Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
I sistemi alimentari industriali, su vasta sala e globalizzati non sono sostenibili perché si
basano su una falsa economia, a livello tanto produttivo quanto distributivo. La soluzione
dei problemi legati alla fame e alla povertà risiede ne promuovere le piccole fattorie
ecologiche, ispirate alla biodiversità, che non commettono sprechi utilizzando meno
energia risorse naturali, riducono i costi dei fattori produttivi e realizzano una maggiore
quantità di prodotto nutritivo.
La fame spesso è dovuta non alla mancanza di cibo, bensì all’impossibilità di accedervi. Il
passaggio dalle sementi impollinabili e conservabili alle varietà ibride non rinnovabili e
geneticamente modificate ha portato ad alti livelli d’insuccesso nella coltivazione dei
raccolti, all’indebitamento e al suicidio dei coltivatori. Oltre a essere cari, i semi devono
anche essere riacquistati all’avvio dio ogni stagione, insieme con altrettanto costosi
pesticidi e diserbanti.
I rendimenti sbandierati dalle multinazionali delle sementi e delle biotecnologie sono di
solito falsi e gonfiati.
Il dibattito sul ruolo svolto dalle importazioni si riduce, spesso, a una puta e semplice
considerazione dell’aspetto dei sussidi. Così si ignora la necessità di porre dei limiti alle
importazioni e di ripristinare le barriere doganali. Si tende, poi, a fare di tutta un’erba un
fascio tra sostegno e sussidi , due concetti in realtà distinti. Il sostegno consiste
<< >> << >>
nella spesa pubblica rivolta a beni o servizi per tutti, ed è necessario perché i sistemi
sociali funzionino in maniera sostenibile. I sussidi sono, invece, spese sostenute a livello
10
governativo finalizzate a incrementare il profitto privato. Mischiando deliberatamente i
due concetti, l’agrobusiness e gli interessi del commercio globale mirano a smantellare il
sostegno sociale a favore di un’agricoltura sostenibile, oltre che di prezzi equi. Tutto ciò
distrugge la sicurezza dei mezzi di sussistenza, quella alimentare e quella ecologica.
La globalizzazione riduce alla fame anche abolendo il minimo al di sotto del quale i prezzi
dei prodotti agricoli non dovrebbero scendere.
Ciò che i governi devono abolire sono i sussidi che distorcono i prezzi e quelli rivolti ai
sistemi di produzione non sostenibili, tra cui le specie geneticamente modificate e le
sostanze chimiche, eliminandoli gradualmente. Cosa ancora più importante, bisogna poi
ripristinare le restrizioni doganali.
Se è opinione comune che, attraverso i programmi di assistenza, le nazioni ricche
elargiscano a quelle povere le derrate indispensabili per la sopravvivenza, in realtà
quanto esse creano è un mercato per l’agrobusiness dell’emisfero settentrionale. Alcune
volte, poi, come nel caso della recente siccità, con conseguente carestia, che ha colpito il
Sudafrica, gli USA hanno cercato di sfruttare simili interventi per ricattare le nazioni
interessate, costringendole ad accettare prodotti transgenici.
Occorre, pertanto, orientare gli aiuti verso la costruzione di una sicurezza alimentare a
lungo termine tramite un’agricoltura sostenibile. Gli aiuti possono essere un sostegno per
l’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare, oppure un sussidio per riversare del cibo
inappropriato, prodotto in maniera sostenibile, sulle vittime della povertà e dei disastri
naturali. È ora che i cittadini di tutto il mondo insistano perché le loro tasse e il denaro
pubblico vengano utilizzati per migliorare i beni di tutti, invece che per sovvenzionare le
multinazionali e il profitto privato.
Il Summit Mondiale sull’Alimentazione tenutosi nel giugno 2001 doveva, in teoria,
affrontare la peggiore violazione dei diritti umani dei nostri tempi: la negazione del diritto
al cibo per milioni di persone. Se si è rivelato un totale fallimento riguardo al problema
della fame, è servito, però, da trampolino di lancio per l’industria delle biotecnologia.
11
2. Le guerre dei semi
La presa di controllo sulle sementi da parte delle multinazionali
La principale minaccia oggi incombente sulle persone e sull’ambiente deriva dal potere e
dal controllo accentratori e monopolizzanti, il cui impulso genera strutture
monodimensionali e quelle che io stessa ho definito le ‘monoculture della mente’. Queste
ultime trattano ogni forma di diversità come una malattia e creano meccanismi per
plasmare il mondo in cui viviamo sui concetti di una sola classe, una sola razza e un unico
genere di una sola specie.
Ne conseguono tre forme di colonizzazione: quella delle diverse specie esistenti in
natura, quella dell’universo femminile quella del Terzo Mondo. Le politiche della diversità
rappresentano a mio avviso il terreno su cui è possibile pensare di opporre resistenza a
tutti e tre i fenomeni. Le monoculture generano povertà e handicap pur promettendo
crescita, abbondanza e progresso. Per i potenti sono uno strumento attraverso cui
esercitare sempre più dominio e controllo; per i deboli e per la natura sono, invece,
veicolo d’impoverimento.
L’uniformità e la centralizzazione sono alla radice della vulnerabilità e del controllo del
nostro sistema sociale ed economico.
