vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
DIALOGO CON IL <NOI> RIFLESSIVO.
Solo attraverso un’esperienza del genere la certezza sensibile potrà smuovere la staticità
dei propri presupposti ed entrare spontaneamente, a sua volta, nel movimento dialettico
della coscienza. In questo senso la Fenomenologia potrà per Wieland <platonica>, pur
rimanendo nel quadro della filosofia post-cartesiana: appunto perché, come il Socrate che
si paragona alla levatrice, il <noi> lascia che l’interlocutore partorisca da sé la propria
verità. Ma in effetti proprio alla maniera di Socrate, al fine di permettere il dialogo, di fatto è
il <noi> a compiere fino in fondo l’intero movimento, cercando di immedesimarsi nel punto
di vista dell’altro e assumendosi l’arbitrio di impostarne le risposte in un linguaggio
accettabile. Si pensi all’esperimento maieutico strategia adottato da Socrate con lo
schiavo, nel “Menone” platonico: Socrate dimostra che lo schiavo è giunto da solo alle
conclusioni, ha avuto solo bisogno di qualcuno che lo aiutasse a ricordare la conoscenza
che già aveva all’interno della propria anima. E proprio come lo schiavo, la certezza
sensibile alla domanda <che cos’è?> GIOCA CON NOI, non risponde con una definizione
ma si limita a INDICARE una serie di esempi dei suoi “questo”, cioè casi singoli.
Ma la certezza sensibile, o dell’immediato, non può dire il proprio oggetto se non con una
mediazione, ovvero nel momento in cui la mia intenzione si fa deissi essa si ribalta,
paradossalmente nell’universalità. Il linguaggio rivela qui la propria formidabile e
pericolosa alleanza con quella <forza magica> che è capace di volgere il negativo
nell’essere, attraverso il potere della negazione determinata.
Solo quando la certezza sensibile si renderà conto dell’universalità implicita nei propri
deittici, essa avrà così riconosciuto, al proprio interno, il passaggio decisivo: la
conversione essenziale nella dimensione del logos.
Qui divengono evidenti le implicazioni teologiche, che si espliciteranno via via nel corso
del cammino della coscienza nelle tematiche propriamente religiose.
L’indizio è dato,alla fine del capitolo, agli accenni al CULTO E AI MISTERI DI <CERERE E
DI BACCO> celebrati nell’antichità, tema di grande interesse per la cultura estetico-
filosofica contemporanea a Hegel.
Hegel scrisse un componimento estetico “ELEUSIS” nel quale emerge una sorta di
spinozismo estetico. Insiste qui sul tema dell’ineffabile, dell’inesprimibile, in cui la
coscienza individuale sembra perdere il possesso delle rappresentazioni; ma anche
sull’obbligo del silenzio,cioè l’intuizione del divino non è per il giovane Hegel oggetto di
possibile comunicazione verbale.
L’assoluto non si lascia comunicare per via discorsiva, nemmeno da una lingua angelica: i
misteri non hanno posto nel fango delle parole. Una tale posizione avrebbe accompagnato
il pensiero hegeliano fino agli anni di Jena.
A partire dagli anni di Jena la filosofia hegeliana sembra invertire il senso del suo
riferimento ai misteri eleusini, per volgere la propria critica a coloro che difendono la verità
e la certezza delle varia forme di intuizionismo (tra questi Schelling).
Alla fine del cap sulla certezza sensibile, Hegel invita a considerare il Meynen nei termini
di un’attività non soltanto teoretica ma dotata di un’intenzionalità di senso le cui
implicazioni sono anzitutto pratiche. È come se l’atto stesso dell’<avere-in-mente>
designasse un modo nel quale teoretico e pratico sono da intendersi nella loro originaria
unità. Qui si pensa subito alla ricaduta della coscienza nell’<organismo animale>; ed
inoltre difficile risulta essere non il sacro e il supremo, ma ciò che per la sua incapacità di
venire a parole, è irrazionale: in quanto è un niente indicibile. E vanno sottolineati 2 aspetti
che la sinistra hegeliana ha sottovalutato:
1) che in gioco non è una fisiologia del sentire, ma una TEORIA DELLA VERITA’
FONDATA SUL VERBUM E SUL DISCORSO
2) che nella polemica contro il sensismo, il fenomenismo, il realismo ingenuo e contro ogni
forma di intuizionismo Hegel vede un momento indispensabile per l’affermazione della
dialettica contro il pensiero dogmatico.
IL MITO DEL DATO E IL DONO DEL LOGOS
La questione che si sviluppa in tutta la costruzione fenomenologica della coscienza
riguarda il problema del passaggio dallo “spirito immediato”, inteso come “sapere ancora
privo di spiritualità”, al “sapere vero e proprio” ossia alla produzione della scienza. E qui
dobbiamo riconoscere l'autentico obiettivo polemico che costituisce nel prendere le
distanze dal “colpo di pistola” con cui una costruzione non scientifica di fatto si sottrae al
“travaglio di un lungo cammino” che invece dovrebbe competere allo spirito. Hegel
denuncia non solo e non tanto l'approccio di Schelling, bensì ogni atteggiamento basato
su un'impropria concezione dell'immediatezza, collocata sia nelle bassure della sensibilità,
sia nelle vette intangibili dell'Assoluto.
