ladro, che aveva rapito la Gioconda, non era stato capace di distruggerla e si
era innamorato di lei sperando di esser ricambiato. Innamorandosi quindi il folle ha tradito la sua
missione: si sente abbandonato da Dio e fa professione di ateismo, passa alle forze del male
insieme alla sua donna e dichiara che Dio è morto e forse non è mai esistito. Ma la donna non lo
ricambia. Lui cerca di sfuggirle viaggiando per il mondo per anni fino a che ritorna e cerca di
convincerla ad amarlo di nuovo: minacciandola, facendo danze strane davanti a lei, supplicandola.
Poi ne copre il viso e spera di vedere una lacrime scenderle dall’occhio ma al contrario gli sembra di
udire la risata che la bocca della donna accenna. A questo punto non può quindi accettare di esser
deriso da una donna: deve essere eliminata. Prende un coltello e cava tutti e due gli occhi, poi cava
anche la bocca: l’immagine di bellezza assoluta viene deturpata e trasformata in un’orribile
maschera.
Il finale: qualcuno da fuori intravede una lingua di fuoco che uscire dalla mansarda, così vengono
chiamati i pompieri che trovano un vecchio accoccolato sul pavimento che fa strani versi e che non
vuole essere salvato. Con derisione indossa la maschera orribile d dove fuoriescono gli occhi folli e
dalla bocca fa le linguacce ai vigili del fuoco: è un simbolo forte. Prende perfino una sbarra e
fracassa il cranio ad uno di essi; gli altri cercano di scappare ma prendono fuoco e, già spacciati,
continuano a prendere a pugni il muro in una disperata richiesta di salvezza.
Der Dieb mostra la costruzione di uno stato patologico con la prospettiva del soggetto.
La componente è quella della follia religiosa: l’uso che il folle fa dei testi religiosi ci fa pensare a
Lenz, ma ribaltata nel suo opposto. La battaglia tra il folle e la donna è presentata da Heym come
una guerra destinata ad essere infinita tra l’assoluta mobilità della follia e l’immobilità senza
tempo della bellezza dell’immagine. La dimensione estetica, la Gioconda, sostituisce il sacro e
configura una nuova religione, una dimensione eterna, immobile e fuori dal tempo, una dimensione
che rimane impermeabile rispetto alle istanze e le esigente di un’umanità sofferente.
Il mondo della bellezza, che sostituisce il sacro, è crudele e impermeabile rispetto all’umana
sofferenza. Il ladro soffre terribilmente: i suoi stati d’animo oscillano da momenti di euforia e
momenti di assoluta disperazione, poli dove si muove la creatura del mondo moderno di fronte ad
una dimensione impassibile. Questo caso è rappresentato e simbolizzato dai quadri, qui il dipinto
della Gioconda.
Caratteristiche fondamentali de Il ladro:
abuso di riferimenti biblici (Apocalisse), aspetto preponderante. L’eccesso di riferimenti
• biblici serve ad inserire la vicenda di questo folle, outsider, in una dimensione assoluta mitico-
religiosa. La vicenda di miseria e follia è del tutto contemporanea. Gli accenni alla
contemporaneità sono scarsi ma risulta evidente che siamo tra il ’10-‘11 a Parigi, e
successivamente a Firenze. Questa vicenda individuale di una patologia viene proiettato su<