Riassunto esame filosofia antica per l’esame del prof. Trabattoni, testo consigliato La filosofia antica profilo critico-storico" di F.Trabattoni
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LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Il genere nomina la qualità di un certo gruppo di cose, istituendo nella realtà un taglio che
differenzia questo gruppo di cose dalle ALTRE. Ma è chiaro che l’essere non funziona in
questo modo: dire che una cosa è un essere non effettua alcun taglio sulla realtà e non da
nessuna informazione a chi voglia conoscere qualcosa di quell’oggetto. Se l’essere fosse
un genere si annullerebbero tutte le differenze, perché ogni cosa sarebbe una specie
dell’essere.
Problema: ma se l’essere non è un genere, come può essere attribuito a più cose?
Il fatto è che l’essere si predica in molti modi: le differenze più generali tra i modi in cui
si dice l’essere sono per A. quattro:
1) essere per sé
2) essere per accidente
3) essere come vero e falso
4) l’essere come potenza e atto.
Il primo modo di dire l’essere (essere per sé) corrisponde alla scansione delle categorie,
così abbiamo un duplice livello di polivocità: l’essere si dice in molti modi in base ai 4
gruppi sopra menzionati, poi si dice in molti modi all’interno del primo gruppo, cioè
secondo le categorie. L’irriducibilità delle categorie è uno dei cardini del pensiero di a. e
uno dei luoghi in cui intendeva differenziarsi dal pensiero platonico (in cui invece dominava
il principio della riconduzione ad unità).
4.2.2. ARISTOTELE E LA DOTTRINA PLATONICA DELLE IDEE
A livello linguistico solo alla categoria della sostanza è consentito occupare il posto del
soggetto. Questa priorità della sostanza sulle altre categorie è confermata anche da varie
considerazioni ontologiche: la sostanza nomina l’essenza stessa della realtà.
Nelle Categorie A. privilegia il criterio linguistico (soggetto) su quello ontologico (essenza)
ciò causa una divisione anche all’interno della sostanza: essa può essere soggetto o
predicato. Esistono però dei modi della sostanza che possono essere solo soggetto e mai
predicato, ossia le sostanza individuali (es. “Socrate”).
la parte eminente della realtà che può essere chiamata prima sia in senso ontologico che
logico-linguistico è la sostanza individuale , mentre le sostanze che possono essere
anche predicato sono generali(conclusione incompatibile con la dottrina delle idee
secondo cui la realtà vera è costituita da termini generali mentre le cose individuali sono
solo delle copie imperfette).
ARISTOTELE SI ACCOSTA ALLA FILOSOFIA CON SPIRITO SCHIETTAMENTE
TEORETICO, SOLLECITATO DALLA PURA SETE DI CONOSCENZA = per A. conoscere
una cosa è conoscerne le cause, cioè i principi che la governano/determinano/producono:
da ciò deriva che la filosofia prima sarà la scienza che indaga le cause e i principi primi
della realtà (se ne occupa nel primo libro della Metafisica). Aristotele è d’accordo con
Platone nel ritenere che le forme e gli universali hanno esistenza reale ma non vede la
necessità di separarli e di pensarli come enti a sé, distinti dagli oggetti a cui si riferiscono
se l’idea è essenza delle cose, per A. non può esistere fuori dalle cose poiché l’essenza è
sempre essenza di qualcosa e non può mai essere separata dal suo soggetto. A. osserva
che non è un buon metodo spiegare la realtà raddoppiandola, poiché in tal modo le cose si
complicano. 34 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
4.2.3. I PRINCIPI SECONDO ARISTOTELE
Aristotele elabora una sua dottrina dei principi. La raccolta dei principi aristotelici ha
carattere eterogeneo perché la stessa nozione di principio è polivoca, infatti il principio può
essere:
- Un ente specifico
- Una funzione generale
- Un asserto logico
Aristotele ritiene metodologicamente corretto far partire la ricerca dalle cose che sono più
vicine e evidenti, anche se non coincidono con ciò che è primo in natura (cioè i principi,
che però all’inizio sono nascosti) la cosa più evidente per noi è il mutamento, oggetto
primo su cui ci dobbiamo interrogare (ARISTOTELE lo fa soprattutto nel I libro della
Fisica). L’esperienza dimostra che la realtà è mutevole, la ricerca dei principi del
mutamento costituisce anche la ricerca dei principi dell’essere in generale, perché
possiamo dir di aver spiegato una cerca cosa quando abbiamo trovato le cause del suo
divenire ciò che è. Ogni mutamento avviene tramite un passaggio da un contrario all’altro,
che egli chiama privazione e forma che agiscono su un “sostrato” (es. Socrate è un musico
Socrate è il sostrato, musico è la forma, non-musico è la privazione)
In ogni genere di mutamento abbiamo all’opera un sostrato-soggetto che passa da uno
stato iniziale in cui è privo di una certa forma a uno stato finale in cui la possiede ma IL
SOSTRATO PUÒ ASSUMERE UNA DATA FORMA SOLO SE NEL SUO STATO DI
PRIVAZIONE INIZIALE POSSIEDE GIÀ UNA CERTA DISPONIBILITÀ AD ASSUMERLA,
cioè se almeno in potenza può assumete una determinata forma.
La coppia potenza-atto costituisce uno dei quattro metodi generali in cui si dice l’essere.
Tramite l’introduzione di questa differenza, Aristotele risolve il problema del non-essere:
PARMENIDE= il divenire è il passaggio dall’essere al non essere, quindi la realtà mutevole
non può essere detta/pensata
PLATONE= solo nel mondo delle idee le cose sono identiche a se stesse, mentre in quello
sensibile cambiano
ARISTOTELE= mediante la nozione di essere in potenza Aristotele mostra che ogni
divenire avviene sempre tra essere e essere, ossia tra essere in potenza e essere in
atto le caratteristiche della realtà sensibile non contraddicono l’assunto parmenideo
secondo cui il non essere non può né essere pensato né essere detto.
FORMA : ATTO = MATERIA : POTENZA
Si dice materia il sostrato inteso come quel soggetto che ha una certa privazione e che
dunque può avere “in potenza” la forma corrispondente. Di per sé la materia pura non
esiste: ciò che davvero esiste è un SINOLO = composto di materia e forma. Il sinolo è
d’altra parte l’ente individuale definito nelle Categorie come “sostanza prima”.
Le cause del mutamento relative alla sostanza individuale sono:
1) Forma
2) Materia
3) Causa efficiente 35 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
4) Causa finale
4.2.4. LA SCIENZA DELL’ESSERE IN GENERALE
Libro IV Metafisica = Aristotele dichiara che esiste una “scienza dell’essere in quanto
essere” che studia le proprietà dell’essere in quanto tale.
Problema: se non esiste un oggetto qualificabile come l’essere e l’essere non è nemmeno
un genere, come è possibile che esista una scienza dell’essere in quanto essere cioè
avente per oggetto una realtà equivoca?
Soluzione di A: i vari significati di essere, pur essendo diversi, non sono privi di parentela,
non vi è fra essi un’identità di genere, bensì un rapporto analogico relativo a un soggetto
privilegiato al quale tutti i significati si riferiscono.
Es. sano
Per A. la sostanza è il significato focale a cui tutti gli altri si riferiscono, allora la scienza
dell’essere in quanto essere deve riguardare in primo luogo la sostanza. Quindi la scienza
dell’essere studia l’essere in senso primario ed essenziale, ma in senso largo lo studio
dell’essere in quanto essere è lo studio di tutte le proprietà che appartengono alle
cose per il semplice fatto che esistono. Se l’essere non è un genere, è possibile però
individuare una serie di attributi che appartengono a tutte le cose per il solo fatto che
esistono, questi attributi sono quelli che poi saranno tradizionalmente chiamati
trascendentali (uno, molteplice, diverso ecc.) + CATEGORIE.
Libri VII, VIII Metafisica: trattazione più matura del problema della sostanza. La sostanza in
senso primario deve essere separabile e essere una cosa determinata. Aristotele è
propenso a ritenere che la sostanza in senso primo sia la forma, cioè l’essenza, che è
accessibile alla definizione e non è soggetta a generazione e corruzione. Questo
privilegiare la forma deriva da una sensibilità platonica? In questa dottrina si presentano
vari problemi.
Sembra necessario pensare che la forma/essenza sia duplice:
1) Forma individuale che è sostanza in senso proprio e di cui non si dà definizione
(es. anima di Socrate)
2) Forma intesa come genere che non è sostanza in senso proprio e che può essere
definita (es.anima in generale)
In questo senso ci può essere conoscenza = modo di conoscere razionale che raccoglie
nell’universale l’unità del molteplice conoscere = scoprire e studiare caratteri generali.
4.2.5. IL “MOTORE IMMOBILE”
Per Aristotele la filosofia prima inizialmente è la fisica, ricerca relativa alle sostanze mobili
--> solo se nelle ricerche fisiche si evidenzia la necessità di una sostanza immobile, allora
la fisica diventerà filosofia seconda (e la metafisica filosofia prima). Libro XII Metafisica:
trattazione della necessità di porre una sostanza immobile.
OGNI COSA CHE SI MUOVE È MOSSA DA ALTRO ma la sequenza dei mobili e dei
motori non può né essere circolare né procedere all’infinito perché significherebbe che la
catena causale è incausata ci deve essere un MOTORE PRIMO.
36 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Sappiamo che ogni mutamento è il passaggio da potenza a atto, che può essere prodotto
solo da qualcosa che possiede già in atto la forma che vuole introdurre nella materia. Ci
sono tre condizioni perché ciò avvenga:
- 1^condizione: la causa motrice deve essere in atto.
- 2^ condizione: la causa motrice deve essere sempre in atto, perché il
movimento è eterno.
- 3^ condizione: la causa motrice deve essere solo atto, ATTO PURO, sostanza
immateriale prima di moto e potenza.
Questo atto puro deve svolgere un’attività, che dev’essere compatibile con il fatto che non
ha materia: l’unica attività che può svolgere è PENSARE. Dio è pura ATTIVITÀ
CONTEMPLATIVA e questo lo pone in uno stato di perfetta felicità. Cosa pensa dio? Non
può pensare realtà inferiori a lui, quindi pensa se stesso: è definito come “PENSIERO DI
PENSIERO”. Dio muove come oggetto di amore: ma in tal modo Dio sarebbe causa
finale, mentre Aristotele dice esplicitamente che è causa efficiente questo è un bel
problema! Non risolvibile in questo manuale, tanto meno in questo riassunto. Andiamo
avanti.
Non sembrano esistere, all’interno della filosofia prima, una scienza che studia l’essere
generale e una scienza che studia l’essere speciale che è ontologicamente primo. Al
contrario, sembra trattarsi della stessa scienza, nel senso che la teologia è condizione di
possibilità dell’ontologia se non ci fosse una sostanza immobile la filosofia prima sarebbe
la scienza dell’essere mobile (fisica) e dunque non ci sarebbe posto per la filosofia prima
intesa come la scienza dell’essere in generale (ontologia).
37 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
5. PLATONE E ARISTOTELE. TEORIA DELLA CONOSCENZA,
DIALETTICA, LINGUISTICA E LOGICA
5.1. PLATONE
5.1.1. REMINISCENZA, “SECONDA NAVIGAZIONE” E USO DEI LOGOI
Platone suddivide la conoscenza in due generi, correlativamente alla divisione del mondo:
1) Mondo del divenire ↔ conoscenza di carattere sensibile, incerta come il suo
oggetto e dunque opinativa nei risultati (doxa);
2) Mondo delle idee ↔ conoscenza di carattere intellettivo, stabile e certa come le
idee verso cui si dirige e qualificabile perciò come scienza (epistéme).
Come e in che misura possono essere conosciute le idee? TEORIA DELLA
REMINISCENZA o ANAMNESI (cfr. Menone, Fedone, Fedro).
Menone. Domanda iniziale: la virtù è insegnabile o no? Imparare qualcosa pare
impossibile: o si conosce già ciò che si sta cercando (ricerca inutile) o non se ne sa
nulla (ricerca impossibile). Per chiarire la questione Socrate si rifà alla teoria della
metempsicosi: le anime si incarnano in un corpo proveniente da vite precedenti e
sono provviste quindi di un certo numero di ricordi APPRENDIMENTO = NON
CONSISTE NELL’IMPIANTARE NELLA MENTE UN SAPERE PARTENDO DA
ZERO, BENSÌ RINFORZARE RICORDI GIÀ PRESENTI. La coppia
DIMENTICANZA-RICORDO fornisce all’apprendimento la caratteristica di medietà
che serve: chi ha dimenticato sa e non sa contemporaneamente. Socrate sostiene
la sua tesi mediante l’esperimento dello schiavo che sa risolvere un problema
geometrico senza aver studiato la geometria.
Fedone. La reminiscenza non è dimostrata empiricamente, bensì attraverso
un’argomentazione: dal confronto fra cose uguali inferisce l’esistenza nelle mente
dell’uomo dell’uguale perfetto = uguale in sé che deve essere entrato nell’anima in
un luogo diverso da quello sensibile perché in natura l’uguale perfetto non esiste. Il
trauma della nascita ha fatto sì che gli uomini si dimenticassero le conoscenza
precedenti. LE OPERAZIONI CONOSCITIVE CHE L’UOMO È
OGGETTIVAMENTE IN GRADO DI FARE DIMOSTRANO CHE NELLA MENTE
UMANA CI SONO, FIN DALL’INIZIO, TRACCE DI IDEE.
Esiste perciò un luogo (IPERURANIO) in cui gli uomini hanno una visione diretta e intuitiva
(completa) delle idee. Ma la conoscenza attraverso la reminiscenza vale come quella
intuitiva oppure c’è uno scarto? È preferibile la seconda ipotesi: la reminiscenza non è
tanto utile per conoscere le idee, quanto per capire che LA REALTÀ EMPIRICA PUÒ
ESSERE VALUTATA SOLO IN BASE A CRITERI CHE NON LE APPARTENGONO -> LE
IDEE NON SONO IL VERO E PROPRIO OGGETTO DI CONOSCENZA, MA PIUTTOSTO
LO STRUMENTO CHE DEVE ESSERE PRESENTE NELLA MENTE PER PERMETTERE
DI DIRE CERTE COSE DELLA REALTÀ SENSIBILE. Nel Fedone Socrate afferma che
l’uomo potrà conoscere pienamente e perfettamente le idee dopo la sua morte.
In che cosa consiste lo scarto tra conoscenza intuitiva e conoscenza proposizionale?
VISIONE O PRESA IMMEDIATA DELLA REALTÀ vs. DESCRIZIONE DELLA REALTÀ
38 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
ATTRAVERSO I LOGOI. Risposta nel Fedone: passo sulla “SECONDA NAVIGAZIONE” (=
navigazione a remi) il ricorso ai logoi è un procedimento “secondo”, più debole e faticoso,
a cui si ricorre in mancanza del primo (conoscenza dell’idea di carattere puramente
intuitivo). I logoi fanno da schermo e da filtro (come i vetri imbruniti di cui ci si serve per
non essere abbagliati): permettono di conoscere ma solo attraverso un diaframma e che
istituisce una distanza e una differenza.
5.1.2. EROS E CONDUZIONE DELL’ANIMA
Platone non riteneva che la conoscenza intellettiva dell’uomo potesse disporre di uno
strumento superiore a quello dei logoi debolezza caratteristica delle conoscenza
mondana, confermata da altro celebre tema: EROS (valenza epistemologica) [Simposio,
Fedro].
