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Egli s’interessa dello statuto epistemologico della pedagogia e la formazione del carattere. Lo statuto epistemologico
della pedagogia di Petruzzellis lo delinea partendo dalla critica di due unilateralità: il filosofismo onnivoro di Gentile e
le concezioni che inclinano verso lo scientismo e l’empirismo. Tesi tipiche della pedagogia attualistica sono: l’identità
tra maestro e scolaro, la coincidenza tra psicologia e morale, tra essere e dover essere, tra fatto e valore, l’identità
tra filosofia e pedagogia e tra il sapere e il saper insegnare. Il procedimento a cui Gentile fa ricorso per legittimare la
serie delle identificazioni che caratterizzano il suo sistema appare illegittimo a Petruzzellis: esso consiste nel
trasformare in modo ossessivo ogni rapporto di implicazione reciproca in affermazione d’identità. Il timore di
Petruzzellis era che la pedagogia diventasse soggetta ad altre scienze sperimentali e naturali, rinunciando alla
propria autonomia. Questa paura nacque all’affermarsi delle pedagogie con l’aggettivo: pedagogia scientifica,
sociologica e psicologica, con l’irruzione della pedagogia angloamericana nel panorama culturale italiano. Insomma
se la pedagogia genti liana trasformava il rapporto di implicanza tra filosofia e pedagogia nella tesi della loro
puntuale identità, le pedagogie extra e antifilosofiche tendono a fare coincidere la pedagogia con l’una o l’altra delle
scienze empiriche con cui essa entra in relazione, senza individuare ciò che fa della pedagogia una scienza
autonoma. In conclusione la pedagogia non è l’una o l’altra delle scienze naturali o delle scienze morali, tantomeno
il loro collage. Ogni scienza può dare contributi alle altre ed essere considerata ausiliaria e tale da essere
individuata da problemi inconfondibili. Il fatto stesso di non podere escludere l’aspetto filosofico dalla pedagogia ha
dato l’avvio a tentativi di soluzioni definiti “ibride”. Petruzzellis si è occupato anche di formazione del carattere.
Questa è la fase più ardua e complessa dell’educazione ed è, anche nel linguaggio corrente, l’educazione per
antonomasia. Il concetto di “avere un carattere” deriva da Kant e significa avere le proprietà del volere, secondo cui
il soggetto si determina da sé in base a principi che egli si è prescritto con la propria ragione. Il carattere è quindi
l’atteggiamento costante della coscienza e della vita in armonia con principi razionali. Il carattere è collegato al
temperamento, ma si distingue dalla personalità umana: si tratta di un insieme di tendenze personali consce e
inconsce native. Nell’educazione morale c’è un momento negativo indiretto ed uno positivo diretto. Il momento
negativo fa si che non siano misconosciute le facoltà e le esigenze più genuine della natura umana e che l’animo dei
ragazzi sia corrotto dal mondo adulto. Esso richiede di essere arricchito dal metodo positivo, che si esplica
attraverso l’azione delicata, diretta dell’educatore, nel rapporto con l’educando e attraverso gli organi educativi.
L’educatore deve rafforzare le voci profonde della coscienza dell’educando, aiutare il ragazzo a riscoprire l’interiorità
della legge morale e gli è da guida nel cammino verso una vita saggia con la sua saggezza e insegnamento. La
formazione del carattere avviene attraverso 2 vie: insegnare a riflettere sulle cose e sulla vita interiore ed educare
ad esercitare la libertà di scelta morale. Contro l’impulsività deve esserci la riflessione sollecitata dall’educazione. Al
contrario di quello che dice Rousseau, anche il bambino ha la facoltà di ragionare in base alla propria esperienza e
alla sua immaginazione. Anzi, il loro ragionamento è acuto e giusto, ma materialmente errato per mancanza di
esperienza. Petruzzellis ritiene importante il contributo della religione nella formazione del carattere, proprio come
ritiene Rousseau. La religione da all’azione umana una prospettiva di eternità e avvalora le leggi e le esigenze della
coscienza morale, che l’educazione ha il compito di risvegliare e rendere operanti nel fanciullo. Anche quando si
parla di autorità bisogna considerarla come morale. La sapienza dell’educatore consiste nel saper identificare i
mezzi utili a far sì che il discente senta il bisogno di conoscenza e che l’educatore gli faccia da guida. Il docente
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deve conoscere a fondo ogni alunno per saper comunicare in maniera diversa con ognuno. Nonostante
l’insegnamento più efficace sia quello individualizzato, il fine dell’educazione è unico per tutti: far sì che il discente si
ponga degli obietivi e che agisca secondo valori. Nella prefazione del testo “Maestri di ieri” Petruzzellis afferma che
ogni epoca e ogni pensiero vanno considerati come dei mattoni del cammino dell’uomo che cerca la verità per
raggiungere dei successi.