L'infinita abbondanza della certezza sensibile si è rivelata falsa proprio perchè infinita, cioè
indeterminata: dunque la verita più astratta e più povera costituita nella generalissima
predicazione di “la cosa è”. Nella certezza sensibile il questo della cosa e il questi dell'Io
non rendono conto della “mediazione molteplice” che è necessaria per intraprendere un
cammino che sia davvero percorribile. L'apparente concessione iniziale per la credenza
nell'immediatezza di simulare un comportamento a sua volta immediato, ammettendo per
scontato (ciò che risulterà affatto scontato) che l'accogliere e il registrare siano pura
passività, ha mostrato tutta la contraddittorietà e instabilità di un esperimento fittizio: il
contenuto della certezza sensibile è una semplice intenzione di senso, mero contenuto
mentale, muta deiessi, massima generalità cui è impedito giungere alla parola.
Di qui la possibilità di uscire dall'impasse, riconoscendo che la pretesa di rapportarsi alla
cosa-oggetto implica l'accesso alla parola, dal momento che l'accesso al linguaggio è già
avvenuto laddove ci si trovava ancora in una dimensione pre-linguistica pena la verità
della cosa stessa: “qui” e “adesso” sono riconosciuti nelle loro universalità e la percezione
nega definitivamente che si possa davvero “sapere qualcosa d'immediato”. Ma allora il
“prendere-per-vero” dell'oggetto come distinto dall'atto del percepire porterà la coscienza a
un punto di vista che cesserà di considerarlo, da una parte, semplice somma si proprietà,
dall'altra, realtà indipendente da queste stesse; cosa che avverrà con la figura
dell'intelletto.
presti attenzione al fatto che la struttura architettonica della Fen. sembri ripetere nei
►Si
suoi passaggi quella dialettica fondamentale appena descritta fra certezza sensibile,
percezione e intelletto. Nel capitolo dedicato alla religione, questo è chiarito dalle stesse
parole di Hegel quando è ripresa espressamente questa dialettica come “esempio
determinato” per chiarire la dimensione di alterità sensibile implicita nell'avvento di Gesù .
1_Nel cristianesimo e nel suo modo di rappresentare la concretezza del sacro, la sostanza
si è ormai fatta soggetto. Che Gesù sia uomo in quanto figlio di Maria e insieme Dio in
quanto da sempre generato dal Padre e presso di lui Hegel lo esprime con un'analogia
della generazione naturale per cui egli “ha una madre effettiva, ma un padre in-sè
essente”. Nell'evento cristiano insomma lo spirito accede all'esistenza secondo un doppio
movimento per cui lo spirito, sciolto dai vincoli dell'estraneità del proprio oggetto e ormai
liberatosi come soggetto, si è dato la figura dell'autocoscienza in sé, tale anche per la sua
coscienza. L'avvenimento storico che giustifica questa fede è un evento reale e la
religione che si pone su questa fede è “rivelata”: se lo spirito è il sapere di se stesso nel
suo esteriorizzarsi e l'essenza è il movimento del mantenere l'uguaglianza con se stesso
nel proprio essere-altro, l'accidentalità fenomenica e la contingenza storica non
possono essere considerati inessenziali alla vita stessa della sostanza. In questo senso è
rivelata; l'essenza divina è “oggetto di rivelazione” e trova il suo compimento in quell'atto
storico che è la divinoumanazione di Cristo Gesù.
2_Ora se il Figlio dell'Uomo sotto la cui specie è rivelata l'essenza assoluta si presenta
davvero come “essere sensibile”, ne deriva anche l'inevitabilità del suo destini di morte e
la necessaria cessazione di quell'evento estetico, originario della credenza, che è la
percezione del Dio nella sua presenza immediata. È quell'avvio del passaggio, di quella
transizione dal sensibile all'ideale che costituisce la spiritualizzazione del senso. “Mentre
prima egli sorgeva per la coscienza come esistenza sensibile, adesso è risorto nello
spirito”. Per compiere l'ultimo passo, quello della comprensione concettuale, manca
certamente la capacità della coscienza di sapere se stessa come spirito; tuttavia, sul
versante oggettivo, il dileguare della presenza immediata del singolo individuo e la
conseguente spiritualizzazione dell'essenza assoluta, ottenuta a scapito
dell'immediatezza, si trasforma nell'autocoscienza universale della comunità. Una
volta superata la realtà effettiva della persona di Cristo, cioè il suo esserci immediato, il
divino smette anche di essere qualcosa di estraneo e di esteriore all'essenza: ecco perchè
questa morte è il risorgere dell'essenza come spirito. Nella celebrazione del culto
eucaristico è la comunità a produrre ciò che è divenuto in sé. E il contesto della comunità
è quello di una disposizione interpersonale al dono e al perdono e quindi costituisce un
superamento anche di quella dimensione di rapporto con l'altro come una dimensione di
lotta in, cui il riconoscimento determina un ordine di gerarchia sociale basato sul conflitto e
sul dominio (figura del servo-padrone). La comunità ecclesiastica invece costituisce il
movimento del riconoscimento per cui in ciò c