> Simposio: Platone ci presenta un banchetto organizzato per festeggiare il poeta
Agatone, che ha vinto un agone tragico. Ogni convitato deve fare un discorso in onore di
Eros. In ordine:Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone; quando è il turno di
Socrate, egli dice che se amore è Desiderio di bellezza e di bontà, non può essere bello
e buono esso stesso poiché si desidera solo ciò che non si possiede Eros non è bello di
per sé, ma neppure brutto: anche tra bello e brutto vi è un grado neutro, di ciò che non è
nessuna delle due cose. Eros ha per padre Espediente (Poros: Desiderio di possedere e
abilità per conseguirlo) e per madre Povertà (Penìa: povertà e mancanza tipica di chi
desidera). In questo discorso quel che ci interessa è il versante gnoseologico: la medietà
di amore viene paragonata alla medietà dell’opinione (tra l’ignoranza e la scienza) natura
intermedia che fa di AMORE UN FILOSOFO (= colui che ama la sapienza nello stesso
modo in cui Eros ama le cose belle, cioè la ama proprio perché non la possiede).
Nel paragone EROS-FILOSOFIA si manifesta dunque una LIMITAZIONE DEL SAPERE
UMANO che corrisponde assai bene all’interpretazione della teoria della reminiscenza. Il
significato di questo percorso è soprattutto regolativo: l’uomo-filosofo (≠ dio-sophós) deve
accontentarsi di restare sempre nello stato di tensione di chi desidera, senza poter mai
soddisfare la propria sete di conoscenza. Se il filosofo è intermedio come l’opinione, al
filosofo sembrerebbe precluso il possesso della scienza il livello episteme/mondo delle
idee rimane privo di soggetto.
> Fedro: discorso principale è amore=pazzia (mania), Socrate però fa notare che non tutte
le forme di pazzia sono negative e che dunque anche il Desiderio amoroso, se
opportunamente guidato, può essere utile per la formazione di un uomo virtuoso e
filosofico (Eros come strumento efficace per rivolgere gli uomini verso il mondo ideale
AMORE È PSICAGOGIA = CONDUZIONE DELL’ANIMA).
La dottrina della reminiscenza segnala due cose:
1) La coappartenenza originare dell’uomo alla verità e dunque la possibilità teorica di
(ri)costruire un sapere;
2) La frattura tra mondo ideale e mondo reale il fatto che il sapere umano sarà
sempre inferiore alla richiesta di una conoscenza piena e completa delle idee
Alla luce di questo sfondo possiamo capire perché per Platone:
a) logoi = “seconda navigazione”;
b) l’uomo è filosofo e non sophòs;
c) al posto della scienza PLATONE presenta Eros e retorica filosofica.
39 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
5.1.3. LA GNOSEOLOGIA DELLA REPUBBLICA
Nella Repubblica e nei dialoghi dialettici la gnoseologia platonica si fa più “scientifica”.
Nella Repubblica gli approfondimenti gnoseologici (libri V-VII) sono generati dall’esigenza
di mostrare:
a) chi è il filosofo;
b) qual è il modello di sapere a cui il filosofo si ispira.
Tale esigenza a sua volta viene dalla necessità di giustificare il ruolo di guida che Platone
attribuisce nella Repubblica al filosofo.
- Il filosofo è colui che aspira alla conoscenza della realtà che è sempre identica a
sé, cioè le idee e la stessa idea del bene.
- Il sapere dei filosofi di cui si parla nella Repubblica è il sapere degli ipotetici
governanti dello Stato ideale, che costituisce un modello realisticamente imitabile
ma che non può essere concretamente realizzato ideale regolativo: il filosofo è
colui che si sforza di conoscere le idee e il bene, per quanto gli è possibile.
“Metafora della linea”: per chiarire la differenza tra sensibile e intellegibile Socrate
immagina un segmento diviso in due parti e ciascuna parte divisa di nuovo in due:
Parte bassa del segmento: REALTÀ SENSIBILE: facoltà dell’immaginazione (eikasìa) e
della credenza (pistis). Tutto questo insieme rappresenta il mondo della doxa: la metafora
della linea conferma la scansione principale della gnoseologia platonica (doxa : sensibile =
episteme : intellegibile).
Parte alta del segmento: diànoia e nòesis (=pensiero). Secondo i più diànoia = pensiero di
carattere discorsivo che avrebbe per oggetto gli enti matematico-geometrici; nòesis =
pensiero di carattere intuitivo che avrebbe per oggetto le idee vere e proprie. Ma tale
interpretazione non ha riscontro nei testi e non appare molto persuasiva. Diànoia in primo
luogo significa pensiero in generale; nòesis è il pensiero che risale verso un principio non
ipotetico e che non fa uso di immagini. L’intelletto non deve assumere le idee come ipotesi
e deve servirsi solo del logos, senza fare uso di figure, né sensibili, né mentali.
L’analisi delle facoltà intellettuale offerta dalla metafora della linea costituisce dunque una
critica implicita all’ipotesi di chi consideri la conoscenza delle idee come pensiero intuitivo,
costruito sul modello della visione o presa immediata che i sensi esercitano sulle realtà
materiali. 40 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Dopo la metafora della linea, Platone introduce l’ALLEGORIA DELLA CAVERNA: Socrate
immagine una caverna, in fondo alla quale stanno seduti dei prigionieri legati in modo da
poter vedere solo la parete davanti a sé. Alle loro spalle c’è un muro, dietro cui si muovono
personaggi che portano degli oggetti sporgenti oltre il muro stesso. Questi oggetti sono
illuminati da un fuoco che si trova nella caverna, tra l’entrata e i portatori, cosicchè i
prigionieri vedono solo le ombre proiettate sul muro.
La situazione dei prigionieri è simile alla nostra vita mondana. Qualora qualcuno sia
liberato e portato fuori sulle prime gli sembrerà molto difficile abituarsi alla luce del sole,
proverà sofferenza e vorrà tornare indietro, poi comincerà ad abituarsi al nuovo mondo,
prima guardando i riflessi, poi le cose stesse. Infine, non vorrà più tornare alla caverna.
L’aspetto dell’allegoria su cui Socrate si concentra all’inizio è LA CONDIZIONE DI
ESTRANEITÀ E INCOMPRENSIONE RECIPROCA TRA FILOSOFI E NON FILOSOFI: il
non-filosofo è abituato al suo mondo (caverna) e non vorrebbe uscirne: quando è portato
allo scoperto soffre e vuole tornare indietro; il filosofo vive ormai in un mondo tutto suo e
non vorrebbe avere più nulla a che fare con il mondo degli altri uomini.
- Interno della caverna = mondo sensibile;
- Esterno della caverna = mondo intellegibile;
- Fuoco = sole = idea del bene;
Per quanto riguarda ombre sulla parete, oggetti dei portatori, cose reali del mondo esterno,
ombre e riflessi fuori della caverna, il tentativo di trovare delle corrispondenze precise
fallisce.
5.1.4. LA DIALETTICA
La facoltà intellettuale più elevata è costantemente descritta come esercizio della
dialettica, con puntuali riferimenti sia al logos, sia all’atto concreto del dialogare (dare e
ricevere discorso) dialettica = tipo particolare di procedura scientifica e diretta
continuatrice del metodo socratico.
> Repubblica: non offre molte informazioni sulla natura vera e propria della dialettica.
Figura come scienza suprema, culmine e coronamento di discipline matematiche atte a
formare il pensiero astratto dei futuri filosofi-governanti.
> Fedro: Socrate descrive il metodo dialettico come un duplice procedimento di analisi
e sintesi, capacità di unificare e dividere le idee in modo corretto, rispettando la struttura
reale delle cose.
> Parmenide: procedimento che consiste nell’identificare la serie di ipotesi che copre
in modo esaustivo le possibili risposte a un certo problema e poi verificarle una ad
una, togliendo quelle che si rivelano inconsistenti. Anche se questa interpretazione è solo
parzialmente accettabile perché qui unità e molteplicità sono oggetto proprio della ricerca
e non la sua struttura metodica.
> Filebo: riferimento al rapporto uno-molti. Il problema di questo dialogo è la natura della
“vita buona”, in particolare quale è l’obiettivo più adatto fra piacere e conoscenza, preferita
da Socrate. Se il piacere è il bene, significa che tutti i piaceri sono buoni e che dunque è
possibile unificare i piaceri sotto un unico titolo. Ma il piacere è uno o molteplice? Per
rendere conto della situazione S. afferma che i molti sono uno e l’uno è molti. Il buon
dialettico è:
a) colui che non si scandalizza di questo paradosso e non si rifugia nei due estremi
opposti; 41 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
b) colui che tiene conto della problematicità del rapporto uno-molti e di conseguenza si
sforza di connettere uno e molti in modo preciso e paziente per essere sicuro di non avere
trascurato nulla e di non incorrere in errore.
Forse l’esempio migliore di dialettica che troviamo in Platone è dato dallo studio dei generi
e dei loro rapporti reciproci nell’ultima parte del Sofista: lo straniero di Elea applica il
metodo dicotomico o della divisione. L’esame di questi rapporti si configura come un
lavoro di analisi e sintesi perché illustrare i rapporti di esclusione e inclusione tra generi e
specie significa
1) raccogliere tutte le specie pertinenti sotto un medesimo genere
2) dividere un certo genere in tutte le specie che effettivamente appartengono ad esso
tentativo di disegnare l’immensa mappa geografica dei rapporti generi-specie
selezionando accuratamente il numero enorme ma finito di rapporti corretti dal
numero infinito di rapporti scorretti.
5.1.5. DIALETTICA E VERITÀ.
Il quadro della dialettica platonica è variegato e complesso. La dialettica è in grado di
raggiungere una conoscenza delle idee piena e completa attraverso la definizione?
Si potrebbe pensare che la definizione si raggiunga col metodo dicotomico:in realtà si
possono fare molte più divisioni, per esempio lo straniero di Elea fa sei divisioni per il
sofista.
L’infinità strutturale della dialettica trova corrispondenza nella contrapposizione tra la
natura filo-sofica dell’uomo, incapace di rinvenire strumenti conoscitivi più forti dei logoi, e
la sophìa degli dei.
NB. In Platone non si trova mai alcuna definizione delle idee.
La dialettica platonica non diventa mai una scienza del tutto impersonale, ma mantiene
sempre la sua originale impronta socratica: lavora mediante la cura dell’anima e l’esame
delle opinioni. Per venire in contatto con la verità, l’uomo non può rivolgersi direttamente al
mondo fuori di sé per descriverlo e comprenderlo, deve ripiegare dentro di sé e rintracciare
nella propria anima le IMPRONTE DI UNA REALTÀ TRASCENDENTE che solo lì può
manifestarsi.
SCIENZA e OPINIONE = termini chiave dell’epistemologia platonica. Perché gli uomini
anche quando usano solo l’intelletto si sbagliano? Problema discusso nel Teeteto, ma
senza soluzione. Qualunque tipo di conoscenza si manifesta come opinione di qualcuno.
Per Platone il criterio di verità è la coerenza tra le opinioni piuttosto che la
corrispondenza tra le opinioni e lo stato della realtà, perché tale corrispondenza è per
principio inverificabile perché per Platone la realtà vera è separata dall’esistenza
mondana.
Se l’interesse filosofico di Platone fosse la conoscenza generale della realtà, la
separazione delle idee gli procurerebbe problemi insormontabili, ma non sono questi i
problemi di cui PLATONE si occupa. 42 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
5.2. ARISTOTELE
5.2.1. I METODI DI RICERCA
Il complesso di opere aristoteliche che va sotto il nome di Organon (=strumento)
costituisce una trattazione articolata sui temi del linguaggio, enunciazione, generi
dell’essere e del discorso, argomentazione, scienza in generale.
Aristotele divideva le scienze in due grandi gruppi:
1) Scienze teoretiche : hanno come fine la conoscenza pura; rappresentano meglio
la natura della filosofia perché, essendo mosse dal puro Desiderio di conoscere,
mostrano il bisogno disinteressato di sapere proprio di qualsiasi uomo. A loro volta
si dividono in tre sottoinsiemi:
a) Filosofia prima = scienza della sostanza in generale
b) Fisica = studia tutti i generi di sostanze mobili
c) Scienze matematiche
2) Scienze pratiche : hanno come fine l’azione o la produzione (si dividono in scienze
pratiche propriamente dette e scienze produttive).
Per costruire l’edificio delle scienze, A. elabora i metodi di ricerca , a questo fine scrive le
opere di logica: la LOGICA non è propriamente conoscenza della realtà, ma è ad essa
propedéutica perché consente di mettere a punto gli strumenti conoscitivi; si occupa di:
- Elementi per mezzo dei quali si costruiscono le argomentazioni scientifiche;
- Argomentazioni scientifiche stesse;
- Tutte le argomentazioni non scientifiche.
5.2.2. IL SILLOGISMO
Aristotele individua la forma base dell’argomentazione nel sillogismo = procedimento
che deduce una conclusione necessaria sulla base di un certo numero di premesse
o proposizioni. La proposizione è una frase in cui un soggetto è collegato a un predicato.
Non tutte le proposizioni però interessano la scienza, ma solo le cosiddette asserzioni,
43 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
cioè le proposizioni che asseriscono la verità o la falsità di un certo stato di cose. Le
proposizioni assertorie sono poi classificabili in base a due criteri:
- Criterio di qualità: le asserzioni possono essere affermative o negative
- Criterio di quantità: le asserzioni possono essere universali o particolari
Combinando i due criteri si generano quattro tipi diversi di proposizioni assertive:
UA: universale affermativa “tutti gli uomini sono mortali”
UN: universale negativa “nessuno uomo è mortale”
PA: particolare affermativa “qualche uomo è mortale”
PN: particolare negativa “qualche uomo non è mortale”
UA e PA sono in rapporto di contraddizione rispettivamente con PN e UN (due proposizioni
si dicono contraddittorie quando se l’una è falsa l’altra è necessariamente vera e
viceversa.
Il sillogismo è trattato da A. soprattutto negli Analitici primi. Benché Aristotele non nomini il
numero delle premesse, di solito sono costantemente due, chiamate premessa maggiore
e premessa minore. Dalla concatenazione di queste premesse discende
necessariamente una conclusione, che è poi una terza proposizione assertoria.
Un sillogismo è composto da tre termini:
1) Soggetto,
2) Predicato
3) Termine medio, attraverso cui il soggetto e il predicato vengono collegati
per dare origine alla conclusione.
Es. Tutti gli uomini (3) sono animali (2), i greci (1) sono uomini (3) i greci sono animali.
Aristotele distingue i sillogismi in tre grandi categorie in base al fatto che il termine medio
nelle premesse sia soggetto o predicato:
a) Sillogismo di prima figura: il t.m. è soggetto nella premessa maggiore e predicato
nella premessa minore;
b) Sillogismo di seconda figura: il t.m. è predicato in entrambe le premesse;
c) Sillogismo di terza figura: il t.m. è soggetto in entrambe le premesse.
NB. Nel sillogismo la correttezza dell’interferenza deve essere accuratamente distinta dalla
verità di quanto esso asserisce. La verità della conclusione dipende infatti in prima istanza
dalla correttezza dell’inferenza e in seconda istanza dalla verità delle premesse.
5.2.3. LA SCIENZA
Aristotele negli Analitici secondi espone le condizioni necessarie perché si possa parlare di
scienza. La premessa deve essere prima, cioè: universale, causa, necessaria. Per
Aristotele la scienza (episteme) è infallibile a differenza dell’opinione (doxa). Alla necessità
della scienza corrisponde la necessità dello stato di cose che essa descrive. Se la scienza
ha carattere dimostrativo può occuparsi solo di cose che non possono essere
diversamente da come sono, perché altrimenti non ci potrebbe essere nessuna
dimostrazione. 44 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
La necessità che almeno una delle due premesse sia universale è condizione della validità
dell’inferenza, se la premessa universale esprime un rapporto genere-specie siamo sicuri
che la premessa è vera.
