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6- OLTRE I LIMITI DELLA PAROLA
Seguendo linee filosofiche e letterarie aperte da Hegel e Nietzsche, da Kafka e Mallarmé, scrittori come Georges Bataille
o Maurice Blanchot portano la loro riflessione sulla legittimità o meno di una scrittura che interroghi l'inconoscibile,
l'assenza, il silenzio, la nudità dell'essere di fronte a esperienze estreme come estasi, sacrificio o morte.
L'interrogazione parte dall'ambiguità del linguaggio, e dalla sua doppia funzione letteraria ed utilitaristica: essi
privilegiano modi di scrittura "sacrificali", poiché rinunciano al senso referenziale e adottano un linguaggio
volontariamente oscuro.
Le loro opere assumono inoltre contorni "impossibili": la narrazione trasporta in tempi e luoghi non riconoscibili, privi di
referenze identitarie dove l'esperienza non può che essere "interiore" (Bataille), la presenza umana intangibile
(Blanchot), la parola non referenziale (Des Forets), la vita e la morte indistinguibili (Bousquet), la fisica e la metafisica
intercambiabili (Klossowksi).
La loro produzione si realizza lontano dal mondo e dalle cose, in uno spazio (l'espace littéraire di Blanchot) che è quello
ignoto della morte, invitando il lettore a uno spostamento ai confini di sé stesso.
I romanzi di Georges Bataille (1897-1962) costituiscono un avvicendarsi di quadri scabrosi (venne accusato di
pornografia), dichiara l'impossibilità della conoscenza e avvia il suo lettore verso un "sistema incompiuto del non
sapere", privo di qualsiasi sistematicità e di qualsiasi ipotesi affermativa.
Sotterraneamente presente in tutte le sue pagine, l'idea Nietzschiana della morte di Dio trova il luogo maggiormente
rivelatore in "L'Abbé C", 1950, dove la morte del protagonista esemplifica uno dei concetti chiave dell'opera bateilleana,
ossia la "sovranità" dell'essere prosciolto dall'asservimento a qualsiasi vincolo di natura morale, sociale, religiosa o
costituito a qualsiasi corpo materiale.
La letteratura appare invece disincarnata in Maurice Blanchot (1907-2003), prodotta da una parola estranea al mondo. La
sua produzione narrativa è occupata da due diverse fasi:
1- anni 40: testi che si apparentano alla forma del romanzo, come "Thomas l'obscure", 1941, "Aminadab", 1942
2- include una serie di récits dove scompaiono i riferimenti al mondo concreto, le coordinate spazio temporali e quelle
identitarie
A partire da "L’Arret de mort", 1948, la sua scrittura si dematerializza ancor più e scompaiono quasi del tutto i
riferimenti al mondo concreto, le tracce di un contesto diventano estremamente labili, i luoghi sono fatti per esaltare la
"solitude essentielle" dei personaggi che vi sostano o li attraversano come ombre.
Questo perché la parola letteraria conduce secondo Blanchot in spazi "altri" (il dehors), e fa uso di una parola "altra": non
una parola che "non ha nulla da dire", ma una parola che "ha il nulla da dire", che non può che negare se stesso.
E' significativa dunque la riscrittura di Thomas l'obscur nel 1950, dove epura il testo del 41 delle scene mondane e di
qualsiasi indicazione referenziale.
In Joe Bousquet (1897-1950), infermo costretto per 30 anni all’immobilità, la scrittura si fa testimonianza di una
esistenza esiliata dal corpo. I suoi primi romanzi si inquadrano nel clima surrealista, le opere della maturità ("La tisane
des sarments", 1936, " Le passeur s'est endormi", 1939) testimoniano un desiderio di spostamento, attraverso la scrittura,
dall'essere di carne a quello di pensiero, mentre in romanzi prossimi all'autoritratto, come "La neige d'un autre age",
1952, raggiunge i teorici della "letteratura "colpevole" ed estende i poteri distruttivi della letteratura all'intera comunità
("perché scrivi? contro chi scrivi? sono interrogatori ricorrenti).
Anche Louis René des Forets, 1918-02000) ha interrogato il linguaggio letterario nella convinzione che in ogni scrittore
alberghi la tentazione di un "silenzio definitivo".
7- L'OMBRE DELLA MORTE E IL SENSO DELLA VITA
In un'epoca di allarmi sociali, derive politiche, ideologie aberranti, malessere, il romanzo continua ad essere il mezzo
privilegiato di espressione della perdita delle illusioni, dell'impatto con una società frustrante, della scoperta del non
senso dell'esistenza.
Il mutamento delle problematiche e le nuove prospettive sull'uomo producono un profondo rinnovamento della scrittura
narrativa, si consuma la rottura con una tradizione di analisi psicologica, osservazione sociologica e di un'applicazione di
supposte leggi dell'ereditarietà di cui il romanzo ottocentesco aveva fatto i suoi principi.
Il rifiuto della psicologia diventa un criterio di modernità romanzesca.
Henry de Montherlat (1896-1972) rappresenta uno dei personaggi più discussi della Francia postbellica a causa del suo
impegno collaborazionista e del suo atteggiamento favorevole al governo di Vichy. La sua scrittura è percorsa da una
spiccata tendenza al nichilismo di stampo nietzschiano e propone alcuni temi dominanti: l'amore per le civiltà
mediterranee e per le vestigia eroiche del mondo greco e latino, una vena misogina, l'esaltazione delle virtù virili di
antico stampo aristocratico.
