Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
IL ROMANZO SECONDO IMPERO (1848-1870)
CONTESTO Il 24 febbraio 1848 un’insurrezione popolare portò alla Repubblica, concludendo quella monarchia
costituzionale che aveva assicurato libertà e prosperità, ma accentrato il potere nelle mani di pochi e favorito le loro
rendite finanziarie. Per difendere tali privilegi, la guardia nazionale era già intervenuta più volte. Fatali per gli Orléans
una congiuntura economica sfavorevole e l’unione delle opposizioni di sinistra (bonapartisti, repubblicani, socialisti), fra
loro in contrasto; Lamartine fu poi emblema di questo movimento, che instaurò Repubblica e suffragio universale
(uomini), e portò gli elettori a 9 milioni. Il compromesso però durò poco, e presto ripresero gli scontri fra radicali e
socialisti contro i moderati: a giugno una nuova insurrezione operaia, repressa dal generale Cavaignac, vinse causando
il crollo della Repubblica, nella quale il popolo non si riconosceva; i liberali, come Lamartine furono quindi abbandonati
dai borghesi, poiché ritenuti incapaci di mantenere l’ordine. Il partito dell’ordine poteva poi contare sulla paura dei
possidenti, sui contadini e sulla Chiesa, e trovò il suo campione in Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone. In breve,
contrariamente alle aspettative di Thiers, questi si impose: nel dicembre 1848 fu eletto presidente della Repubblica, e
promulgò leggi restrittive sulla libertà di stampa e associazione, epurando poi il suffragio universale; nel dicembre 1851
si attribuì tutti i poteri, e Hugo partì per l’esilio, mentre con un plebiscito furono condannati ed espulsi migliaia di
sospetti; a novembre, infine, fu restaurato l’Impero. Il 2 dicembre 1851 Luigi fu nominato Imperatore con il nome di
Napoleone III (“il piccolo”, come dispregiativamente chiamato da Hugo). Questa prima fase durò fino al 1860, quando il
blocco conservatore si sfaldò: dopo la guerra in Italia, i cattolici si lamentarono del sostegno dato da Napoleone al
Piemonte. Gli industriali protestarono contro il libero scambio firmato con l’Inghilterra, e abbandonato dagli alleati (e
arginato dall’opposizione), l’imperatore fu costretto a una politica più liberale e a una maggiore considerazione per il
Parlamento. Le riforme si succedettero e l’opposizione crebbe, costringendo il regime a riformarsi; nel 1870, però, la
sconfitta contro la Prussia ne provocò il crollo. Sotto l’autorità di Napoleone III la Francia assistette a una drastica
rivoluzione industriale, raccontata – a regime caduto – da Zola, nei romanzi del ciclo Rougon-Macquart: sorsero grandi
banche e la circolazione monetaria triplicò (Il denaro); la rete ferroviaria venne quintuplicata (La bestia umana);
l’industria (Germinal) si ramificò e la macchine a vapore aumentarono; Parigi divenne un enorme cantiere, portato
avanti dal prefetto Haussmann (L’ammazzatoio); nacquero i grandi magazzini (Il paradiso delle signore): gli affari si
svilupparono grazie alle speculazioni, spesso avvallate dalle autorità, e questa nuova borghesia arredava lussuosamente
le proprie case con quadri di prestigio; il lusso si accompagnò alla crescita della vita mondana: si riempirono i teatri,
trionfò la musica di Offenbach, ed emblematici furono l’edificio dell’Opéra e Morny, fratello dell’imperatore, elegante,
affarista e donnaiolo. Parallelamente, il positivismo rivoluzionò la cultura, vincolando la ricerca all’esperienza,
indirizzandola all’analisi dei fenomeni, a prescindere dalle loro cause. Comte pubblicò il Catechismo positivista, mentre
Littré laicizzò la nuova filosofia. Pasteur e Bernard, nell’Introduzione allo studio della medicina sperimentale, offrirono
una lezione di metodo, e in generale si estese la mentalità scientifica. Taine, nella Storia della letteratura inglese,
affermò provocatoriamente che “il vizio e la virtù sono prodotti, e ogni dato complesso nasce dall’incontro di dati
semplici”. Renan, nella Vita di Gesù, trattò il Messia come un uomo incomparabile, ma pur sempre un uomo, suscitando
la rabbia dei cattolici. Corrispettivo sociale del Positivismo fu il saint-simonismo, depurato dei rituali mistici e delle spinte
egalitarie e ridotto a incitamento delle forze produttive; del movimento, in gioventù, aveva fatto parte lo stesso
imperatore. Nonostante la censura, la rivoluzione si estese all’editoria: Hachette iniziò a pubblicare le sue collane,
vendute nelle stazioni; Lévy creò la collana delle migliori opere contemporanee, che in un anno contarono 211 titoli; dal
1854 furono promosse le opere di Stendhal, ancora sconosciute; Flaubert pubblicò Madame Bovary; Larousse i Grandi
Dizionari. Hetzel, intanto, oltre Hugo pubblicò Verne; Garnier inaugurò una collana di classici, e perfino i cattolici
crebbero con la casa editrice guidata dall’abate Migne. La produzione crebbe, gli autori furono sempre più tutelati e il
denaro iniziò a circolare. A causa delle politica repressiva, solo negli anni Sessanta un’analoga espansione poté
interessare i giornali: modello della stampa popolare fu Le Figaro, settimanale divenuto poi quotidiano; il giornale più
diffuso era però Le Petit Journal, fondato dal finanziere Millaud, che oltre alla cronaca nera e a quella rosa proponeva
un romanzo-feuilleton affidato a du Terrail, Féval e Gaboriau. Il regime tentò quindi di tutelare arte e letteratura: le
commissioni di selezione tenevano fuori dai Salons lo scandaloso Manet; la censura nei teatri fu inasprita e si tennero i
processi contro Baudelaire e Flaubert per I fiori del Male e Madame Bovary. Nei teatri si promosse il divertimento e nei
romanzi un’arte edificante, che non contestasse le gerarchie fra classi o sessi; gli autori più in vista, poi, venivano
premiati con l’ingresso all’Accademia. D’altra parte, l’opposizione fu scarsa: Sainte-Beuve divenne senatore; Sand si
allineò e tentò di convertire l’imperatore; Mérimée divenne esponente di spicco della corte e quasi smise di scrivere.