Come è possibile reperire le premesse vere utili ai sillogismi scientifici? A. esige che in
cima alla catena del sillogismo ci siano dei principi primi, cioè non dedotti
sillogisticamente da altre premesse bisogna trovare metodi non sillogistici per reperire
delle cause e dei principi primi, che non sono di un unico genere:
- Ipotesi
: proprie di ogni singola scienza e consistono nella semplice affermazione
dell’esistenza degli oggetti di cui tale scienza si occupa, non rientrano nella
dimostrazione.
- Assiomi
: principi di ordine logico utilizzati nelle dimostrazioni e sono comuni a uno
o più generi (es. Il principio di non contraddizione, comune a tutte le scienze), non
possono essere oggetto di dimostrazione scientifica, tuttavia possono essere
oggetto di sillogismo dialettico (non scientifico).
- Definizioni : principi più importanti per la costituzione oggettiva delle scienze;
costituiscono l’oggetto stesso della scienza. Per A. un termine risulta definito
quanto si enunciano correttamente il genere di appartenenza e le caratteristiche
che lo differenziano dalle altre specie. Nella definizione si nomina dunque il “che
cos’è” o l’essenza della cosa stessa è tramite la definizione che la cosa entra in
contatto con la realtà e si riempie di contenuto.
5.2.4. LA DIALETTICA
Cos’è la dialettica? Aristotele chiama dialettico quel sillogismo in cui le premesse non sono
vere e necessarie, ma solo probabili e dotate di un certo grado di autorevolezza (éndoxa).
Non ha il compito di stabilire la verità, ma quello di rendere abili nelle discussioni,
qualunque sia l’argomento di cui trattano (non è necessario che rimangano all’interno di un
solo genere).
Nella dialettica è presupposta una situazione dialogico-agonistica (= confutazione
socratica) in cui uno dei due interlocutori formula un’asserzione di carattere endossale e
l’altro interlocutore lo interroga per costringerlo a formulare asserzioni che sono in
contrasto con la sua affermazione iniziale e con altri principi che la comunità dei dialoganti
riconosce ugualmente come endossali.
Vista così la dialettica non ha a che fare con la scienza. Ma, secondo Aristotele, la
dialettica può avere anche un uso scientifico quando la confutazione esaurisce con un
ragionevole grado di certezza tutte le soluzioni alternative a un determinato problema,
lasciando un unico candidato che si accorda con tutti gli èndoxa o con la maggior parte di
essi questa è una dimostrazione, anche se non forte come il sillogismo scientifico.
Veniamo ora all’uso specifico della dialettica come confutazione o dimostrazione indiretta,
strumento per dimostrare gli assiomi più generali. In Aristotele c’è un caso saliente:
dimostrazione del principio di non contraddizione (libro IV, Metafisica). Il PNC consiste
nel negare che una cosa sia x e non x allo stesso tempo e sotto gli stessi rispetti.
Poiché questo principio è il primo in assoluto, non è possibile dimostrarlo in maniera
diretta; però è possibile confutare in modo dialettico e negativo chi lo voglia negare. Quello
che si può fare è dimostrare che se il PNC è falso nessuno può dire nulla e dunque
neppure un eventuale negatore del PNC potrebbe dire che il PNC è falso. Infatti, chi dice
qualcosa pensa che ciò che dice abbia un significato particolare, distinto da altri possibili
45 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
significati così si accetta già il PNC per non affermare il PNC il suo negatore deve
ammettere allora che quanto dice non ha significato.
Veniamo ora a parlare di definizione: la definizione è l’oggetto stesso della scienza. Un
termine generale è definito quando:
- Enunciamo il genere di appartenenza (l’uomo è un animale)
- Enunciamo ciò che lo differenzia dalle altre specie (…bipede, implume)
Quindi è tramite la definizione che la scienza entra in contatto con la realtà e si riempe di
contenuto.
NB. Nelle opere che possediamo di Aristotele il metodo sillogistico-deduttivo non è
impiegato praticamente mai dunque a cosa serve? Due risposte:
a) Efficacia didattica: una volta che una scienza è stata ordinata in sequenze di
ragionamenti necessari, risulta più facile da apprendere e memorizzare;
b) Uso di “controllo”: strutturare una scienza in forma deduttiva permette di costruire
una specie di “sistema formalizzato” in modo tale che possa essere più facile
verificare la correttezza dell’insieme e correggere gli eventuali errori.
5.2.5. LA CONOSCENZA OGGETTIVA DELLA REALTÀ
Attraverso quali mezzi è possibile raggiungere la conoscenza oggettiva della realtà?
1) Dialettica: detta “forte”, è capace di pervenire a vere e proprie dimostrazioni
mediante un procedimento esclusivo (cfr. endoxa).
Quindi posta una definizione come èndoxon (cioè premessa, opinioone
autorevole), si sviluppa poi un’argomentazione dialettica della quale va poi
verificata la correttezza.
2) Induzione = qualunque procedimento che muove dal particolare all’universale. Si
dice induttiva un’argomentazione che ricava una legge generale da casi particolari
(ma non è efficace nella scoperta delle definizioni). L’induzione utile è quella che
porta la mente umana, attraverso il contatto diretto con la realtà sensibile, al
conseguimento dei concetti universali ( l’esperienza è la base per la nascita del
concetto universale; la mente prende coscienza di esso attraverso la ripetizione
della sensazione singola mediata dalla memoria).
È importante notare che Aristotele, però, non dice che l’universale “nasce” nella
mente; al contrario è presente nella realtà che gli uomini percepiscono con i sensi e
da lì può passare alla mente, perché le facoltà umane sono conformate in maniera
tale da poterlo ricevere. Dall’universale che è nella mente poi si passa senza
soluzione di continuità ai discorsi che lo esprimono. Quando poi le parole sono
usate correttamente per esprimere i caratteri generali e le differenze specifiche
sintetizzate nel procedimento induttivo, possiamo parlare di definizione.
Si può dunque dire che A. sia il padre della CONCEZIONE “NATURALE” DELLA
CONOSCENZA E DEL LINGUAGGIO. L’oggetto proprio del conoscere (per A. l’universale)
46 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
è a disposizione dell’uomo dentro la realtà a cui sono rivolte le sue più elementari
esperienze (percezioni).
La sostanziale trasparenza del rapporto tra ESSERE, PENSIERO E PAROLA è alla base
del ruolo primario che A. attribuisce alla DIALETTICA nello studio delle scienze. Pensiero e
linguaggio sono originariamente orientati verso la realtà, per cui nelle opinioni degli uomini
non può non riflettersi almeno una parte della verità è impossibile sbagliarsi in maniera
completa.
Per “esperienza” A. intende l’analisi delle opinioni e di conseguenza il metodo è più
dialettico che sperimentale la “scienza” di A. non è deduttiva e nemmeno empirica in
senso moderno. A. può dunque essere ritenuto il fautore di un METODO SCIENTIFICO
CHE ACCORDA ALLO STUDIO DEI “LIBRI” ALMENO ALTRETTANTA FIDUCIA DI
QUANTO NE ACCORDI ALL’ESAME DIRETTO DELLA NATURA.
5.3. LA TEORIA DELLA CONOSCENZA. CONFRONTO TRA ARISTOTELE E
PLATONE
Diversa concezione della dialettica. La dialettica platonica è forte in linea di principio ma
debole nei fatti, mentre la dialettica aristotelica al contrario.
Platone: la dialettica come scienza perfetta è una specie di idea regolativa, perchè
la dialettica rimane pur sempre dialogica. Nella dialettica platonica, nell’uso
obbligato dei logoi in assenza di un contatto diretto con l’essere, si manifesta una
differenza, un distacco originario dalla verità della cosa che non può mai essere
pienamente colmato.
Aristotele: la dialettica può giungere senza ostacoli in contatto con la verità della
cosa; questa possibilità è garantita dal fatto che l’oggetto proprio della conoscenza,
cioè l’universale, non è separato, ma è a disposizione dell’esperienza. La memoria
è il luogo dove si può sviluppare una nozione compiuta dell’universale perché la
sua struttura non è quella di reminiscenza, ma di ricordo che può sempre rendere
nuovo il suo oggetto. La dialettica aristotelica può conseguire la definizione, intesa
come conoscenza esaustiva e completa della cosa nella sua essenza.
Alla base di queste differenze c’è: a) persistere della sensibilita socratica in Platone, b)
differente valutazione della sofistica in Platone i principi di Gorgia e Protagora
conservano una loro validità; per Aristotele sono semplicemente in errore A. non insiste
su differe tra sophia e filosophia maggiore fiducia nelle capacità conoscitive dell’uomo.
47 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
6. PLATONE E ARISTOTELE. L’UOMO, LA NATURA, IL COSMO
6.1. PLATONE
6.1.1.L’UOMO: ANIMA E IMMORTALITÀ
L’antropologia è uno dei temi in cui la posizione di Platone è meno distinguibile da quella di
Socrate.
I dialoghi in cui si legge che l’uomo è la sua anima e i valori spirituali vengono anteposti a
quelli materiali sono quelli in cui si ritiene che la figura di Socrate sia ritratta con maggior
fedeltà.
Riguardo la dottrina generale dell’anima: la posizione di Platone è molto più articolata di
quella di Socrate.
Platone sottolinea:
1. La sostanzialità dell’anima
2. La sua piena separabilità dal corpo
Nell’Alcibiade primo si trova l’affermazione: l’anima si serve del corpo come di uno
strumento. Quindi l’anima e il corpo sono due entità distinte e separabili.
Quali ragioni abbiamo per affermare ciò? Non può essere che l’anima sia un accordo tra le
varie parti del corpo, che sia un attributo del corpo che dipende da esso?
Nel Fedone la risposta viene dall’etica.
Se l’anima fosse un’armonia del corpo:
1. Non sarebbe in grado di comandargli certi comportamenti
2. Le azioni dell’uomo sarebbero determinate dai suoi bisogni materiali, non ci
sarebbe più spazio per la scelta morale.
48 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
3. Se poi l’armonia è qualcosa di positivo: è impossibile che tutte le anime siano
armonie perché esistono anime malvagie
↓
L’anima è un ente capace di agire indipendentemente dal corpo e di acquisire liberamente
il valore
Nel Teeteto la risposta viene dalla gnoseologia:
Socrate confuta la tesi di Teeteto secondo cui la conoscenza è sensazione. Responsabile
della conoscenza non è direttamente l’organo di senso, ma l’anima a cui tutti i sensi si
riferiscono. L’anima fa uso del corpo come di uno strumento.
Un altro tema su cui Platone va oltre il suo maestro è l’immortalità dell’anima.
Alla base di questo vi è un movente etico: l’immortalità dell’anima, con il corollario di premi
e castighi che porta con sé, è utile per mostrare l’assunto che solo l’uomo virtuoso è felice.
L’immortalità dell’anima non è solo un desiderio, ma anche un dato di fatto argomentabile
razionalmente. Nel Fedone Socrate è impegnato a difendere il suo eudemonismo etico,
cioè a mostrare ai suoi amici che la sua condotta è la migliore anche sul piano della
felicità. Questo difficilmente può essere fatto senza ricorrere alla vita ultraterrena.
Gli argomenti sono:
1. Antapòdosis: in natura ogni processo è reversibile, altrimenti tutte le cose si
troverebbero prima o poi in uno stato di immobilità. Non può esistere quindi solo un
passaggio dalla vita alla morte, ma ci deve essere anche un passaggio contrario,
dalla morte alla vita.
2. Con il primo argomento si dimostra solo la cosmica eternità della vita, non
l’immortalità individuale. Il secondo argomento è quindi la dottrina della
reminescenza.
3. L’anima ha poi affinità con ciò che è immortale, perfetto, immateriale, quindi con le
idee. La debolezza di questo argomento sta nel fatto che si fonda su un’analogia.
4. Un oggetto scaldato e il fuoco sono caldi in maniera diversa. L’oggetto può essere
indifferentemente caldo o freddo, mentre il fuoco è caldo per natura. All’avvicinarsi
del freddo, l’oggetto caldo semplicemente si raffredda, mentre il fuoco deve perire
o fuggire via intatto. Tra anima e vita c’è la stessa relazione che tra fuoco e calore.
L’anima è viva in modo essenziale, non potrà mai essere morta. L’anima è
immortale per natura, questo la differenzia da cose come il fuoco, e dunque si può
ritenere che fugga via intatta.
5. Un altro argomento è nella Repubblica. La malattia propria dell’anima è il vizio
morale, ma questo non ha l’effetto di farla morire. Dunque se non fa questo il male
suo proprio, nessun’altra causa lo può fare.
6. Un altro argomento è nel Fedro. Come la vita è capace di dare vita ad altro, così
c’è un moto capace di far muovere le altre cose. È precisamente il moto che muove
anzitutto se stesso. Se non ci fosse un tale principio prima o poi tutto diverrebbe
immobile. Questo principio non può che essere l’anima, che è eterna e immortale.
Comunque è difficile pensare che Platone considerasse queste dimostrazioni realmente
conclusive. Questioni come l’immortalità dell’anima sono davvero difficili da definire, sono
però essenziali per la condotta di vita di ogni uomo. Dunque bisogna sforzarsi di trovare gli
argomenti meno confutabile affrontare con essi il gran mare della vita.
6.1.2.LA NATURA DELL’ANIMA
Nel Fedone Platone espone una teoria sull’anima vicina a quella socratica. Egli accentua
la differenza tra anima e corpo. In questo dialogo, prevalgono i temi ascetici e largo spazio
è dato al motivo orfico secondo cui l’anima si trova nel corpo come incatenata e vorrebbe
fuggire via. L’anima è descritta qui come un elemento semplice, che coincide con la
razionalità: tutto ciò che non è ragione è messo a carico del corpo ed è rappresentato
come un elemento di disturbo sulla strada che porta allo sviluppo di virtù e filosofia.
49 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
In Repubblica, Fedro e Timeo: le cose cambiano, Platone si allontana dalla psicologia
razionalista del suo maestro.
Nella Repubblica Platone fa esporre a Socrate una concezione tripartita dell’anima:
1. Razionale: corrisponde all’anima in senso eminente descritta da Platone
2. Animosa: luogo in cui risiede la forza d’animo o del carattere, quel coraggio che dà
forza di resistere nelle decisioni prese
3. Concupiscibile: funzione che presiede agli impulsi fisiologici e corporei
Nella Repubblica i conflitti interni attribuiti nel Fedone al contrasto tra anima e corpo, sono
ora ascritti al contrasto tra le varie parti dell’anima.
Platone:
- Descrive l’anima in modo più realistico
- Permette all’uomo (anima) di comporre senza rotture la sua vita psichica sotto
l’egida della ragione
Nel Fedro Socrate racconta un mito in cui l’anima è descritta come un cocchio alato,
guidato da un auriga e condotto da due cavalli, l’uno più docile e l’altro più riottoso.
Nel Timeo viene ribadita la tripartizione con l’aggiunta che solo la parte razionale è
davvero immortale. Inoltre il dualismo tra spirito e corpo è attenuato da:
a) Timeo localizza poi le tre funzioni psichiche in tre diverse parti del corpo:
1. Testa
2. Sezione del tronco da collo a diaframma
3. Da diaframma a ombelico
b) Platone si rende conto della stretta correlazione che c’è tra anima e corpo, egli dimostra
quanto le caratteristiche del corpo siano importanti per la salute dell’anima e viceversa.
