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LA POTENZA IDRICA DI ROMA
L a città Eterna con le sue terme e le sue fontane era il trionfo dell’acqua.
Tutto era possibile grazie a 11 grandi opere di adduzione di cui una, l’acquedotto
Vergine, porta ancora oggi 400 litri al secondo per alimentare la Fontana di Trevi.
Lo schema architettonico romano fu utilizzato fino al 1700. Alcuni sono rimasti funzionanti
per secoli e qualcuno è stato addirittura ripristinato in tempi recenti. Nel 2007 è stata
pubblicata la Carta degli antichi acquedotti che presenta, regione per regione, le
strutture; una straordinaria carrellata nei secoli, a partire dagli antichi condotti greco-
romani per arrivare ai tempi moderni.
Dopo duemila anni, gli acquedotti degli antichi Romani in Siria sembrano essere sfuggiti
all’ingiuria del tempo. Ci sono voluti meno di quattro mesi per rimettere in funzione i
canali, ancora in discrete condizioni, malgrado siano stati costruiti intorno al 62 a.C. Si
tratta di una serie di tunnel di notevole dimensione (tanto da poterli percorrere in auto).
I canali romani sfruttano le leggi della gravità (le condotte hanno una pendenza costante)
e rappresentano un sistema idrico rispettoso dell’ambiente, in quanto non prosciuga la
falda freatica.
L’opera del Frontino
La massima autorità del servizio idrico era il curator aquarum che dipendeva direttamente
dall’imperatore e vegliava sulla qualità e quantità dell’acqua, il cui uso doveva essere
garantito a tutti gratuitamente.
Il diritto sull’acqua era basato sul principio che nessuno poteva essere privato dall’altrui
monopolio su un bene essenziale per la vita. Tutti potevano disporre di una quantità
sufficiente ai propri bisogni. Tuttavia solo pochi eletti potevano permettersi una
derivazione a pagamento nella propria dimora. Per il resto occorreva rifornirsi nelle
fontane e fontanelle. L’uso era limitato alla cucina, alla pulizia della casa e solo in minima
parte all’igiene personale. I Romani consideravano l’acqua qualcosa di sacro; la pena più
grave, nel diritto romano, che poteva essere inflitta al cittadino, era l’esclusione dalla
comunità senza poter chiedere fuoco e acqua. Tre senatori dirigevano l’amministrazione
di questo servizio. Ognuno di loro presiedeva un gabinetto formato da cinque persone:
un architetto, due segretari (che erano schiavi pubblici) e due littori incaricati della
pubblica sicurezza. La gestione degli 11 acquedotti richiedeva circa 700 persone,
retribuite dalle casse pubbliche o direttamente dall’imperatore.
Alcuni acquedotti si alimentavano con le acque provenienti dall’alta valle dell’Aniene.
L’acqua veniva captata da sorgenti, mediante gallerie drenanti o direttamente da fiumi o
laghi, prima dell’imbocco della condotta principale passava attraverso un serbatoio con
funzione di sedimentazione delle sabbie e dei limi in esso contenuti: la piscina limaria.
C’era anche il passaggio in un letto di sabbia quarzifera che serviva a depurare
ulteriormente, un sistema ancora in uso nei moderni impianti. La condotta era un canale
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in muratura o scavato nella roccia, rivestita da diversi strati di intonaco
impermeabilizzante e accuratamente lisciato per facilitare lo scorrere dell’acqua.
L’intonaco era una miscela in schegge di pietra e malta di calce, oppure in sabbia e calce.
Inoltre, i canali erano coperti per impedire che l’acqua fosse contaminata da polvere,
sporco e altre impurità e perché il sole non la scaldasse né si formasse vegetazione
acquatica, ostacolo allo scorrere dell’acqua. C’erano passaggi di ventilazione e di
ispezione.
A volte gli acquedotti erano costituiti da due o tre canali sovrapposti, il più alto dei quali
destinato nel tempo a seguire l’aumento della richiesta.
Gli architetti romani disponevano di arnesi sofisticati: a parte la comune livella,
utilizzavano strumenti come il chorobates, una sorta di panca con fili a piombo sui lati per
misurare l’inclinazione del terreno. Il dioptra dei Greci era un diverso tipo di livella:
poggiato in terra, e finemente regolato mediante angolatura e rotazione della sua parte
superiore, poteva calcolare l’inclinazione di un segmento di acquedotto puntandolo con
un sistema di mirini girevoli.
Il curator acquarum doveva fare di tutto affinché il servizio fosse efficiente e disponibile
per tutti.
Nonostante la grandiosità delle opere, in realtà i canali dovevano essere continuamente
riparati a causa delle incrostazioni o delle crepe che inevitabilmente si creavano. Un’altra
attività molto onerosa era la gestione delle concessioni private, cioè la fornitura d’acqua a
domicilio. Queste derivazioni erano assicurate da tubi di piombo di calibro variabile che
correvano sotto il selciato. In questo settore gli abusi erano all’ordine del giorno e
occorreva quindi molta sorveglianza, per evitare furti e frodi, anche da parte degli stessi
addetti alla manutenzione.
Fino all’anno 312 a.C. i Romani si accontentarono di usare le acque che attingevano dal
Tevere o dai pozzi e alle sorgenti presenti nelle vicinanze. Successivamente, col crescere
della città, si fece sempre più pressante il problema del rifornimento idrico e, soprattutto,
in seguito alla diffusione delle terme, i pozzi e le sorgenti non bastarono più. Le opere di
adduzione portavano in città l’acqua delle polle che scaturivano dalle colline attorno alla
città, a volte fino alle propaggini dell’Appennino.