GIUSEPPE CAIATI: uno degli educatori meridionali più umili e coraggiosi che rimase fedele per tutta la vita ai suoi
ideali di libertà, giustizia, amore e pace. Egli nasce a Bitonto nel 1978 da famiglia modesta,incontra nel suo percorso
il pedagogista Giovanni Modugno che lo aiutò nell’approfondimento della sua cultura, portandolo a superare da
privatista gli esami di licenza della Scuola Normale diventando maestro elementare. Aderì al partito socialista che
però conservava ben poco della concezione scientifica e materialista di Marx. Nel 1912 incontrò Gaetano Salvemini
profondo conoscitore dei problemi della Puglia da cui venne attratto per la sua azione moralizzatrice ed educativa a
favore degli umili, per l’alfabetizzazione e l’elevazione del popolo. Durante il fascismo si oppose al regime senza
venire meno ai suoi ideali di libertà, continuò ad
insegnare e ad educare i giovani, a studiare e a far ricerca, mostrandosi sempre attento ai problemi politici e sociali
del paese. La ricerca storica coinvolse Caiati per tutta la vita, poiché la conoscenza della storia era indispensabile
per costruire degnamente il presente. Non si poteva educare le masse senza studiare il passato che ha generato il
presente. Il passato è sempre vivo, interessa tutti e vive in tutti, perciò il suo interesse è scoprire l’uomo che cerca
l’uomo, l’umanità, i valori della libertà, la verità e la giustizia. Nei suoi manuali il passato parla alla sua mente e al
suo cuore di civiltà, di valori dello spirito ed egli ci trasmette la loro presenza per educarci. Con lo studio della storia,
i giovani dovevano riflettere e arricchirsi acquistando maggiore consapevolezza morale e civico-politica. Solo
attraverso la conoscenza della storia è possibile migliorare il mondo, a patto che non venga meno la fede nei valori
dello spirito e il coraggio nell’operare. Egli considerava la vita come una missione, impegno e testimonianza
possibile solo chi ha una mente e un cuore ricco di ideali. Solo l’uomo che vive alla luce dei propri valori è superiore
agli alti che invece si fanno guidare dall’istinto e sono delle bestie. Per Caiati il sentimento di giustizia è la sintesi di
tutti i valori morali. L’educazione è educazione morale e coinvolge sia l’educando che l’educatore; richiede da parte
dell’educatore che sia raggiunta una maturazione etica della personalità. Il compito della scuola era quello di
educare gli educandi ad agire secondo le esigenze della società. Il suo concetto di educazione morale coincideva
infine con l’educazione civico-politica; l’ideale della democrazia poteva essere realizzato solo con l’educazione, per
poter salvare l’avvenire dell’educazione della Nazione dallo sfacelo morale, dal materialismo e dallo sfruttamento
che rappresentano i mali della società e che chiamano l’educazione e la pedagogia a farsi carico di queste
emergenze. I valori come verità, certezza, giustizia, bellezza, bene scaturivano solo dalla certezza dell’esistenza di
Dio. Il giusto operare è mosso dalla coscienza del dovere, illuminata da Dio, e non dal premio finale, poiché le
buone azioni non sarebbero realmente libere. Il primo dovere del cristiano è di aiutare il prossimo come sé stessi.
Egli considerò il Cristianesimo superiore ad ogni altra dottrina per la sua efficacia morale e pedagogica della vita.
L’aspirazione a vivere una religione di spirito e di opere piuttosto che di fede e parole fece sì che egli non si
convertisse al Cristianesimo, perché caratterizzato da formalismo, esteriorità e fariseismo. La sua fede religiosa era
più autentica del Vangelo e il Cristianesimo era dentro di noi, nei cuori e nelle azioni. Con il tentativo dei socialisti di
portare alla ribalta le masse popolari per renderli più attivi, Caiati divenne socialista,continuando ad esercitare la
figura di insegnante per poter migliorare le condizioni di vita del popolo. Quest’opera d’istruzione era necessaria nei
paesi del Sud, dove la popolazione era analfabeta e vi erano pochi elettori. Bisognava bonificare il costume del
Mezzogiorno e formare nel popolo una coscienza politica affinchè votassero. L’esigenza di un’educazione
democratica e antifascista del popolo fu l’obiettivo principale perseguito da lui attraverso gli scritti, la coerenza
morale e la testimonianza di vita. Caiati amava i giovani e confidava nel loro desiderio di libertà, ma sapeva anche
che erano facilmente influenzabili. Non perdeva tempo per ammonirli a non farsi ingannare dalle apparenze della
politica fascista, poiché la grandezza di un individuo non si dimostra con la ricchezza ma dal suo grado di civiltà ed
educazione. Per lui l’educazione oltre che socialista e civico-politica doveva essere repubblicana: aveva maturato
l’idea che la sovranità appartiene al popolo e che la Repubblica è la forma migliore di governo per realizzare gli
interessi materiali e spirituali dei cittadini. La scuola per lui era il luogo della cultura vera, la sola che illumina le
coscienze e orienta a uno stile di vita coerente con i valori professati e intransigente verso la meschinità e i
compromessi. Quando divenne maestro non dimenticò la tediosa scuola dei banchi e trasformò la sua classe in una
comunità serena, gioiosa. Aderiva così all’attivismo pedagogico che intendeva mobilitare tutte le energie degli alunni
durante la crescita culturale ed educativa. Il suo amore spontaneo per i giovani e per il loro futuro di uomini degni
che lo portava a insistere presso le famiglie povere affinchè non avviassero precocemente i figli al lavoro,
sottraendoli alla frequenza scolastica. Caiati non aveva dimenticato le sue origini umili e i disagi per poter studiare,
per questo capiva perfettamente i bisogni de