6.1.3. LA NATURA E IL COSMO
Platone nella sua opera non ha concesso molto spazio allo studio del mondo fisico.
Questo dipende all’orientamento etico-politico che Platone ha impresso a tutto il suo
pensiero. Nel Fedro Socrate spiega che egli non si allontana mai dalla città perché le
campagne e gli alberi non insegnano nulla, mentre gli uomini sì.
Il Timeo, l’unico dialogo in cui Platone tratta di argomenti fisici, riflette non tanto l’esigenza
di descrivere la realtà materiale, ma quella di mostrare la relativa bontà del mondo in cui
l’uomo si trova a vivere. Il Timeo costituisce un utile supporto alle tesi etico-politiche
esposte nella Repubblica, perché fonda nella bontà generale del cosmo le premesse su
cui l’uomo può organizzare la sua vita all’insegna del bene.
Prologo: Timeo accenna al mito di Atlantide, poi espone la generazione del cosmo e
descrive la realtà che in esso è contenuta. Il suo discorso non deve essere inteso però
come verità scientifica, ma come mito verosimile. Il demiurgo poi racconta la nascita del
cosmo che comprende anche entità metafisiche come l’anima e gli dei.
Il cosmo è stato generato da una causa divina e intelligente, il demiurgo. Questo compie
un’opera di riordinamento sulla base di principi preesistenti: il primo e più importante di
questi principi è il cosmo noetico, che il demiurgo prende a modello. La causa per cui il
demiurgo si mette all’opera è la sua bontà.
Questa prospettiva deontologica è tesa a mostrare che le cose sono così come devono
essere in vista del meglio.
Timeo afferma poi che l’universo, se davvero è buono, deve essere vivo, perché le cose
intelligenti sono generalmente migliori di quelle prive di intelligenza e non vi può essere
intelligenza senza vita.
Poiché si tratta di una realtà generata, dunque differente dalla pura immaterialità delle
idee, il cosmo deve essere composto di materia;
↓ 50 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Platone riprende, riorganizzandola secondo proporzioni geometriche, la classica dottrina
empedoclea dei quattro elementi: terra, aria, fuoco, acqua. Nel cosmo, che è sferico e che
si muove di moto circolare, è compresa tutta la materia disponibile, in modo che non ci sia
nulla fuori di esso.
Per questo motivo il cosmo è: eterno, immune da generazione e da corruzione.
Problema: come può essere eterno il cosmo se è generato dal demiurgo?
Che il mondo abbia un’anima è reso necessario dal fatto che si tratta di un vivente e senza
anima non c’è vita. → dunque il demiurgo deve generare anche l’anima cosmica→ per
fare questo egli prende: l’identico, il diverso e il misto.
Questa è una descrizione simbolica con cui Platone vuole significare che l’anima ha una
natura intermedia tra la variabile diversità delle cose sensibili e l’immutabile stabilità
dell’idea.
Questa medietà si esplica a livello di:
1. Gnoseologia: nella dottrina della reminiscenza l’anima fa da ponte tra la realtà delle
idee e il mondo materiale, perché appartiene ad entrambi.
2. Ontologia: l’anima ha un doppio statuto perché la sua possibilità di esistere
eternamente separata dal corpo si sposa con la sua funzione di animare la materia.
Tale doppia natura è indice di una tensione che il pensiero platonico non è in grado di
riassorbire:
1. Da un punto di vista antropologico e psicologico: l’anima è il veicolo che può
condurre l’uomo fuori dalla caverna e dalle miserie della realtà sensibile.
2. Da un punto di vista fisico-cosmologico: la caduta dell’anima nella materia è
l’evento provvidenziale che permette alla materia di essere animata e di
organizzarsi per realizzare tutto il bene di cui essa è capace.
Le due prospettive non collimano perfettamente: l’oltremondo è posto per l’esigenza di
dare valore al mondo in cui l’uomo vive → in tal modo si genera un mondo perfetto, a cui
non si vede che cosa possa aggiungere la relativa bontà del mondo sensibile.
L’introduzione dell’anima ci fa comprendere il problema dell’eternità del mondo: il cosmo è
creato eterno dal demiurgo perché per renderlo il più possibile simile al modello ideale.
Il tempo è stato creato come immagine mobile dell’eternità.
Ci sono due modalità diverse dell’eterno:
1. Il presente intemporale dell’idea, che rimane in uno. Le idee sono quindi fuori dal
tempo.
2. La durata eterna del cosmo, che procede secondo il numero. Il cosmo è in un
tempo che dura per sempre. Questa seconda eternità è caratteristica dell’anima ed
è dall’anima trasmessa al cosmo.
Quindi l’anima e il cosmo possono essere si ingenerati che generati: sono
ingenerati se si parla di generazione nel tempo, sono generati se consideriamo la
loro dipendenza metafisica da un demiurgo che li ha posti in essere.
Dopo l’anima, il demiurgo genera i corpi celesti e gli dei. Gli astri cono considerati delle
divinità. Nel Timeo, Platone attribuisce all’anima del mondo anche una collocazione
astronomica.
Fino a questo momento la creazione del cosmo è proceduta sulla sola base
dell’intelligenza del demiurgo. Timeo nota che c’è bisogno di una seconda causa: causa
errante.
Questa è definita chora, che significa spazio o regione. Questa ha una natura
singolarmente ambigua: è quell’elemento indefinito mediante il quale una certa forma si
particolarizza, diviene precisamente quella singola cosa che è. Se la chora è l’indefinito
primordiale, le forme più semplici sono i quattro elementi.
51 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
6.2.ARISTOTELE
6.2.1. L’ANIMA
La psicologia di Aristotele è molto diversa da quella platonica
1. Perché è più scientifica e più concentrata sull’anima come responsabile delle
funzioni vitali dell’organismo.
2. Perché in essa vengono a mancare gli orizzonti metafisico-escatologici
caratteristici della riflessione platonica. La dottrina dell’anima è per Aristotele una
parte della fisica.
De anima:
- Aristotele prende in considerazione le opinioni dei suoi predecessori. A Platone
obietta di essersi occupato solo dell’anima umana. Se è vero che l’anima è
essenzialmente vita, sarà possibile individuare la sua natura solo mettendo in
primo piano questo aspetto: il che significa che quanto si dice dell’anima deve
valere per tutti gli esseri dotati di vita, animali e piante compresi.
- L’anima è l’atto primo di un corpo fisico organico che ha la vita in potenza. Essa
consiste nella realizzazione della potenzialità di vivere propria di alcuni corpi.
L’anima sta al corpo nella stessa relazione in cui stanno una certa forma e la sua
materia specifica. Se intendiamo perciò la sostanza in senso primario alla luce
della dottrina delle Categorie, la vera sostanza è in questo caso l’individuo singolo,
cioè il composto (sinolo). Se dunque la sostanza è sinolo, dovremmo concludere
che l’anima non è sostanza? L’anima è sostanza e lo è nel senso della forma.
- Se l’anima è la forma di un vivente deve essere in grado di esprimere la sua
essenza. ↓
L’anima è essenzialmente vita, ma non si può dire che la vita sia l’essenza dell’uomo.
L’essenza dell’uomo si deve poter distinguere da quella di piante e animali, mentre la vita
le accomuna. Si potrebbe risolvere il problema dicendo che l’anima dell’uomo differisce da
quella degli altri esseri viventi perché è per essenza razionale.
Differenze con la concezione di anima di Platone:
Se l’anima è sostanza nel senso della forma è inseparabile dal corpo: ne derivano 2
conseguenze:
1. La psicologia aristotelica garantisce per natura a ciascun vivente un’unità
psicofisica assai stretta.
2. L’anima deve morire insieme al corpo
Funzioni dell’anima:
Tutti i viventi hanno un’anima, ma non tutte le anime hanno le stesse funzioni:
1. L’anima delle piante: possiede solo la funzione vegetativa: possiede le sole funzioni
nutritiva e riproduttiva
2. L’anima degli animali possiede la funzione vegetativa e quella sensitiva: dispone di
sensibilità e motilità
3. L’anima umana possiede le funzioni vegetativa, sensitiva e razionale
La spiegazione psicologica che Aristotele fornisce del processo conoscitivo, sia sensibile
sia intellettuale, fa appello alla coppia di concetti potenza-atto.
Percezione sensibile: ogni organo di senso è in grado di riconoscere negli oggetti le forme
che gli sono proprie, dunque è “in potenza” quelle forme. Es. quando l’occhio percepisce il
colore blu, l’occhio diventa blu in atto assimilandosi alla cosa percepita. Anche nell’oggetto
sensibile la forma, presente in potenza nell’oggetto, diviene in atto quando l’organo di
senso la percepisce. ↓ 52 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Il fenomeno di percezione è un caso di identificazione: la forma sensibile è percepita
mediante il duplice moto con cui l’organo di senso e la forma sensibile realizzano lo stesso
unico atto.
La sensazione, intesa come percezione da parte di un organo di senso della forma sua
propria, è infallibile: c’è errore quando un sensibile è confuso con un sensibile proprio di un
altro senso; Aristotele si rende conto chela sensazione non è data solo da contatti singoli
di organi di senso con le loro forme, ma permette di conoscere fenomeni comuni a più
sensi → si tratta di sensibili comuni
I sensibili comuni manifestano l’esistenza di uno sfondo più ampio in cui si inscrivono le
varie sensazioni. Il responsabile di questo corridoio percettivo è una specie di senso
comune→ esso non trova riscontro nel corpo e non ha un suo specifico organo, ma
costituisce una sorta di capacità di organizzare i cinque sensi tra di loro.
Con queste spiegazioni Aristotele amplia il dominio della conoscenza sensibile, quella che
l’uomo ha in comune con gli altri animali, ben oltre i limiti posti da Platone. Dal Teeteto si
ricava che la funzione di coordinare tra loro le sensazioni è sufficiente a richiedere
l’intervento della ragione, per Aristotele ciò può essere spiegato ancora al livello della
conoscenza sensibile.
Aristotele attribuisce agli animali non umani anche alcune caratteristiche che potremmo
chiamare quasi-razionali: phantasìa.
↓
Comprende:
1. Il concetto di immaginazione mentale di cui gli uomini fanno uso quando pensano
2. Il concetto di apparenza
L’introduzione della phantasìa riflette il tentativo di trovare un punto medio per impedire
che tra senso e intelletto si crei un divario troppo profondo.
Conoscenza intellettiva: è spiegata per mezzo della coppia potenza-atto. Negli oggetti che
noi percepiamo sono contenute non solo le forme sensibili, colte dal senso, ma anche
quelle intellegibili, colte dall’intelletto.
Affinché l’intelletto abbia potenzialità di ricevere tutte le forme, deve essere in quanto tale
privo di forma, cioè una sorta di tabula rasa: intelletto potenziale o passivo.
La conoscenza avviene quando l’intelletto potenziale si attualizza, ossia diviene quella
determinata forma a cui dirige la sua attenzione. La conoscenza intellettiva è un atto di
identificazione del tutto analogo a quelli che si verificano nella conoscenza sensibile.
↓
Un principio generale della filosofia di Aristotele: qualcosa può passare dalla potenza
all’atto solo per opera di qualcosa che è già in atto.
Questa cosa non è l’intelletto potenziale. Perciò Aristotele introduce un intelletto produttivo
o attivo: ha la funzione di portare all’atto sia le forme intellegibile nelle cose sia lo stesso
intelletto potenziale.
Intelletto produttivo:
1. Si comporta come la luce: trasforma i colori in potenza in colori in atto
2. Pensa sempre. Non sappiamo a cosa effettivamente pensi.
6.2.2. LA NATURA
In Aristotele la trattazione fisica in senso proprio riguarda la realtà naturale così come si
presenta nel suo aspetto sensibile e fenomenico:
• Quella animata: studiata nelle opere biologiche
• Quella inanimata: dottrina degli elementi e dei loro moti
• La cosmologia
Rapporto arte-natura: 53 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Per Platone: l’universo è stato prodotto da un artigiano, che agisce provvidenzialmente
sulla base di un modello
Per Aristotele: l’arte imita la natura e non viceversa, ossia che la natura ha un suo ordine
intrinseco, senza che vi sia bisogno per questo di una mente organizzatrice o di un atto
creativo
Finalità della natura:
Platone: ritiene che in assenza di un ordinamento divino la natura ricadrebbe nella
condizione antifinalistica dell’universo democriteo
Aristotele: ritiene che la finalità stessa è un dato di natura. Aristotele non pensa a una
finalità generale e unitaria per tutto l’universo, ritiene che la struttura teleologica interessi
ogni ente particolare.
Il motivo più importante che distanzia la scienza aristotelica da quella odierna consiste nel
fatto che Aristotele non condivide l’esigenza unificatrice caratteristiche delle moderne
indagini sulla natura. Per Aristotele i principi sono identici solo a livello generico e
funzionale. Non esiste né una materia unica comune a tutte le cose, né un unico genere di
moto, ma gli elementi sono qualitativamente diversi e così pure i loro moti.
La natura è costituita da tutte le cose soggette a mutamento. L’esistenza del mutamento
costituisce uno degli assiomi della fisica aristotelica e dunque non deve essere dimostrata.
Aristotele individua 4 tipi di mutamento:
1. Secondo la sostanza: che corrisponde alla generazione e corruzione
2. Secondo la qualità: alterazione
3. Secondo la quantità: aumento e diminuzione
4. Secondo il luogo: moto locale
I principi funzionali e generali di ogni mutamento sono:
1. Privazione
2. Potenza
3. Materia
4. Forma
5. Atto
Poi bisogna scendere e vedere quali siano i costituenti ultimi della realtà che muta e a
quali generi di mutamenti siano essi soggetti.
Aristotele rileva delle sostanziali differenze tra:
1. Mondo sopralunare: i corpi si muovono di moto circolare, l’unico che può essere
eterno e continuo e sembrano soggetti al solo mutamento locale
2. Mondo sublunare: il moto ha carattere rettilineo e si verificano tutti e quattro i
generi di mutamento.
↓
Aristotele ipotizza che i cieli siano fatti di una materia diversa da quelle esistenti nel mondo
sublunare. Il mondo sublunare è formato dai quattro elementi empedoclei, mentre il mondo
sopralunare è fatto di etere.
Il moto locale dei 4 elementi non è qualitativamente uguale. Aristotele ritiene che i moti
reali siano per lo più composti, ma che possano essere ridotti a 4 moti elementari:
1. Dall’alto verso il basso (terra e acqua)
2. Dal basso verso l’alto (fuoco e aria)
Per spiegare come mai gli elementi si muovono nella maniera anzidetta, Aristotele
introduce la celebre teoria dei luoghi naturali: es. la terra tende verso il basso perché il suo
luogo naturale è il punto infimo assoluto, cioè il centro della sfera terrestre.
54 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
La teoria dei luoghi naturali è un caso saliente di come Aristotele applica al mondo fisico la
causalità teleologica. Per spiegare il mutamento degli enti ritiene indispensabile chiamare
in causa la tensione finalistica a conseguire un determinato obiettivo.
Il cosmo è un ambiente qualitativamente organizzato e differenziato, in cui esiste un ben
preciso ordine naturale che spiega la diversa natura delle cose e dello spazio.
La natura è il luogo in cui i fenomeni accadono sempre o per lo più nello stesso modo.