In un primo tempo Roma finanziò la costruzione degli acquedotti con i proventi delle
conquiste militari; in età imperiale, invece, addirittura con una quota del bilancio
pubblico. I problemi connessi all’attraversamento dei fiumi furono risolti con l’uso dei
ponti a diverse arcate. Quando le condizioni geologiche non consentivano di beneficiare
di sorgenti abbondanti, venivano costruite gallerie drenanti all’interno della montagna
per recuperare ogni goccia.
Sul Pont du Gard
Il Pont du Gard è, il più alto dei ponti-acquedorro dell’epoca romana e il meglio
conservato. L’antico acquedotto costruito verso il 50 d.C. sotto l’imperatore Claudio o
Nerone, nonostante la sua mole, presentava un’armonia nelle forme. I lavori durarono 15
anni.
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Il Pont du Gard è interamente di pietra lavorata proveniente da una cava situata a 600
metri sulla riva sinistra del Gard. I blocchi per i pilastri e le volte arano lavorati
direttamente nella cava, tagliati sul posto, numerati, poi trasportati sulle rive del Gard e
consegnati ai direttori dei lavori.
I numeri gravati nella pietra per indicare l’ubicazione dei blocchi sono ancora visibili.
La costruzione dei grandi acquedotti romani
Ma è a Roma che si manifesta a pieno la grandezza degli ingegneri idraulici che
realizzarono gli acquedotti tra il 312 a.C. e il 226 d.C.
L’acquedotto Appio, è il primo a essere costruito. L’acquedotto dell’Aniene vecchio era
stato costruito grazie al bottino della guerra contro Pirro, e convogliava in città le acque
dell’alto corso del fiume Aniene. Il suo percorso era quasi tutto sotterraneo; purtroppo le
acque si inquinavano regolarmente in caso di piene del fiume o piogge, e, nell’età
imperiale, la loro qualità peggiorò; pertanto fu destinato unicamente all’irrigazione e
all’alimentazione delle fontane.
Altro grande sistema di approvvigionamento è rappresentato dall’acquedotto Marcio,
che prende il nome dal pretore Quinto Marcio Re.
La costruzione dell’acquedotto Claudio, invece, fu finalizzata da Caligola e terminata da
Claudio. Nel corso del tempo subì diversi rifacimenti da vespasiano a Settimio Severo. Il
trattato iniziale continuo è ancora conservato fino al Casale di Roma Vecchia, segue
quindi un lungo tratto demolito; è ben conservata una serie di arcate.
In questa zona l’acquedotto incrociava il Marcio delimitando un’area individuata come
l’antico Campo Barbarico.
Sotto Traiano le opere di captazione furono rifatte per consentire alle acque di decantare,
precedentemente all’immissione nel condotto, nei bacini di tre laghetti artificiali. Il suo
percorso correva parallelo a quello dell’acquedotto Claudio, uscendo allo scoperto
presso le Capannelle. Da qui sino a Roma si sovrapponeva al Claudio.
Gli acquedotti non erano destinati a servire esclusivamente le necessità del nucleo
urbano dell’antica Roma, un terzo di tutta l’acqua dedotta a Roma era in realtà destinata a
servire le proprietà suburbane.
Gli acquedotti erano per Roma una delle forme attraverso cui si esprimeva la potenza
dell’impero. Con i romani la storia dell’Acqua si fonde definitivamente con quella della
città.
Piombo su Piombo
Parole inglesi come plumb e plumber (idraulico) e quelle francesi plomb e plomber
(idraulico) ci ricordano l’uso massiccio del piombo in epoca romana che ha lasciato tracce
a livello ambientale. Il culmine della produzione del metallo in epoca romana coincide
con un massimo di concentrazione di piombo. Secondo alcune teorie, la decadenza
dell’Impero sembra essere stata favorita dalle conseguenze sanitarie causate dal
diffondersi del saturnismo o avvelenamento da piombo che può essere stato provocato
dall’esposizione cronica agli acquedotti e ai contenitori utilizzati per cibo e vino, per i
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quali era d’uso il rivestimento del metallo che già Vitruvio considerava velenoso.
Dall’analisi delle ossa umane rinvenute nei siti romani la concentrazione di piombo è
risultata elevata.
Le condutture erano fatte anche di terracotta, mentre le valvole e i rubinetti erano in
bronzo. La distribuzione avveniva attraverso torri idrauliche a vasche sfalsate (i castella).
Un parallelo e conseguente sistema di raccolta delle acque usate, la rete delle fognature,
garantiva una buona tutela sanitaria.
L’acquedotto, giunto in città, terminava in un castellum, o in più castella alla fine di ogni
diramazione principale. Ogni castellum assolveva alla funzione di torre di distribuzione,
attraverso vasche concentriche o ‘a cascata’: dalla prima vasca si dipartivano le tubazioni
destinate alle fontane e alle piscine pubbliche; la seconda collegava i teatri e le terme; la
terza le case e le fontane private. Quando l’acqua era scarsa, non potendosi assicurare
tutte le utenze, era la terza vasca che, per prima, vedeva ridursi la portata, in modo
automatico, poiché si riduceva l’acqua che usciva, per tracimazione, dalla precedente
seconda vasca del castellum. Se il flusso si riduceva ancor più, era la seconda vasca che
cessava di’essere alimentata.
Ecco quindi la gerarch