Nei romanzi di Robert Brasillach (1909-1945) il tempo minaccia la consistenza del reale e dell'io: questo senso della
labilità del tempo trova espressione in una ricorrente presenza dell'elemento liquido, sia come metafora che come
elemento che compenetra e derealizza il paesaggio, la città, la notte.
La tematica dell'amore condiviso e impossibile, del conflitto tra innamoramento adolescenziale e amore coniugale è
riattualizzata dalle inquietudini dell'epoca e dall'evocazione di grandi scenari della storia europea.
L'interesse fondamentale del romanzo è nel virtuosismo della sua costruzione, che presenta dissociati i sette "colori" del
prima romanzesco: racconto, lettere, diario, riflessioni, dialogo, documenti, discorso.
Nell'opera di Céline (pseudonimo di Louis Ferdinand Destouches), 1894-1961, si dispiega l'ideologia di una natura
umana in preda alla vertigine della distruzione e dell'autodistruzione, di una possibile complicità con la morte, di una
presenza forte del Male, visione del mondo che si cristallizza fin dal primo romanzo "voyage au bout de la nuit"; 1932
("la verità di questo mondo è la morte").
La tirannia del Tempo è volta in derisione nella "farsa" della durata ed è tradotta in dispersione spaziale: "c'est tenir
ensemble qui est difficile".
L'uomo è animato da una forza eccentrica o centrifuga, viene abolita ogni gerarchia tra umano e non umano e tutto
travolge nello stesso caos organico, connotato dalla ripetizione ossessiva degli stessi aggettivi.
Il tratto costitutivo del suo personaggio Bardamus è una pulsione di attaccamento alla vita, accompagnata dalla capacità
di apprendere rudimentali leggi di sopravvivenza al contrario del suo alter ego, Robinson, il personaggio con cui Céline
liquida il capostipite del romanzo d'avventure, rendendolo cieco e facendolo morire in una banale storia di gelosia.
L'assurdo della condizione umana declinato come rottura con il mondo e senso di estraneità diventa oggetto unico
del racconto con "La Nausée", 1938 di Sartre e "L’ètranger", 1942 di Camus, entrambi portatori di una nuova poetica che
non concede nulla all'illusione romanzesca, come riconoscerà Alain Robbe Grillet.
Jean Paul Sartre (1905-1980), che confessava di voler essere "Stendhal e Spinoza insieme", darà forma narrativa ad una
riflessione filosofica, in parte affidata al diario, e quindi alla coscienza, del suo personaggio in un complesso gioco
intertestuale.
L’interrogativo sul senso della vita diventa l'esplorazione di un processo di perdita del senso e rivelazione di una verità
solo apparentemente nascosta, che per vedere bisogna cambiare lo sguardo sul mondo e su noi stessi liberandoci delle
griglie mentali. Questa è l'operazione che Sartre fa compiere al suo personaggio Roquentin: prendendo avvio un "Lunedi
25 gennaio 1932" per annotare un'alterazione nel rapporto con gli oggetti, i 28 giorni del suo diario disegnano un
percorso di liberazione che è anche abbandono, perdita, degli strumenti logici di comprensione del reale fino a una
conoscenza in forma di "illuminazione": l'esortazione gidiana (“les norritures terrestes”, “l'immoraliste”) a "cambiare
sguardo", a spogliarsi degli abiti mentali consuetudinari è portata al parossismo. Ad accompagnare questo percorso è un
"immenso disgusto", una nausea, è un'immensa noia metafisica.
La forma diario, forse suggerita dai "Quaderni di Malte Laurids Brigge" di Rilke, è funzionale a fare di un'idea filosofica
l'oggetto di una scoperta poiché permette di portare il personaggio e il lettore alla scoperta dell'assurdo, ed è inoltre
funzionale all'intenzione esplicitata da Roquentin di "vederci chiaro" in una situazione di crisi incombente.
Si realizza cosi la definitiva liquidazione della mitologia del viaggio come via privilegiata per fare nuove esperienze,
acquisire conoscenza, vivere l'avventura: la Nausée fa propria la scoperta che non esiste un altrove dove vivere un
tempo, un'avventura, il viaggio offre solo il fantasma di ciò che si era sognato percorrendo atlanti e libri. Propone invece
un'altra forma di avventura, ossia l'incontro con la gratuità dell'esistenza, ed un’altra paradossale forma di evasione,
l'uscita da sé, in "un'estasi orribile" di fronte alla radice di un castagno nel giardino pubblico.
Le cose, non assoggettate a un'intenzione che dà loro un senso e un’utilità, acquistano un'autonomia che le assimila al
mondo animale, si confondono in "masse mostruose e molli".
La problematica dell'esistenza interseca quella della temporalità: spetta alla musica la funzione di rappresentare una
temporalità alternativa, fondata sul senso di irreversibilità.
La stessa irreversibilità attraverso cui il racconto trasforma il vissuto, dotandolo di senso, facendo un'esistenza una
biografia, del fatto più banale un'avventura.
Conclude Roquentin "occorre scegliere: vivere o raccontare", sancendo la necessaria separazione dell'immaginario dal
reale per poter vedere il mondo reale. All'immaginario è affidata la possibilità di giust