Aristotele non ammette l’esistenza del vuoto:
1. Il vuoto non è indispensabile per il movimento, come dimostrato dal moto dei fluidi
2. Se ci fosse il vuoto esisterebbe uno spazio inerte e qualitativamente indeterminato
in cui non ci sarebbe nessun ordine naturale
SPAZIO: non può esistere uno spazio generico e neutro. Esiste il luogo, cioè lo spazio
inteso sempre in relazione agli oggetti che vi si trovano, che Aristotele definisce come
limite del corpo contenente.
TEMPO: è la misura del movimento secondo il prima e il poi. Il tempo è relativo al
movimento: se non c’è nessun oggetto che si muove, non c’è nemmeno il tempo.
INFINITO: l’infinito può esistere soltanto in potenza e mai in atto. Se prendiamo, ad
esempio, la serie dei numeri naturali, in potenza questa serie è infinita, perché è sempre
possibile aumentare il numero di una unità. Non è invece possibile avere presente in atto,
cioè come un insieme compiuto, una quantità infinita.
6.2.3. GLI ESSERI VIVENTI
Aristotele considerava gli esseri viventi come la sezione di gran lunga più importante della
natura, tanto da dedicare allo studio degli animali la quantità maggiore dei suoi scritti di
scuola
I corpi degli esseri animati sono composti dei quattro elementi. Individua
nell’organizzazione della materia una scala di complessità crescente. I quattro elementi
possono trasformarsi l’uno nell’altro mediante lo scambio parziale delle qualità distintive,
cioè caldo, freddo, umido, secco.
Es. la terra (fredda e secca) può trasformarsi in acqua (fredda e umida) scambiando il
secco con l’umido.
Gli elementi esistono sia allo stato puro, sia mescolati tra di loro → questa mescolanza dà
origine a composti che Aristotele chiama omeomeri, perché divisibili in parti
qualitativamente analoghe all’interno.
Negli esseri viventi questi omeomeri corrispondono ai tessuti e costituiscono la materia di
cui sono fatti i corpi. Gli esseri animati non sono composti solo di parti omeomere, ma
sono organizzati in sistemi complessi fatti di parti disuguali (anomeomere) che collaborano
allo stesso fine.
Gli organismi più sviluppati sono quelli che dispongono di più organi e dunque di un
maggior numero di funzioni. L’uomo quindi occupa il gradino più alto di una scala naturale,
perché esercita il maggior numero di funzioni.
Aristotele non è in grado di offrire spiegazioni dettagliate delle funzioni dei vari organi. Egli
ha compiuto un notevole sforzo di astrazione notando che organi diversi in animali diversi
potrebbero avere una funzione analoga.
Aristotele sostiene il principio dell’eternità della specie → esito naturale della teleologia
distributiva: se è vero che la causa formale e finale di un certo essere vivente consiste nel
realizzare nel modo migliore le potenzialità della sua specie deve rappresentare un grado
di perfezione non suscettibile di ulteriori sviluppi.
Classificazione degli animali: gli animali sono divisi in base al genere, la specie e le
differenze specifiche. 55 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
6.2.4. COSMOLOGIA E ASTRONOMIA
Nelle teorie astronomiche Aristotele si attiene ai risultati raggiunti dall’Accademia, in
particolare da Eudosso.
De caelo: l’universo è una sfera di dimensioni finite con la terra saldamente posta al suo
centro. Il mondo sopralunare si articola in un certo numero di sfere concentriche inserite
l’una nell’altra. Le sfere si muovono di moto circolare, tale che la più esterna comunica per
contatto il suo moto a quella interna.
A cosa servono queste sfere?
La sfera più esterna è la superficie su cui stanno le stelle, che, viste dalla terra, paiono
muoversi di moto coerente e lentissimo.
Le sfere intermedie servono a spiegare il ben più veloce movimento dei satelliti della terra.
A ogni pianeta era associato un certo numero di sfere, le quali, se fatte girare con
inclinazione opportuna intorno ad assi non coincidenti, davano come risultante per ogni
gruppo un moto in grado di rispecchiare le anomalie fenomeniche.
Aristotele quando associa questa teoria a quella delle 55 sfere celesti sembra ritenere che
ciascuna di queste sfere sia mossa da un proprio motore, cosicché i motori immobili
diventerebbero altrettanti.
Eternità del mondo:
Platone nel Timeo: dice che il mondo è generato
Aristotele: ogni movimento implica un passaggio dalla potenza all’atto, cioè a uno stato di
quieto. A ogni cosa che sia attualmente in quiete deve precedere un movimento che
l’abbia condotta in quello stato. Non è dunque pensabile che un movimento sia
assolutamente primo.
I discepoli di Platone risposero che la generazione del cosmo di cui si parla nel Timeo è
metaforica.
In realtà nel Timeo la generazione non è pensata come evento fisico, ma come segnale
della dipendenza della realtà fenomenica da una causa divina e previdente.
Per Aristotele c’è in natura un ordine originario:
1. Non esiste nessun caos primordiale
2. Non vi è nessun bisogno di introdurre l’ordine dall’esterno, di far dipendere
l’organizzazione della natura dal progetto consapevole di un ente superiore.
56 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
7. PLATONE E ARISTOTELE. ETICA E POLITICA
7.1. PLATONE
7.1.1. ETICA
Platone riprende l’etica socratica e integra i principi etici del maestro.
Principio fondamentale dell’etica socratica: eudemonismo etico: primato della vita buona o
della felicità.
Su questo l’accordo di Platone è automatico, però si ritiene che Platone abbia corretto
l’intellettualismo etico di Socrate dando il dovuto peso alle passioni e agli impulsi
irrazionali.
Eutidemo: Socrate afferma che l’unico vero bene è la sapienza, intesa come quella virtù
che consente di usare le cose nel modo corretto. Tutti gli uomini desiderano essere felici.
L’agire morale si configura come una tecnica volta alla produzione di un certo obiettivo, e
la sapienza come mezzo adeguato per raggiungerlo. Quindi la virtù basta alla felicità, la
virtù è quella scienza capace di mostrare all’uomo come potrà essere felice.
Contenuto della felicità: eudaimonìa + aretè. È felice, cioè vive bene, chi fa le cose come
devono essere fatte, in modo appropriato alla loro natura, al loro scopo, alla loro funzione.
Esiste un’unica gerarchia di beni, che hanno valori ineguali in base alla maggiore o minore
efficacia nel promuovere la realizzazione di quello che è l’unico vero bene, cioè la vita
buona.
Se è vero che tutti gli uomini vogliono essere felici, non esiste una reale concorrenza tra i
diversi obiettivi; e quando proprio questo sembra verificarsi è perché l’agente ignora qual è
la strada che davvero lo può condurre alla felicità.
L’etica socratico-platonica prende le mosse dalla constatazione che tutte le azioni umane,
dalle più nobili alle più turpi, sono guidate dall’esigenza di realizzare la vita buona, mentre
le differenze di comportamento derivano dal diverso modo in cui la si intende. Lo spazio
della morale rimane quindi intatto: basta ritenere che virtuoso è colui che comprende che il
vizio non è un bene sotto nessun profilo.
Dottrina delle virtù: 57 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Platone sembra staccarsi in qualche punto da Socrate.
Anche per Platone la virtù è conoscenza e il vizio ignoranza, non si deve però ritenere che
si possa diventare virtuosi semplicemente sostituendo un ragionamento migliore a uno
peggiore.
Nella Repubblica Platone mostra che nell’anima esistono parti anche non razionali e che
quindi il vizio si verifica non solo e non tanto a causa dell’uso scorretto della ragione, ma
anche quando i desideri e gli istinti si impongono all’anima razionale in luogo di farsi
docilmente dominare da essa.
Anche il questo caso il vizio si manifesta come ignoranza perché è proprio dell’ignorante
ritenere che la felicità si ottenga soddisfacendo gli istinti più bassi. Platone però non ritiene
che ogni comportamento moralmente negativo sia dovuto a un uso distorto della ragione e
può spiegare come sia possibile l’incontinenza. La ragione è sopraffatta dagli istinti e
l’ignoranza consiste nella scorretta subordinazione degli obiettivi della propria parte
razionale a quelli della parte concupiscibile.
Socrate: la virtù è conoscenza, quindi dovrebbe essere una sola.
Per Platone la differenza degli ambiti, corrispondente in parte alle diverse funzioni
dell’anima, specifica la generica conoscenza del bene e del male. Questi sottoinsiemi
individuano quattro virtù particolari:
Sapienza, coraggio, temperanza, giustizia.
Socrate: il rapporto tra virtù e conoscenza ha una duplice valenza:
1. La virtù come conoscenza di ciò che produce la vita buona
2. La virtù come esercizio della conoscenza
Colui che conosce meglio di tutti in che cosa consistono il bene e la felicità è il filosofo e
ciò che il filosofo desidera in massimo grado è conoscere.
Ciò non significa che per Platone l’unica vita buona sia quella filosofica. Vi è una scala
diversamente graduata: tanto più una persona è felice quanto più i suoi desideri si
sollevano dagli oggetti propriamente materiali e si avvicinano alla felicità propria dei
filosofi.
Filebo: Platone scarta l’ipotesi che la vita buona sia quella dedita ai piaceri, ma anche
quella secondo cui coincide semplicemente con la conoscenza e si orienta per un misto tra
le due.
Anche in ambito etico in Platone: ad asserzioni massimalistiche sui caratteri della vera
realtà corrispondono sul piano pratico degli scarti e delle differenze, dovute al fatto che
l’uomo vive nella dimensione temporale e mondana e che la pienezza dell’essere, del
conoscere e del bene è disponibile solo in una dimensione metafisica e trascendente.
Questa pienezza si manifesta in particolare nella dimensione escatologica, ossia nella
persuasione che l’uomo sia soggetto a un destino ultraterreno dipendente dal grado di
virtù da lui conseguito nella vita mortale. A questa prospettiva ultraterrena Platone dedica
alcuni miti famosi.
7.1.2. POLITICA
Repubblica: contiene il nesso tra etica e politica, bene dell’individuo e bene della società. Il
tema generale del dialogo è la natura della giustizia.
• Stato naturale: gli uomini soddisfano solo i bisogni materiali più bassi.
• Stato di più ampio respiro: si moltiplicano le persone, quindi anche bisogni e
risorse, e si deve provvedere alla difesa militare.
Il ruolo dei bisogni impone al creatore dello Stato ideale la divisione in classi
1. Lavoratori: un bisogno primario consiste nel sostentamento dello Stato
2. Guardiani: difesa
3. Governanti: con il compito di organizzare e dirigere la comunità
58 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
La divisione in classi deve avere un fondamento naturale nelle differenti attitudini e
capacità di ciascuno. La distribuzione è fatta in base alle qualità naturali.
Alle diversità naturali corrispondono delle differenze di stato economico e sociale: i membri
della classe dei produttori hanno accesso alla proprietà e allo scambio dei beni e possono
formarsi una famiglia, a guardiani e governanti questo è proibito. Tutti i loro beni sono
comuni e la procreazione verrà regolata dallo Stato.
Per capire prescrizioni così radicali bisogna tener presente alcuni elementi:
Platone descrive uno Stato ideale a cui ispirarsi come modello.
I fattori necessari per Platone di questa giustizia integrale sono:
1. Il principio della distribuzione delle competenze
2. Smantellamento dei vincoli della società greca dall’istituto tradizionale dell’oikos.
L’oikos è il luogo dove si producono interessi e affetti privati e finché esistono
questi affetti è inevitabile farli prevalere. Bisogna fare in modo che i governanti non
abbiano interessi privati da contrapporre a quelli comuni. Platone vuole dimostrare
che la classe dei governanti r dei guardiani non possiede beni materiali perché non
li desidera.
Platone si accorge che guardiani e filosofi non hanno accesso a troppe cose che si
ritengono importanti per la vita buona. Perciò fa capire che ciò che interessa davvero è la
massima felicità nell’insieme e che per raggiungere questo obiettivo vale la pena
sacrificare qualcosa.
L’educazione è parte essenziale nella Repubblica e nel pensiero di Platone. Egli elabora
un programma educativo per i guardiani e per i governanti incentrato secondo tradizione
sulla ginnastica e sulla musica → equilibrio psicofisico.
La costruzione della Repubblica deve essere considerata utopistica, per questo Platone
scrive anche il Politico e le Leggi.
Nel Politico Platone: non ritiene più possibile concentrare politica e filosofia negli stessi
individui; ammette la necessità delle leggi. Platone continua a ritenere che il governo fra
tutti migliore sia quello di chi possiede il sapere in modo perfetto e compiuto e che se il
governante è tale, le leggi non servono a nulla e può essere applicata indiscriminatamente
la coercizione.
La differenza sta nel fatto che:
1. Platone si preoccupa meno di costruire un modello ideale
2. Tiene conto di quanto sia difficile trovare uomini abbastanza sapienti da concedere
loro un potere autoritario
3. Molto gravi gli appaiono i danni che procurerebbero allo stato sedicenti filosofi
dotati di potere assoluto: si impone la necessità della legge.
Leggi: il mito di Crono spiega il doppio registro tra il bene perfetto, che dominerebbe
incontrastato qualora gli uomini fossero governati dagli dei, e l’approssimazione del bene,
da cui non si può derogare se i governanti sono uomini. Nello Stato descritto nelle Leggi
Platone:
1. Concede un certo diritto di cittadinanza alla democrazia
2. Rinuncia all’abolizione totale della proprietà privata, non per questo però la
liberalizza del tutto. Divide i cittadini in quattro classi patrimoniali, stabilendo che
ciascuna famiglia possieda parte dei suoi beni in città e parte dei suoi beni in
campagna. La classe più bassa possederà un patrimonio pari a 1, quella
immediatamente più elevata a 2 ecc., e lo stato provvederà a riequilibri forzati nel
caso che qualcuno oltrepassi il limite minimo (1) o il limite massimo (4). Platone
ribadisce lo stesso principio stabilito nella Repubblica, ossia che il massimo grado
di giustizia si avrebbe qualora la proprietà non esistesse per niente. Le parziali
concessioni ammesse nelle Leggi dipendono dunque dalla necessità di rendere più
realistico il modello. 59 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
7.2. ARISTOTELE
Le concezioni etiche si trovano: Etica Eudemia e Etica Nicomachea. L’etica è una scienza
pratica, che differisce dalle scienze teoretiche quanto al fine e al metodo.
Il fine consiste nel bene, nell’agire in modo buono. Non tutti i fini trovano completamento in
se stessi, ciò che è fine in rapporto a qualcosa, può essere mezzo in rapporto a
qualcos’altro.
Quindi l’etica è subordinata alla politica: la politica stabilisce i fini di carattere più generale.
L’uomo può realizzare compiutamente il bene solo nella comunità.
Metodo: non può essere rigoroso come quello delle scienze matematiche, ma anche l’etica
può essere definita scienza: il suo metodo non può essere quello ipotetico-deduttivo, ma
quello dialettico
Il fine dell’azione umana è la felicità, cioè il bene umano. Questo bene non può essere
identificato in un principio assoluto e trascendente.
Per individuare un bene praticabile, Aristotele fa riferimento a tre tipi di vita appetibili:
1. La vita rivolta alla soddisfazione dei piaceri
2. La vita dedicata alla politica
3. La vita dedita alla conoscenza
Per capire in che cosa consista il benessere dell’uomo bisogna capire qual è la sua natura
specifica, che lo distingue dagli altri animali. Tale natura è la razionalità e perciò si può
escludere che la vita dell’uomo sia finalizzata al piacere. Per raggiungere il fine la
razionalità deve essere esercitata secondo virtù, cioè nel modo migliore e più perfetto
possibile. Virtù vuol dire eccellenza.