La così detta liberalizzazione, con relativa ‘globalizzazione’, imposta a ogni paese del
terzo Mondo è, in realtà, un meccanismo che mira a introdurre la monocoltura destinata a
stroncare ogni forma di diversità, creando una sorta di apartheid economico in cui i
piccoli coltivatori, produttori e commercianti si vedranno private dei propri mezzi di
sostentamento.
Il seme, ad esempio, si autoriproduce e si moltiplica. I contadini lo utilizzano sia come
chicco in sé che per il raccolto dell’anno successivo: è autosufficiente perché in grado di
duplicare in forma gratuita i mezzi di sussistenza degli agricoltori. Tale sua caratteristica
rappresenta, tuttavia, uno degli ostacoli principali per le multinazionali del settore.
Per me il seme ha cominciato a incarnare lo scenario e il simbolo della libertà. Mi è
ritornato in mente l’arcolaio di Gandhi, divenuto un simbolo così importante di libertà
non perché grande e potente ma, al contrario, in quanto piccolo, il suo potere risiedeva
proprio nelle ridotte dimensioni.
Anche il seme è piccolo. Esso simboleggia la diversità, la facoltà di restare in vita e in
India costituisce ancora il bene comune dei piccoli coltivatori. Per il contadino vuole dire
l’indipendenza. Nel seme si associano questioni ecologiche e giustizia sociale. Il seme
indigeno è diventato un sistema di resistenza contro le monoculture e l’esercizio dei
monopoli. La diversità rispetta i diritti di tutte le specie, è sostenibile e richiede un
controllo decentrato. Coltivarla non è un lusso, è un requisito indispensabile per la libertà
di tutti; nella diversità anche l’elemento più minuscolo è rilevante.
È tale interdipendenza tra diversità, decentramento e democrazia che occorre conservare
e coltivare.
12
I semi dell’inganno della Monsanto
Il 26 marzo 2002 il Comitato di Approvazione dell’Ingegneria Genetica (GEAC), istituto
del governo indiano, ha autorizzato la Monsanto a coltivare a scopo commerciale cotone
geneticamente modificato (BT). Il nullaosta è stato rilasciato sulla base del suo completo
testaggio nelle condizioni climatico-ambientali indiane, per non aver bisogno di
trattamenti con pesticidi e per la sua resa più elevata.
Nel 1998 la Monsanto ha avviato le sperimentazioni sul cotone BT contravvenendo del
tutto alle regole, in quanto non aveva ottenuto l’obbligatoria autorizzazione del Ministero
per qualsiasi forma di deliberata introduzione nell’ambiente di tale organismo
geneticamente modificato.
Quelle piante possono trasmettere al terreno i geni modificati in esse contenuti, provocando forse
un cambiamento della sua struttura ecologia
Le sperimentazioni effettuate nel 2001 sul cotone contemplano quattro problemi
sostanziali, legati all’impatto ecologico e sociale:
1. Rischio di inquinamento e di contaminazione genetici tramite impollinazione
incrociata e ibridizzazione
Gli studi non forniscono una solida certezza scientifica, ma la distanza normale
impiegata per mantenere la purezza dei semi dei cotoni ibridi è di trenta metri.
2. Impatto delle tossine BT su specie che giovano alla pianta e non oggetto di
bersaglio
Dallo studio è emerso che le sperimentazioni sono state effettuate senza
contemplare la presenza di specie che giovano alla pianta nel caso di entrambe le
varietà di cotone, BT e non. I risultati non dimostrano, pertanto, l’esistenza di
‘alcuna differenza significativa’. Il cotone BT è progettato per rivelarsi resistente
solo al bruco del cotone, mentre in India i raccolti di questo tipo vengono attaccati
da una gamma estremamente vasta di insetti nocivi. I contadini devono, di
conseguenza ricorrere a tutti i vari pesticidi.
3. Emergere della resistenza nelle specie target
I raccolti geneticamente modificati dovrebbero, in teoria, essere immuni dagli
attacchi del bruco del cotone. Di fronte allo sviluppo da parte degli insetti di una
sempre maggiore immunità nei confronti della tossina BT presente nella pianta, le
aziende d sementi transgeniche consigliano ai coltivatori di adottare il metodo dei
rifugi , ovvero di seminare anche raccolti non geneticamente modificati in
<< >>
modo che gli insetti che si nutrono di questi ultimi possano accoppiarsi con quelli
presenti nelle piantagioni di BT, rallentando così l’emergere di esemplari capaci di
sopravvivere a ogni trattamento.
13
4. Confronto socio-economico con le alternative ai pesticidi sintetici
I dati parlano di un rendimento del cotone non BT maggiore di quello della
variante geneticamente modificata. Il fallimento del cotone BT ha causato agli
agricoltori una perdita.
La Monsanto, rifiutandosi di ammettere l’insuccesso, ha stabilito una serie di
rapporti ambigui. Essa, tuttavia, non si basava sui dati concreti ricavati
direttamente dai coltivatori durante il raccolto di quell’anno, bensì sui numeri
forniti dalle multinazionali e ottenuti sui loro appezzamenti di prova, in totale
assenza di verifiche esterne o indipendenti.
L’elemento apposto dalla Monsanto alla Legge indiana sui brevetti
In barba alle proteste di massa e un decennio di rinvii dovuti al dibattito democratico, nel
maggio 2002 la minaccio di un incombente conflitto indo-pakistano è stata sfruttata come
cortina fumogena per approvare in fretta e furia una serie di modifiche alla