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LA DOTTRINA PURA DEL DIRITTO DI HANS KELSEN

Premessa ­> Hans Kelsen è considerato unanimamente come il più insigne giurista del Novecento, che ha lasciato

tracce indelebili nel campo del diritto costituzionale e del diritto internazionale e che, soprattutto, ha innalzato una

costruzione teorica, la c.d. Dottrina pura del diritto, costituente un epocale punto di rottura con il pensiero giuridico

ottocentesco e un insopprimibile momento di confronto, nell’accoglimento o nel rifiuto dei suoi postulati, per la

speculazione successiva nell’ambito della teoria giuridica e della filosofia del diritto.

Con Kelsen vi è una nuova rotta per la scienza del diritto, il cui oggetto privilegiato di indagine cessava di essere il diritto

privato, luogo dell’autonomia dei soggetti contraenti, per divenire il diritto pubblico, il diritto dello stato, fin allora screditato

come mera espressione della volontà, contaminata dal germe dell’arbitrio, del legislatore. Kelsen era fermo nell’indicare

il diritto positivo, ovvero il diritto posto da un legislatore e, quindi, anche e soprattutto da uno stato legislatore, come

l’unico diritto di cui si potesse occupare la scienza del diritto per non vedere sconfessata la propria pretesa di

scientificità, contemporaneamente, aveva cura di mettere in evidenza quegli elementi strutturali della norma giuridica che

non consentivano di vedervi solo un imperativo discendente da una volontà detentrice del potere legislativo. Proprio per

sottolineare questa lontananza dal dogma ottocentesco della volontà legislatrice, termine norma giuridica, nel quale si

rifletteva, inoltre, la complessità epistemologica delle categorie delle scienze sociali impegnate a far valere la propria

specificità contro la supremazia semplificatrice delle scienze naturali.

La purezza della scienza del diritto e la natura del diritto ­> La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo che

intende conseguire una conoscenza del diritto non influenzata da giudizi di valore. Purezza vuol dire che la scienza del

diritto, per raggiungere e conservare la propria scientificità, deve respingere, nella ricostruzione descrittiva del proprio

oggetto, ogni condizionamento riportabile a ideologie politiche, fedi religiose o convinzioni morali; deve, in sostanza,

essere, secondo la nota espressione di Max Weber, libera dal valore. A questo significato preliminare di purezza Kelsen

aggiunge un significato epistemologicamente più complesso: purezza denota la capacità della dottrina di cogliere la

specificità del fenomeno giuridico e di preservarne l’autonomia, senza sincretismi metodologici e commistioni con altre

scienze particolari. Il diritto non è, per Kelsen, un fenomeno naturale. Non vi è un atto che sia per se stesso

sensibilmente percepibile come diritto o che sia individuabile come diritto secondo i criteri delle scienze naturali. L’atto

sensibilmente percepibile, posto nello spazio e nel tempo e rispondente al principio di causalità, diviene atto giuridico

solo se cosi qualificato attraverso una attribuzione sociale di significato. Questa attribuzione di significato giuridico è

impartita da una norma, che funziona come schema qualificativo di determinati atti e fatti.

La specificità del diritto riposa sulla norma intesa come struttura qualificativa di atti, non come atto psico­fisico di

volizione, e sulle norme dovrà vertere la conoscenza del diritto poiché il diritto, l’unico oggetto della conoscenza

giuridica, è una norma. Risulta cosi pienamente comprensibile la definizione usuale del pensiero giuridico kelseniano

come normativismo. Il diritto è, dunque, un fenomeno sociale. La sua esistenza non va assolutamente confusa con

l’esistenza dei fenomeni naturali. A rimarcare tale differenza, Kelsen nomina validità l’esistenza specifica della norma:

non è corretto dire che una norme esiste o non esiste,; una norma, propriamente, è valida o non è valida. Valido è

l’attributo adeguato per esprimere la realtà spirituale della norma giuridica kelseniana. All’esigenza di distinguere il diritto

dalla natura si aggiunge quella più sottile di distinguere il diritto da altri fenomeni spirituali, in primo luogo la morale.

Kelsen recide il legame tra diritto e morale. Il diritto non è un particolare campo della morale ne incarna un valore di

giustizia. La giustizia esprime un valore assoluto, un ideale irrazionale non determinabile in alcun modo dalla

conoscenza razionale. Il riferimento alla giustizia sottende un intento non di conoscenza ma di giustificazione o di

condanna del diritto vigente, in ultima analisi una difesa di determinati interessi sotto il mantello del diritto giusto. Il

legame tra diritto e morale viene, quindi, assunto o per donare surrettiziamente al diritto quel valore assoluto che spetta

essenzialmente alla morale, decretando così l’intrinseca iniquità di ogni resistenza a qualsiasi precetto giuridico, o per

sostenere che il diritto positivo debba necessariamente riflettere, per essere diritto e non potere del più forte, un ordine

assolutamente giusto, che si presuppone, secondo le varie correnti di pensiero, di volta in volta come un ordine naturale,

divino, razionale. Contro l’assolutezza del dovere morale e la pretesa di assolutezza del dovere giuridico, Kelsen mette in

risalto il carattere particolare del dovere giuridico.