Per Aristotele da un lato la virtù è sufficiente per la felicità, dall’altro non lo è. Se la virtù
consiste nel fare bene le cose che producono la vita buona, è ovvio che virtù e felicità
coincidono. Per realizzare compiutamente questo obiettivo è necessario anche il concorso
il circostanze esterne, come una certa disponibilità di risorse materiali; senza di esse non è
possibile realizzare con successo le azioni socialmente buone che costituiscono la virtù in
ambito politico.
Stabilito che la vita buona consiste nell’esercizio della razionalità secondo virtù, non è
chiaro se consista nella vita attiva (politica) o contemplativa (conoscenza).
Aristotele cerca di evitare un’opposizione e considera entrambi i tipi di vita come casi di
“esercizio della razionalità”. Il fondamento teorico per questa operazione gli viene offerto
dalla divisione tra le funzioni dell’anima proposta nel De Anima:
L’anima intellettiva rappresenta la razionalità nella maniera più compiuta
L’anima sensitiva è in qualche modo partecipe alla ragione e individua l’ambito della vita
etico-relazionale ↓
Aristotele conclude che la vita attiva e quella contemplativa comportano un uso della
ragione secondo virtù e dunque ottemperano alle condizioni necessarie per costituire
l’obiettivo della vita buona.
↓
Ciò dà origine alla differenza tra:
1. Virtù etiche: riguardano le attività relazionali
2. Virtù dianoetiche: riguardano le attività conoscitive
Etica Nicomachea: analisi delle virtù etiche
Il principio generale che regola queste virtù è il giusto mezzo. Ogni virtù individua un
ambito di variabilità tra l’eccesso e il difetto
L’ideale di uomo buono che ne risulta è quello di un cittadino che si attiene alla
compostezza tipica dello status sociale e punta a conseguire in modo equilibrato i valori
socialmente riconosciuti. 60 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
L’etica di Aristotele è più descrittiva che prescrittiva ed è consapevole che il bene umano
mediante ragionamenti a priori o un arbitrario rovesciamento dei valori correnti, l’unica
strada percorribile è quella di prendere in considerazione le cose che gli uomini ritengono
buone e valutarle comparativamente.
In quale condizione si trova l’uomo virtuoso, e come tale condizione può essere acquisita?
Per Socrate: la virtù è conoscenza
Aristotele: non nega che il vizio sia dovuto sempre a una certa forma di ignoranza, ma
ritiene che si debba distinguere tra un’ignoranza che scagiona chi compie azioni
oggettivamente cattive e un’ignoranza che non lo scagiona.
↓
Aristotele ritiene che una certa determinazione del bene sia già incorporata nella struttura
stessa della società. È sufficiente prendere come modello gli uomini che sono ritenuti
virtuosi; è chiaro che una nozione del bene così intesa non può essere ignota alle persone
a cui Aristotele si rivolgeva nelle sue etiche, cioè cittadini educati fin dalla nascita a quel
tipo di società e alla luce di quei modelli. Perciò non ha senso parlare di ignoranza del
bene, perché questo varrebbe solo per soggetti estranei a qualunque forma di società e
apparato educativo.
Per diventare virtuosi la conoscenza del bene è necessaria, ma già implicita
nell’educazione.
Quello che occorre fare è passare concretamente all’azione, ossia compiere azioni
virtuose. Per Aristotele l’uomo virtuoso agisce ormai praticamente senza pensare, nel
senso che la virtù è diventata quasi una seconda pelle e non gli consente nemmeno di
prendere in considerazione possibilità diverse.
La volontarietà è necessaria affinché possano venire attribuiti la lode e il biasimo morali.
Aristotele ritiene sufficiente per dire che un’azione è libera, dimostrare che non dipende da
cause estranee al carattere di chi la compie.
Tra le virtù dianoetiche: scienza, arte, saggezza, intelletto, sapienza.
La sapienza è una conoscenza di carattere puramente teoretico, distinta dalla sapienza di
stampo pratico rappresentata dalla saggezza.
L’esercizio della sapienza consiste in quella pura attività di ricerca che è il grado più alto
della virtù razionale dell’uomo.
La saggezza è una forma di intelligenza che si rivolge verso la sfera specificamente
pratica, cioè al mondo delle virtù etiche, delle relazioni tra gli uomini, della politica.
La saggezza: capacità di deliberare bene in relazione alla felicità. Ha a che fare con i
mezzi e non con i fini. Quindi la saggezza è quel tipo di conoscenza che permette di
deliberare bene in vista di un fine stabilito per altra via→ fini indicati dalle virtù etiche. Dal
momento che le virtù etiche sono delle disposizioni, non delle facoltà conoscitive, pare che
in Aristotele stabilire ciò che è bene e ciò che è male non sia compito della ragione. Ma
allora in bene e il male sono determinati irrazionalmente?
La ricerca del fine funziona un po’ come la determinazione dei principi nella scienza
dimostrativa: così come i principi della scienza non si dimostrano, ma si scoprono per
induzione, la stessa cosa si può dire approssimativamente per i fini dell’azione morale.
Aristotele affida la determinazione razionale dei fini al filosofo morale.
La sapienza è superiore alla saggezza: la sapienza rappresenta l’obiettivo più alto che
l’uomo può realizzare e la deliberazione si fa in vista di un obiettivo.
In un altro senso la superiorità è inversa: senza la saggezza, che permette di deliberare
circa il modo in cui la sapienza può essere conseguita, quest’ultima non potrebbe essere
realizzata.
7.2.2. POLITICA 61 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
“L’uomo è per natura un animale politico”: l’elemento decisivo della definizione è il
riferimento alla natura, mediante il quale la riflessione politica di Aristotele viene
agganciata a una delle strutture più generali e pervasive della sua filosofia. Aristotele è
convinto che in ogni ambito di ricerca gli oggetti indagati abbiano un modo naturale di
esistere. L’organizzazione sociale non deriva dalla rinuncia alle prerogative naturali
dell’uomo, ma è l’unico mezzo per realizzarle.
Nella Politica l’analisi dei rapporti propriamente politici inizia dalla comunità più piccola, la
famiglia.
Differenza con Platone: Platone inizia la sua ricerca dall’analisi della giustizia dal punto di
vista teorico, e in base ai risultati propone di smantellare l’istituto familiare concretamente
esistente; Aristotele assume la famiglia dall’esperienza e provvede a mettere in luce le
ragioni naturali per cui essa è conformata in tal modo.
Oìkos: azienda agricola familiare a cui partecipano coniugi, figli, schiavi e animali.
Pater familias: maschio, adulto, libero, gode di tutti i diritti
Donne: hanno un diritto alla libertà pari a quello dell’uomo, ciò che manca loro è l’attitudine
al comando
Schiavi: non hanno la ragione sufficientemente sviluppata per decidere da sé i propri fini.
La famiglia è anche il nucleo dell’attività economica. La fonte naturale di produzione dei
beni è l’agricoltura. In una società i beni non vengono prodotti solo per il consumo diretto,
ma diventano anche merce di scambio, e contestualmente viene introdotto il denaro→
scienza che regoli i meccanismi dello scambio: crematistica. Lo scambio è accettabile
nella misura in cui permette una migliore distribuzione dei beni e inaccettabile qualora
diventi una fonte autonoma per l’accumulo di ricchezza.
Lo Stato nasce quando più famiglie si raggruppano in villaggi e più villaggi in polis.
Doppia tripartizione delle costituzioni:
Politico di PLATONE: prospetta 3 coppie di costituzioni, articolate secondo il numero dei
governanti, formate ciascuna da un membro buono e da un membro cattivo a seconda del
rispetto delle leggi.
- Monarchia (re che rispetta le leggi) – tirannia
- Aristocrazia – Oligarchia
- Democrazia - degenerazione di essa
+ 7° costituzione perfetta
Politica di A.: il criterio fondato sul numero dei governanti resta il medesimo, ma vi sono
due differenze:
1. Il motivo discriminante tra la costituzione buona e quella cattiva non è più il rispetto
per le leggi, ma il fatto che i governanti agiscano a beneficio proprio o della
comunità.
2. Le costituzioni non sono più 7, ma 6, perché per Aristotele la costituzione migliore
(politeia) è la forma buona del governo di molti.
Politeia: tutti i cittadini maschi, liberi e maggiorenni hanno il diritto di governare. Le qualità
necessarie e sufficienti per governare sono: la capacità di comandare e di obbedire. Il
diritto di governare è giustamente più ambito dai cittadini che hanno una posizione morale
e materiale superiore.
La giustizia è di due tipi:
- Restitutiva: è giusto restituire a ciascuno quanto gli è stato tolto
- Distributiva: è giusto che chi vale di più abbia di più rispetto a chi vale di meno
Aristotele, pur prendendo come base per la sua costituzione migliore il criterio distintivo
della democrazia, edifica una costituzione mista di democrazia e aristocrazia.
62 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
8.PLATONE E ARISTOTELE. POETICA E RETORICA
8.1. PLATONE
Repubblica: Socrate parla dell’eterna lotta tra poesia e filosofia, il cui motivo è l’incidenza
educativa. Infatti i greci conseguivano attraverso la lettura dei poeti gran parte del loro
bagaglio culturale.
Il problema consiste nel capire chi abbia il titolo per proclamarsi vero educatore: per
Platone è colui che dispone di un vero sapere. Quindi in primo luogo educatore è il
filosofo, nella misura in cui è sophòs. I poeti pretendevano di essere sophoi ed è per
questo che venivano riconosciuti come maestri. Per Platone invece i poeti sono in quel
gruppo di presunti sapienti, che credono di sapere ma non sanno nulla.
Ione: Platone spiega la teoria dell’ispirazione divina. L’intento di Platone non è tanto quello
di dimostrare che i poeti sono davvero ispirati, ma quello di mostrare che la loro abilità non
deriva da un uso corretto della ragione. Quindi non possono essere detti sapienti e non
possono educare la società.
Repubblica: Platone non vuole riconoscere ai poeti il ruolo di sapienti per la scarsa
moralità delle loro opere. Platone non si accontenta che i poeti rinuncino al ruolo di
educatori, ma impone loro regole precise, in base alle quali saranno autorizzati a rimanere
nella comunità solo quegli autori che scrivevano opere conformi ai principi morali stabiliti.
Ciò è dovuto al fatto che la poesia ricopriva una funzione normativa e che lo stato filosofico
non poteva tollerare una concorrenza di questo genere.
X libro della Repubblica: inaffidabilità della poesia sul piano ontologico: la poesia è una
tecnica imitativa. La poesia imita gli oggetti della realtà sensibile, che imitano le idee.
Fedro e Leggi: Platone torna a rivalutare la cultura poetica. Con il passare degli anni
Platone sottolinea il divario tra la filosofia in senso tecnico (riservata a pochi dialettici) e la
filosofia come tensione universale verso una dimensione migliore di quella mondana.
Platone ammette che la spinta verso il mondo ideale possa derivare non solo dal corretto
esercizio della ragione, ma anche da stimoli di carattere irrazionale.
63 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Retorica: in Gorgia e Fedro: Platone era molto polemico nei confronti della retorica perché
spacciava per tecnica persuasiva una pura abilità verbale priva delle conoscenze senza le
quali una vera persuasione non si può sviluppare. Questo non significa che Platone
sottovalutasse la retorica, infatti egli prospetta una retorica di stampo filosofico fondata
sulla doppia conoscenza della realtà e delle anima da persuadere.
8.2. ARISTOTELE
8.2.1. POETICA
La Poetica è un trattato in cui Aristotele analizza soprattutto la poesia tragica e epica. Ha
riscosso molto successo fino a diventare quasi un testo normativo, in realtà il testo ha solo
sporadicamente un carattere normativo.
Aristotele considera la poesia come imitazione della natura non solo perché essa descrive
il mondo reale, ma soprattutto perché in essa si rende evidente la struttura teleologica
attiva nel mondo naturale. Le forme poetiche si sviluppano verso la massima perfezione
consentita al loro genere. In questo senso, Aristotele considera come esemplare la
tragedia attica del V secolo, in quanto punto più alto di alto lenta evoluzione, e può dare
l’impressione che le forme assunte dalla tragedia siano canoni validi per la poesia in
generale. In realtà l’obiettivo di Aristotele è più limitato.
Se si analizza poi il modo con cui Aristotele valorizza la poesia tragica e epica si scopre
che si concentra soprattutto sul ruolo ausiliario che la poesia può svolgere in rapporto alla
comprensione razionale della realtà. L’aiuto consiste nel fatto che essa presenta le sue
vicende dal punto di vista dell’universale. La poesia appartiene all’ambito dell’universale
per due aspetti:
1. Il carattere: i caratteri sono delle tipologie relativamente universali
2. La sequenza di azioni: gli atti compiuti dai personaggi rappresentano casi generici
di azioni compiute in vista di un fine
La poesia aiuta a migliorare una comprensione della natura umana.
La poesia non è estranea neppure alla morale: teoria della purificazione o catarsi, che i
lettori/spettatori possono conseguire mediante i sentimenti di pietà e paura. La
purificazione deve avere l’effetto terapeutico di eliminare la pietà e la paura o di
trasformarle in qualcosa di diverso da ciò che si prova quando ci si identifica con i
personaggi. Lo spettatore/lettore dovrebbe poter cogliere nella sequenza di azioni narrate
dal testo poetico dove sta l’errore e così essere in grado nella sua vita sia di evitare errori
simili sia di scansare i sentimenti dolorosi che ad essi si accompagnano.
Aristotele ammette che la poesia è utile alla comprensione razionale dell’uomo e al suo
progresso morale, ma nega che debba integrarsi con la filosofia e che debba essere
governata e diretta da questa.
8.2.2. RETORICA
Aristotele si occupò di retorica durante il suo primo soggiorno ateniese e scrisse la
Retorica.
Poiché per Aristotele la dialettica non è la scienza filosofica più elevata, una collaborazione
della retorica con la dialettica non significherebbe che la retorica è utile alla filosofia.
La retorica ha lo scopo di persuadere, Aristotele è convinto che l’uomo disponga di mezzi
conoscitivi sufficienti (come la dialettica) per fare a meno della persuasione.
Aristotele dice che la retorica è un risvolto della dialettica perché si serve di strumenti
analoghi (anche se non identici) a quelli usati dalla dialettica: es. al sillogismo dialetto
corrisponde l’entimema retorico (sillogismo in cui una o più premesse rimangono implicite).
La retorica possiede alcune caratteristiche sue che la qualificano come una techne. Si
distingue in 3 generi: 64 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
1. Deliberativo
2. Giudiziario
3. Epidittico
Tre sono anche i generi dei mezzi di persuasione:
1. L’argomentazione vera e propria
2. Le qualità morali che rendono l’oratore degno di fiducia
3. La diversa disponibilità alle emozioni
Aristotele descrivere la scienza del persuadere in quanto tale senza alcun aggancio con la
verità e il sapere.
9. SVILUPPI DELL’ACCADEMIA E DEL LICEO
Accademia platonica:
Vivo Platone, si era sviluppato un dibattito sui principi, di cui la stessa dottrina aristotelica
costituisce un aspetto.
SPEUSIPPO: genero di Platone, suo successore come capo della scuola. Egli e
Senocrate sostituirono la dottrina delle idee con una dottrina dei principi di carattere
matematico.
SENOCRATE: suo successore. Egli divide la filosofia in: logica, fisica, etica.
In campo etico, ci fu un dissidio tra Speusippo e Eudosso riguardo il piacere: Speusippo
negava che potesse rappresentare un fine accettabile, Eudosso osservò che il piacere è
naturalmente ambito da tutti gli animali.