Essendo Hugo e Sue in esilio, all’opposizione rimasero il pittore Courbet e l’amico Champfleury, la cui pubblicazione fu
interrotta. Flaubert, Goncourt, Gautier non riuscirono invece a opporsi: in primis per la loro estrazione borghese, in
secundis perché il loro disgusto per la società si esercitava in egual modo contro tutta la realtà sociale.
L’EREDITÀ DI BALZAC. DUE GENERAZIONI A CONFRONTO A dispetto di Saint-Beuve, Balzac fu considerato un maestro
per i romanzieri del Secondo Impero. La critica cattolica e reazionaria, nemica del romanzo in quanto corruttore, non
smise di attaccarlo, mentre la Revue des Deux Mondes, con cui ebbe rapporti burrascosi, non smise mai di svalutarlo
meschinamente. A partire da Flaubert e Baudelaire, però, i nuovi autori lo considerarono un genio, e perfino Stendhal,
poco noto in vita, fu ripreso. Dei suoi romanzi furono entusiasti i giovani dell’Ècole Normale, fra cui Taine, Duranty e
Jules d’Aurevilly; Flaubert, invece, ne disprezzava lo stile. L’influenza di Balzac si esercitò in modi diversi: alcuni lo
reputarono un realista, altri un visionario; altri ne assorbirono la lezione superficialmente, altri lo ritennero il paragone
costante per misurare la propria originalità. Subirono la sua influenza il cattolico d’Aurevilly e il suo nemico Champfleury,
ma ne recarono traccia anche Flaubert e Feullit. L’unanimità intorno a Balzac parve dettata da due motivi principali:
l’essere il predecessore illustre, avente il merito di aver riscattato il romanzo, ancora gravato da pregiudizi, e il fatto che
durante il Secondo Impero, una generazione di scrittori fortemente realisti avversasse la tradizione romantica. Perfino
Flaubert, il più incline in tal senso, fu sempre sarcastico nei confronti di Hugo; Balzac, giudicato visionario o realista,
annientò l’opposizione fra romantico e realista, conservatorismo e progresso, garantendo l’unione fra generazioni.
IL REALISMO SECONDO MURGER, CHAMPFLEURY, DURANTY Balzac non fece mai uso del termine “realismo”, e fino al
1850 si parlò soltanto di un sentimento diffuso. Le prime discussioni iniziarono a fine anni ’50, attorno ai quadri di
Courbet, accusato di praticare il culto del brutto; le prime formulazioni sistematiche si ebbero invece con Champfleury,
che nel 1856 redasse una Gazette (sopravvissuta due numeri), e Duranty, che pubblicò sei numeri di una rivista,
Realismo. Sempre nel 1856 apparve Madame Bovary, estrema rappresentazione di questa tendenza. Prima di questi
anni il termine era stato utilizzato dai giovani artisti del caffè Momus, di cui facevano parte Courbet, Nadar e Murger,
Champfleury e Baudelaire. Accomunati da gioventù, povertà, ambizione e disgusto per la vita borghese, essi furono i
primi proletari della letteratura; opposti alla poesia romantica (spesso alla poesia tutta), prediligevano poi soggetti bassi,
scandalosi e umili (per l’attenzione alla classe operaia si noterà Zola): si trattava di artisti d’opposizione, intenzionati a
dipingere la vita fedelmente, non secondo l’idealizzazione del regime. Il termine realismo, quindi, ebbe inizialmente
significato estetico e politico. Le Scene della vita di bohème (1851), di Henry Murger, furono il manifesto di questo primo
realismo. Si tratta di una serie di bozzetti che idealizzano vita e amori di quattro studenti squattrinati, proposti con uno
stile gaio e inserti patetici, mentre la trasgressione è circoscritta alla giovinezza, zona franca della vita in opposizione a
quella vera, identificabile con lavoro e famiglia, diversamente da quanto proposto da Balzac, che la riteneva un’età
cruciale. Si tratta di vagheggiamenti innocui da parte di borghesi, e lo stile bohème predilige il racconto digressivo e
scucito (“eccentrico”), in quanto la trama viene considerata una imposizione. È evidente poi il sentimentalismo
melodrammatico alla Musset, e di realista resta in definitiva la miseria e il soggetto basso. Champfleury, grazie al favore
della vedova, fu nominato esecutore letterario di Balzac; la prima preoccupazione fu quindi di sganciare il Realismo dalla
bohème, e lo fece con Le avventure della signorina Mariette. Per acquisire autorevolezza la nuova estetica non poteva
rimanere infatti in mano a dei giovani sconclusionati, e l’autore la dotò quindi di una cronologia illustre, con scrittori del
calibro di Diderot, Challe e Balzac; le attribuì una guida in Courbet, e cercò di darle caratteri fondamentali: il Realismo
doveva consistere dell’osservazione fedele della realtà contemporanea – specialmente degli umili, più sinceri – e
nessuna indulgenza doveva essere concessa alla falsa poetica idealizzante. L’artist