Il dover essere (Sollen) del diritto si contrappone, all’essere (Sein) della realtà naturale, ma si contrappone pure al

dovere morale, che rappresenta nella forma dell’imperativo contenuti presunti come immediatamente buoni e giusti. Per

Kelsen il dover essere (sollen) del diritto è una categoria trascendentale, nel senso della filosofia kantiana, puramente

formale, applicabile a qualsiasi contenuto, che lega, in una connessione specificamente funzionale, una condizione e

una conseguenza in un giudizio ipotetico del tipo se c’e A deve (soll) esserci B. La norma giuridica ha appunto la forma

logica di tale giudizio ipotetico.

La norma giuridica come giudizio ipotetico ­> La norma giuridica è per Kelsen un giudizio ipotetico del tipo se a, deve

essere b. In tale giudizio ipotetico la condizione a rappresenta l’illecito, la conseguenza b rappresenta la sanzione, il

dover essere (sollen) esprime lo specifico rapporto di imputazione che consente la connessione tra condizione e

conseguenza giuridica, senza ricadere nella legge di causalità, che regola la connessione tra fatti naturali come una

relazione necessaria. Il sollen non indica infatti nessun dover necessariamente accadere. Sollen indica una relazione

che potrebbe anche non verificarsi nella realtà dei fatti, senza, per questo, annullare la validità della regola in questione.

Nello specifico del diritto, la mancata sanzione di un furto, per esempio, non annulla la validità della norma che punisce il

furto. L’accadere, invece, di un solo fenomeno naturale in contraddizione col principio di causalità ne minerebbe lo

statuto di legge naturale. Questo carattere del sollen permette, inoltre, di comprendere come la mancata osservanza o

applicazione di una norma giuridica non rappresenti una contraddizione irreparabile e deleteria per la norma stessa.

Nella flessibilità del sollen si apre uno spazio teorico per il comportamento trasgressivo del precetto giuridico e per la

libertà del soggetto agente, nella convinzione che non vi sarebbe alcun bisogno di rendere doveroso ciò che gli uomini

farebbero già spontaneamente secondo una determinazione naturale. L’utilizzo del termine proposizione giuridica al

posto e come norma giuridica dimostra quanto radicale sia il rifiuto della norma giuridica imperativa. La formula se a,

deve essere b, prende il posto della classica formulazione imperativistica ottocentesca della norma giuridica (tu devi fare

o omettere di fare ciò). Le conseguenze del rifiuto della vecchia norma imperativa e dell’immissione proprio di quei 3

elementi, illecito, dover essere, sanzioni, nella formula del giudizio ipotetico sono molteplici e definiscono la portata

dottrinale e ideologica della svolta Kelseniana. In primo luogo, il concetto di illecito perde ogni consistenza ontologica di

malum in se. Il concetto di illecito viene definito da Kelsen interamente all’interno del meccanismo

condizione/conseguenza della proposizione giuridica, senza riferimento alcuno ad ambiti extra giuridici. Un

comportamento è illecito se e solo se è considerato nella proposizione giuridica condizione per una sanzione come

conseguenza. In secondo luogo, la sanzione viene insediata al centro dell’esperienza giuridica, quale elemento che

caratterizza la norma giuridica verso le altre regole di comportamento. Il diritto non è altro che un ordinamento coattivo

esterno. Per diritto deve intendersi un insieme di norme coercitive riguardanti l’uso della forza a determinate condizioni.

La dottrina ottocentesca riteneva primaria la norma disciplinante il comportamento e secondaria, o non essenziale ai fini

della determinazione del concetto di diritto, la norma prescrivente la sanzione in caso di violazione della norma primaria.

Nella dottrina Kelseniana primaria è denominata la norma che collega alla condizione dell’illecito la conseguenza della

sanzione, mentre viene degradata a secondaria la norma che prescrive il comportamento che evita la sanzione, norma

bollata, anzi, come superflua e ingannevole. In terzo luogo, la configurazione non imperativa del dovere giuridico

comporta un sostanziale disinteresse per l’efficacia della norma ossia per la reale osservanza e applicazione della

norma giuridica. Rispetto alla norma imperativa, la proposizione giuridica kelseniana non ha un potere motivante sul

comportamento dei destinatari, che viene abbandonato ad una dinamica fattuale, psicofisica, irrilevante per la

conoscenza scientifica del diritto.

Il sollen non predica, quindi l’osservanza del precetto da parte del destinatario quanto la possibilità che al singolo venga

applicata la conseguenza prevista dalla norma giuridica per la sua azione, dove l ‘evento fattuale della mancata

applicazione della conseguenza non incrina la validità della norma giuridica. L’obbligatorietà della norma, ovvero il

significato ultimo della validità della norma giuridica, la sua esistenza specifica nella forma del sollen, non va confusa,

secondo Kelsen, con la sua efficacia, la sua capacità di determinare i comportamenti effettivi. La scienza del diritto, in

quanto scienza di significati normativi, deve fermarsi alla validità della norma giuridica; alla sociologia del diritto spetterà

invece il compito di studiare gli effetti concreti della norma.

La norma giuridica come prescrizione ­> Kelsen distingue tra norma giuridica e proposizione giuridica. La norma

giuridica è una prescrizione, prodotta da un organo giuridico a ciò autorizzato, applicata da organi giuridici e o

Dettagli
A.A. 2014-2015
39 pagine
7 download
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giurisprudenzariassunti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Belvisi Francesco.