Scuola peripatetica:
TEOFRASTO: ridimensionamento della dimensione metafisica a profitto di ricerche che si
definirebbero fisico-scientifiche. Nella Metafisica Teofrasto esprime delle perplessità
riguardo la dottrina aristotelica dei motori immobili e preferisce spiegazioni di carattere
naturale. Prosegue le ricerche biologiche dedicandosi alla botanica e raccogliendo le
opinioni dei filosofi naturalisti.
Caratteri: Teofrasto discute una serie di tipi caratteriali.
STRATONE DI LAMPSACO: successore di Teofrasto al Liceo; posizioni materialistiche; si
trasferisce a Alessandria e collabora alla fondazione del Museo.
Per quanto riguarda sia gli sviluppi della scuola platonica che quelli della scuola
aristotelica si nota che l’interesse per la metafisica fu progressivamente lasciato da parte.
65 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
10. LA TRADIZIONE SOCRATICA ALTERNATIVA A PLATONE. LE
COSIDDETTE “SCUOLE SOCRATICHE MINORI”
10.1. CARATTERI GENERALI
La cerchia di Socrate era composta da numerosi amici e discepoli, che vengono
comunemente chiamati “socratici”.
Le fonti antiche hanno elaborato uno schema storiografico che oggi non appare più
verosimile: 3 discepoli di Socrate sarebbero stati iniziatori di 3 scuole:
1. Antistene: scuola cinica → in età ellenistica: stoicismo
2. Aristippo: scuola cirenaica → in età ellenistica: epicureismo
3. Euclide di Megara: scuola megarica o dialettica → in età ellenistica: scetticismo
Nella critica più recente si è osservato che le dottrine di Antistene, Aristippo e Euclide di
Megara devono essere interpretate: in stretta connessione con l’insegnamento di Socrate,
nessuno di loro può essere iniziatore di correnti ellenistiche; non fondarono scuole
paragonabili all’Accademia o al Liceo; non vi fu un rapporto di filiazione diretta tra i pretesi
fondatori dei vari indirizzi e molti dei personaggi che venivano annoverati nella loro scuola.
10.2. ANTISTENE, ARISTIPPO, EUCLIDE
ANTISTENE (445-365): tenta una descrizione della dialettica socratica alternativa agli
sviluppi che hanno condotto Platone a postulare l’esistenza delle idee. Per Antistene
l’indagine socratica non giunge a definire entità invarianti anteriori al linguaggio, ma si
limita a individuare per ciascuna cosa il discorso proprio. La ricerca socratica è efficace
quando si propone di determinare gli attributi appropriati delle cose, è impraticabile e
inutile quando si mette alla ricerca di concetti universali invisibili o di definizioni che non
sono mai conclusive.
L’interesse per questi argomenti era sollecitato da problemi di carattere etico: principini
ascendenza socratica: insegnabilità della virtù; identificazione di virtù e conoscenza;
autarchia: la virtù basta se stessa (era necessario saper prendere le distanze dai bisogni
corporei e dai beni esterni).
ARISTIPPO (ultimi anni V secolo – metà IV secolo): prevalgono i temi etici di carattere
socratico, concezione della filosofia come ricerca della felicità. Nella rappresentazione
tradizionale egli era visto come l’edonista per eccellenza, contrapposto all’antiedonista
Antistene. In realtà entrambi si richiamavano a Socrate, perciò questo va visto in toni più
66 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
sfumati. Aristippo non aveva preclusioni generali contro il piacere, ma questa sua
posizione deve essere vista all’interno di un concetto di autonomia e libertà dal mondo
esterno. In Aristippo l’adesione ai piaceri non impedisce la libertà, ma la promuove, purché
l’uomo rimanga padrone dei suoi bisogni e desideri.
EUCLIDE (seconda metà V-seconda metà del IV): secondo la tradizione ci sarebbe nella
sua filosofia uno sfondo ontologico, ricavato dal pensiero di Parmenide, che si esprime
nell’identificazione del bene socratico con l’unico vero essere.
Euclide giunge ad ammettere che l’opposto del bene non è reale non speculando sulla
natura dell’essere, ma muovendo dalla concezione socratica del bene: esiste per l’uomo
un unico vero bene, che è scienza, virtù, felicità a un tempo. È probabile che per
dimostrare queste tesi Euclide si servisse del metodo dialettico di Socrate: la premessa
che esistano beni diversi dal bene morale si confuta in base alla conclusione che chi
persegue tali beni non trova in effetti né bene né felicità.
10.3 CINICI, CIRENAICI E MEGARICI
DIOGENE CINICO (Sinope 412 – 324): ha rappresentato per molto tempo il tipo classico
del filosofo antico, che gira senza fissa dimora con bastone, bisaccia, mantello, incurante
dei valori e dei beni riconosciuti.
Nella tradizione antica era considerato discepolo di Antistene, ma ciò non è vero, egli ha
contestato l’immagine di Socrate proposta da Platone, ma è certo che il cinismo di
sviluppa solo con Diogene.
1. È il primo a essere chiamato “cane”: la sua vita si ispirava ad atteggiamenti tipici
del cane, come l’indifferenza e la mancanza di pudore. Voleva dimostrare che nelle
cose naturali non c’è nulla di realmente vergognoso, mentre ciò che è realmente
vergognoso lo deve sempre essere, sia in pubblico sia in privato.
2. Autosufficienza
3. Parrhesìa: libertà di parlare come voleva di fronte a tutti
4. La natura mostra agli uomini come devono agire, sia indicando gli animali come
modello di comportamento, sia selezionando quegli esercizi e quelle fatiche che
meritano di essere compiuti.
La virtù è il vivere secondo natura e l’autosufficienza che il saggio si procura in questo
modo. Tutto ciò è collegato a una prospettiva eudemonistica, perché l’autosufficienza e la
libertà sono gli ingredienti di una vita buona e piacevole.
Egli aveva un’alta opinione del compito del filosofo: stabilire chi sia veramente l’uomo, non
mancano spunti critici nel suo pensiero contro la corrente politica e la religione
tradizionale.
FILOSOFIA CIRENAICA: Aristippo non può essere considerato il fondatore. Nasce con un
gruppo di filosofi di Cirene oramai indipendenti dall’insegnamento di Aristippo: Aristippo
Metrodidatta, Anniceride, Teodoro l’ateo, Egesia.
Massimo principio di questa filosofia che si concentra sull’etica: il massimo di tutti i beni è il
piacere. Ciò che conta è quello che è appetibile per natura: chi vuole vivere una vita buona
deve scegliere quelle azioni che gli procurano più piacere che dolore.
Il movimento cirenaico non presenta uno sviluppo concorde e compatto:
EGESIA: forte sfumatura pessimistica: nella vita umana i dolori eccedono nettamente i
piaceri.
ANNICERIDE: nella vita ci sono altri beni oltre al piacere; si può essere felici anche
godendo di piaceri piccoli.
TEODORO L’ATEO: la gioia è saggezza e felicità interiore.
MEGARICI:
EUBULIDE (IV secolo): è famoso per aver ideato una serie di argomenti paradossali. Es.
paradosso del mentitore: “chi dice di mentire, mente o dice la verità?”.
Possiamo ricondurre Eubulide alla tarda sofistica, agli eristi.
67 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
DIODORO CRONO (IV-III secolo):
“Argomento dominatore”: Diodoro nega l’esistenza del possibile: l’unico modo per sapere
se una eventualità è possibile o no consiste nel sapere che in dato tempo questa
eventualità si è verificata. Se ciò non accade mai, si tratta di una eventualità impossibile;
se prima o poi accade, allora è necessaria.
Tutti gli eventi finiscono per dividersi in due sole classi: gli impossibili e i necessari.
STILPONE (Megara IV-III secolo): con lui entriamo nel periodo ellenistico, nella tradizione
Stilpone è considerato esponente della scuola megarica, ma anche un crocevia tra
megarismo, stoicismo, scetticismo, cinismo. Data la scarsità delle testimonianze, è
impossibile districare questo intreccio.
Anche Stilpone può essere considerato un rappresentante della dialettica eristica→
testimonianze:
- Plutarco: accredita a Stilpone l’idea che esistano solo giudizi tautologici
- Diogene Laerzio: i termini universali non significano nulla
Questa corrosività dialettica si sposa ai temi etici dell’imperturbabilità e
dell’autosufficienza.
11. FILOSOFIA ELLENISTICA
11.1. IL PERIODO, I FILOSOFI, LE OPERE
Ellenismo: periodo storico-culturale dalla morte di Alessandro Magno (323) alla battaglia di
Azio (31).
Dopo la morte di A. Magno → frantumazione del regno in tanti regni ellenistici, che si
combattono tra loro in una serie di lotte a cui prendono parte anche le poleis greche.
Questo periodo segna:
1. Espansione della cultura greca in tutto il bacino del Mediterraneo
2. La lingua greca diventa strumento comune per lo scambio di informazioni e la
circolazione delle idee
3. Le città della greca perdono primato politico e culturale, a beneficio delle capitali
dei nuovi regni ellenistici
4. Dal II secolo comincia a farsi largo la potenza Romana che inizialmente lieve, poi
sottomette i regni ellenistici e anche tutte le poleis greche.
PIRRONE (Elide 360 a. C. – fine III secolo): tra i suoi maestri ci sono i megarici; compie un
viaggio al seguito di Alessandro Magno, conosce i gimnosofisti. Non scrisse nulla.
EPICURO (Samo 341 a. C. - 270): uno dei suoi primi maestri è Nausifane, un atomista.
Dopo il servizio militare a Atene, viaggia, poi torna ad Atene dove fonda il Giardino, scuola
diversa da quella di Platone e Aristotele: amici legati da una comunanza di principi e privi
di interesse politico. Trascorre tutta la sua vita nella scuola, intento alla stesura di libri e
preoccupato di confortare e guidare i suoi discepoli, quelli di Atene e quelli di altre
comunità epicuree che si vanno formando in altre parti del mondo greco. Muore di malattia
nel 270.
Scritti che possediamo:
- 3 epistole dottrinali (A Erodoto, A Pitocle, A Meneceo)
- una serie di Massime capitali
La sua opera più importante doveva essere il trattato Sulla natura in 37 libri (non
pervenutoci).
STOICISMO:
La storia dello stoicismo si divide in 3 periodi:
1. Stoà Antica (302-206): Zenone, Cleante, Crisippo
2. Stoà Di mezzo 68 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
3. Stoà Nuova
ZENONE (Cipro 333 a. C. - 261): dopo un periodo attività commerciale, è attratto dalla
filosofia e si trasferisce a Atene; entra in contatto con alcuni esponenti delle scuole
socratiche e può udire anche gli ultimi scolarchi dell’accademia platonica. Nel 302 circa:
forse inizia a insegnare passeggiando nella stoà poikile di Atene (portico dipinto). Scrive
molte opere di argomento logico e etico, ma ci sono solo frammenti e testimonianze.
CLEANTE di Asso (morto nel 232): assume la direzione della scuola alla morte di Zenone,
dopo contrasti con l’altro discepolo di Zenone, ARISTONE di Chio.
Lo Stoicismo ha un momento di crisi:
1. Oggetto di attacchi da parte dell’accademico Arcesilao
2. Cleanta aveva interessi di filosofia della natura e di teologia piuttosto che di teoria
della conoscenza e di dialettica.
Unico scritto intero: Inno a Zeus.
CRISIPPO di Soli (281-206>fine stoà antica): convinto erede della scuola dopo Cleante.
Scrisse moltissime opere, approfondendo in direzione antiaccademica soprattutto la logica
e la dialettica. La sua sterminata produzione è andata perduta; l’impressione generale è
che la dottrina stoica sia stata recepita nella forma che Crisippo le ha conferito.
ARCESILAO di Pitane (315-240): è possibile che si sia formato alla scuola di Aristotele,
prima di passare all’Accademia di Crantone, Polemone e Cratete, a cui successe nella
direzione dell’istituto. Non scrisse nulla.
CARNEADE (Cirene 219 a. C. -130 a. C.): la sua vocazione filosofica lo conduce a Atene,
dove diviene scolarca dell’Accademia per la grande abilità dialettica. Nel 155 compie
un’ambasceria a Roma. Non lascia nulla di scritto.
11.2 LA CONCEZIONE GENERALE DELLA REALTÀ
11. 2. 1. PIRRONE
Uno storico ha affermato che Pirrone è il "1º filosofo ellenistico". Sebbene contemporaneo
di Aristotele, il suo pensiero condivide con la filosofia ellenistica alcuni caratteri
fondamentali:
1. Disinteresse per la politica
2. Concezione della filosofia come mezzo per la tranquillità dell'anima
3. Rifiuto di prospettive metafisiche
Pirrone è il fondatore dello scetticismo antico. Il suo scetticismo deriva probabilmente da
una presa di posizione ontologica sui caratteri generali della realtà: "le cose sono
egualmente senza differenze, senza stabilità, indiscriminate" → impossibilità di discernere
il vero dal falso.
Una volta che l’uomo si sia reso conto di questa totale indifferenza della realtà, ne trarrà
motivo per rimanere imperturbabile davanti agli eventi, e dunque per procurarsi la
tranquillità dell’anima.
11. 2. 2. EPICURO
Epicuro tenta di raggiungere lo stesso obiettivo di Pirrone (tranquillità dell’anima) con
mezzi opposti, cioè prendendo le mosse non dall’ignoranza sul mondo, ma della
conoscenza sicura di questo. 69 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Per Epicuro i due rami principali della filosofia sono: fisica e etica. La fisica è funzionale
all’etica: la conoscenza dei fenomeni e delle loro cause è utile all’uomo per togliere il
timore di aventi soprannaturali e procurargli l’imperturbabilità.
L’Epicureismo può essere considerata la 1ª filosofia antica esplicitamente materialistica.
Epicuro riprende la concezione democritea secondo cui nella realtà non ci sono che il
vuoto e gli atomi, i quali, combinandosi tra loro, danno origine alle varie trasformazioni.
Richiamo a Parmenide: Epicuro si pone lo scopo di rispettare l’assunto eleatico in base al
quale nulla nasce dal nulla né torna al nulla: se i corpi nascono e muoiono, l’unico modo
per escludere l’intervento del nulla è pensare che siano composti di elementi irriducibili,
che non possono essere in alcun modo nullificanti.
Vuoto: l’affermazione di Democrito circa la verità del vuoto era stata contestata da
Aristotele, che aveva identificato il vuoto degli atomisti con il non essere, aggiungendo che
non ve n’è bisogno per spiegare il moto. Epicuro rifiuta quest’ultimo argomento perché se
non ci fosse la possibilità che un po’ di spazio si svuoti, anche per un tempo minimo,
nessuna cosa potrebbe iniziare il movimento che cede il posto a un’altra.
Innovazioni rispetto a Democrito:
- Teoria dei minima: Epicuro ritiene che gli atomi siano fisicamente indivisibili, ma
che siano ulteriormente divisibili, solo con il pensiero, in parti ancora più piccole,
queste sì assolutamente indivisibili.
- Epicuro non ammette che gli atomi abbiamo forme infinite, perché altrimenti una
parte di essi potrebbe essere percepita dai nostri sensi.
- Democrito non ha ritenuto necessario introdurre una causa responsabile del moto
degli atomi, Epicuro invece afferma che essi si muovono spinti dal peso, gli atomi
cadono dall’alto verso il basso. Non esiste nell’universo un punto più basso e uno
più alto perché l’universo è infinito.
Teoria del clinamen: il vuoto non offre alcuna resistenza alla caduta degli atomi, che si
muoveranno a velocità uguale, indipendentemente dal peso, e perciò non dovrebbero
incontrarsi mai. Perciò Epicuro introduce la teoria del clinamen, secondo cui gli atomi
possono deviare spontaneamente dalla verticale, e dunque scontrarsi con gli altri per dare
origine agli aggregati. La dottrina del clinamen introduce un elemento di irrazionalità in una
fisica che si ispira a una rigorosa regolarità meccanica.
Anima e dei: non nega la loro esistenza. L’anima non può non esistere perché si tratta del
principio responsabile delle funzioni vitali. L’esistenza degli dei è garantita dal comune
consenso a riguardo e dalle apparizioni.
La materialità dell’anima è resa necessaria dal fatto che, in caso contrario, non potrebbe
subire né patire alcunché. Essa è un composto di atomi e è mortale, in quanto soggetta a
disgregazione. Epicuro chiarisce come possa un’anima così fatta essere presente in tutte
le parti del corpo per vitalizzarle, dicendo che è composta di atomi particolarmente leggeri
e sottili come fuoco, vento e aria.
Gli dei sono immortali e beati: per Epicuro essi sono una sorta di immagini, cioè di pellicole
atomiche simili a quelle che si staccano dai corpi, senza però che vi sia un corpo
corrispondente. Questa spiegazione adatta la dottrina atomistica a quella che per Epicuro
è l’evidenza: gli dei sono esattamente così come li conosciamo, cioè rappresentazioni
fantasmatiche prive di consistenza. La loro immortalità deriva dal fatto che essi
mantengono sempre la stessa forma attraverso un continuo ricambio di immagini. Gli dei
devono la loro consistenza non al corpo, ma al persistere della forma.
Gli dei non si occupano delle vicende umane. Se lo facessero, ogni sforzo di rendere
imperturbabile la vita dell’uomo sarebbe vano, perché incomberebbe sempre su di lui la
minaccia di un potere su cui non ha alcuna influenza. Per fortuna questo non può
accadere perché un interesse degli dei verso il mondo umano sarebbe sinonimo di
dipendenza o mancanza e comprometterebbe la loro perfetta beatitudine.
Gli dei abitano negli intermundia (spazi esistenti tra un mondo e l’altro). Per Epicuro così
come infinito è il vuoto e infiniti gli atomi, esistono anche mondi infiniti.
70 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
11.2.3. GLI STOICI
lo stoicismo è considerato come la prima filosofia a carattere sistematico, anche perché ha
un carattere compatto per cui le tre parti in cui si divide (stoicismo antico, medio e nuovo)
si richiamano tra loro e si giustificano a vicenda.
La FISICA degli stoici è materialista, perché credevano nella COINCIDENZA TRA
ESSERE E MATERIA:
Zenone, il fondatore dell’indirizzo stoico, prende le mosse dalla concezione dell’essere che
emerge nel Sofista platonico: essere è ciò che ha capacità di agire e di patire. Ma,
secondo gli stoici, tale capacità è tipica solo della materia, dunque essere e materia
coincidono. Tutta la realtà dunque è corporea perché ha tali capacità: non esistono realtà
immateriali.
Gli stoici furono costretti ad ammettere l’esistenza di quattro realtà non materiali:
1) LEKTA’ o significati
2) VUOTO, che esiste solo fuori dal mondo
2) SPAZIO, che dentro al cosmo non è mai vuoto, ma è occupato alternativamente dai
corpi
4) TEMPO
La presenza di questi quattro incorporei crea qualche difficoltà nel sistema, per ovviare a
questo problema gli stoici introdussero un concetto di esistenza (hýparxis) più ampio di
quello di essere (che coincide col corpo).
Quindi: ESISTENZA ≠ ESSERE (=CORPOREITÀ’)
Resta il fatto che, a parte queste eccezioni, la realtà è riducibile a una base corporea:
questo vale anche per cose che normarlmente non sono giudicate corporee, come le virtù
e i vizi (che agiscono sui sensi, quindi devono essere corporei).
Tuttavia va detto che la concezione di materia degli stoici è molto diversa da quella degli
epicurei:
MATERIA
STOICI EPICUREI
La materia è una sola (monismo), La materia è fatta di molti elementi
compatta e duttile, infinitamente separati dal vuoto, privi di movimento e di
modellabile. La materia è intrinsecamente vita propri.
animata.
Nonostante l’unicità fondamentale della materia, gli stoici ammettono la dottrina
tradizionale dei quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Tra questi elementi è
assegnata una preminenza al fuoco, che è il principio attivo responsabile dell’esistenza di
ciascuna cosa.
Crisippo modificò questa concezione identificando il principio attivo con la mescolanza di
fuoco e aria (detta pneuma), contrapposta al principio passivo di terra e acqua. In questo
modo resta un residuo dualistico ereditato dalla filosofia precedente (es. coppia limite-
illimitato dei Pitagorici, o forma-materia di Aristotele), che però non va ad intaccare il
monismo.
Il principio attivo pneuma è anche physis, logos, destino, provvidenza, intelletto e anima
del mondo: è la ragione che governa il cosmo. Se tutto è materia, e la materia si dispiega
secondo uno sviluppo ordinato e ragionevole, ciò significa che la ragione è un aspetto
(appunto il principio attivo) della stessa materia.
71 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Il logos è dunque astratto e concreto allo stesso tempo, ecco perché si può passare
agevolmente dal piano della fisica a quello della logica e dell’etica (si intendeva questo
quando dicevamo che lo stoicismo è una filosofia “compatta”). 7
Ma il logos/pneuma coincide anche con il dio: è un dio immanente alla realtà mondana,
ha il compito di imprimete alla materia il suo ordine provvidenziale agendo dall’interno.
Possiamo, dunque, parlare di una teologia panteistica.
Problema: e gli dei tradizionali?
Risposta: la causa delle differenze presenti nelle cose è nell’intensità della presenza del
logos: il logos solo in alcuni enti è sufficientemente puro da far sbocciare la razionalità; tale
purezza si realizza in primo luogo negli dei, in secondo negli uomini.
Per tale ragione gli stoici possono ammettere l’esistenza degli dei della tradizione senza
rinunciare al panteismo: gli dei tradizionali sono aspetti del medesimo logos.
Abbiamo detto che, oltre che negli dei, il logos puro è presente nell’anima umana. L’anima
umana è per gli stoici corporea e mortale, composta di otto parti:
1. Cinque sensi
2. Facoltà di generare
3. Facoltà di parlare
4. Principio razionale direttivo (o egemonico)
Questa suddivisione non deve indurci a pensare che gli stoici distinguessero tra le funzioni
psichice, al contrario la loro psicologia è monistica: l’unica parte dell’anima responsabile
delle funzioni psichciche è quella razionale (“egemonico”) e comanda ogni cosa, compresi
desisderi, passioni, vizi.
Non esistono parti razionali e parti irrazionali, esiste un uso corretto e uno sbagliato della
ragione.
La vita virtuosa è prodotta dall'uso corretto della ragione e non è sospesa dagli eventi che
essa non può controllare.
Gli stoici ritenevano che il logos non fosse presente fin dalla nascita dell’uomo nella sua
forma compiuta, ma si sviluppa per stadi, secondo la teoria dell’oikèiosis (termine che
significa “inclinazione”, “appropriazione di”) : l’impulso naturale presente fin dalla nascita in
tutti gli animali si differenzia poi e dventa logos solo nell’uomo.
Il fatto che il logos si sviluppi solo nell’uomo presuppone la teoria dei logoi spermatikòi (o
ragioni seminali): le ragioni seminali sono come una sorta di codice genetico iscritto nelle
varie cose che preforma il loro successivo sviluppo e ne prescrive la direzione. Esse
corrispondono alla potenza di Aristotele, con la differenza che la potenza si realizza solo in
presenza di un ente in atto, immobile e distinto dalla materia che genera la potenza; ma
per gli stoici ciò non è possibile perché, oltre alla materia, non esiste nulla.
Il principio attivo è la ragione seminale dell’itero universo: così la realtà è esattamente
come deve essere, e dunque non c’è differenza tra traltà e bontà, tra necessità e
provvidenza. È per questo che Zenone ha creato la teoria della ekpýrosis, cioè della
conflagrazione universale che distrugge il mondo per poi farlo rinascere da capo
esattamente uguale -> l’eterno ritorno dell’uguale mostra che il cosmo non potrebbe
essere migliore di come è.
7 Da Treccani: immanènte agg. [dal lat. tardo immanens -entis, part. pres. di immanere «rimanere
dentro»]. – Che rimane o è insito in qualche cosa: proprietà immanente. In filosofia (in contrapp. a
trascendente), di ogni realtà che non trascende la sfera di un’altra realtà, che non esiste cioè
separata e indipendente da quella, bensì è con essa in rapporto di coessenzialità reciproca: nel
panteismo di Spinoza Dio è considerato causa i. del mondo; giustizia i., che si attua nel corso
stesso della storia; finalità i., insita nelle cose stesse.
72 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
11.3 TEORIA DELLA CONOSCENZA
1.3.1. LA “CANONICA” DI EPICURO
anonica = termine tecnico per designare la scienza che risponde alla domanda circa i
C
criteri di verità.
Per Epicuro l’imperturbabilità si fonda sulla conoscenza => è fondamentale stabilire che
esistono criteri di verità affidabili e certi. Ecco quali sono:
1) . È il criterio più importante: permette all’uomo di avere un contatto reale col
SENSAZIONE
mondo esterno. È sempre vera perché ciascuno è padrone e giudice unico delle proprie
sensazioni. Epicuro non nega che le sensazioni possano essere contraddittorie, ma spiega
qual è il motivo per cui la sensazione è contraddittoria e comunque torna ad affermare che
essa è la fonte primaria della nostra conoscenza della realtà attraverso la TEORIA DEGLI
, in parte anticipata da Democrito.
EFFLUVI
Sensazione è un contatto che non unisce l’organo di senso immediatamente con l’oggetto
ma con una sottile pellicola di atomi che si stacca dall’oggetto per colpire l’organo (non
sono forme visibili ma effluvi) => le sensazioni possono essere variabili e incerte o perché
gli effluvi differiscono tra loro o perché non corrispondono all’oggetto).
Errore è passare dalla sensazione all’opinione -> rimane impregiudicata la conoscenza
effettiva dell’oggetto perché l’uomo può rettificare le singole sensazioni -> per fare questo
ha bisogno di concetti generali da usare come termini di confronto => necessità di un
secondo criterio
2) o anticipazione. Memorizzazione di una percezione più volte sperimentata.
PROLESSI
È il tentativo di dare coerenza a una gnoseologia sensista…infatti sussiste il problema del
pensiero: Epicuro deve mostrare che anche il pensiero deriva dalla sensazione.
Sensazione -> si rafforza nel confronto con la prolessi. Vere sono le sensazioni confermate
dall’evidenza. Un altro valido supporto è la mancanza di attestazione contraria “ricavo
giudizi sulle cose non evidenti a partire da quelle evidenti (es. vuoto si dimostra a partire
da movimento)”- Sesto Empirico
3) πάθος è importante soprattutto per l’etica: serve a distinguere il piacere dal
EMOZIONE
dolore.
11.3.2 LA LOGICA STOICA. LA TEORIA DELLA CONOSCENZA
Per gli stoici tutta la realtà è permeata dal λόγος, quindi la logica è una vera e propria
scienza. Si divide in (che però non ci interessa dal p.d.v filosofico) e .
RETORICA DIALETTICA
Dialettica = tutti i problemi che riguardano la conoscenza. Gli stoici credono nella
possibilità di un sapere certo. La saggezza (disporre di un sapere infallibile e certo in tutti
gli ambiti) è per gli stoici l’obiettivo etico da realizzare. Essendo arduo, si tratta di un’idea
73 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
regolativa. Proibito formulare semplici opinioni. Il criterio è quello della RAPPRESENTAZIONE
8 :
COMPRENSIVA O CATALETTICA
- Contatto materiale tra oggetti ed organi di senso;
- Oggetto lascia un’impressione sull’organo di senso;
- Impressione arriva fino all’egemonico dove suscita una rappresentazione –
φαντασία;
Questa è la parte “passiva” della conoscenza. Nella parte “attiva” l’anima reagisce
concedendo il suo assenso – συνκατάθεσις - se la rappresentazione gli pare
veritiera. Adesso la conoscenza assume forma linguistica.
Cicerone negli Accademici II dice che la conoscenza si sviluppa in 4 tappe:
1. Mano aperta: c’è solo la φαντασία.
2. Mano leggermente chiusa: assenso
3. Pugno: comprensione (solo se la rappresentazione è vera)
4. Altra mano che stringe il pugno: scienza vera e propria
Punto debole è capire su quali basi l’anima concede o no l’assenso.
Per gli stoici si può dare l’ assenso solo a rappresentazioni che nascono da un evento
reale (hypàrcon) o meglio, che non potrebbero esistere se non provenissero da un evento
reale.
Non essendo noi in contatto con l’oggetto, ma con rappresentazioni, nessuno può essere
sicuro al cento per cento che una rappresentazione per lui evidente rispecchi davvero la
realtà. Ma nella stragrande maggioranza dei casi il criterio dell’evidenza è del tutto
sufficiente e applicato nella vita concreta.
11.3.3. GLI STOICI E IL LINGUAGGIO
Grande importanza all’interno della logica stoica per il linguaggio. Furono tra i primi ad
occuparsi di questi problemi. Manuali di grammatica e linguistica.
In ogni espressione linguistica sono implicati tre termini:
1. Significante = parole (corporeo)
2. Significato (incorporeo)
3. Stato di cose esistente fuori di noi a cui significante e significato si riferiscono (corporeo)
Il significante. Il linguaggio non è convenzionale, ma naturale. Stoici ricercano
corrispondenze onomatopeiche…
Il significato può essere difettivo (manca del soggetto, sostantivo o pronome) o completo
(verbo più soggetto). Solo di un significato completo si può dire correttamente se è vero o
falso. Ma non tutte le frasi significative sono asserzioni. Solo di queste però si può dire se
sono vere o false.
8 Da Dizionario di filosofia Treccani (2009): catalettica, rappresentazione Nella gnoseologia
ί ή
stoica, rappresentazione o fantasia c. (gr. φαντασ α καταληπτικ ), cioè comprensiva, è la
rappresentazione sensibile che pone e riconosce come evidente l’oggetto da cui proviene,
garantendo così la sua piena conformità con l’oggetto stesso. Considerata dagli stoici come il
criterio della verità, venne messa in dubbio per la sua incertezza dagli scettici.
74 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
Crisippo: il valore di verità di un significato assertorio dipende dallo stato di cose a cui esso
si riferisce.
Gli universali non hanno un corrispettivo reale, esistono solo i particolari.
Il significato è espresso dalla combinazione degli elementi, non dai singoli elementi.
11.3.4. LA SILLOGISTICA STOICA
Sillogistica diversa da quella di Aristotele perché:
→ ha carattere proposizionale, non terministico
→ è ipotetico-disgiuntiva, non categorica
La sillogistica aristotelica collega dei termini (concetti del predicato e del soggetto +
termine medio). Obiettivo: stabilire se un determinato concetto è o non è incluso in un altro
concetto di maggiore estensione.
Invece gli stoici eliminando gli universali, formano un sillogismo di questo genere:
"Se è giorno c'è luce; ma è giorno; dunque c'è luce" Nessun rapporto di inclusione tra i
concetti di giorno e di luce. Obiettivo: mostrare un certo rapporto logico esistente tra due
proposizioni.
Crisippo individua 5 figure sillogistiche indimostrabili (tre con carattere ipotetico, due
disgiuntivo):
1. Se il 1º è, anche il 2º è; ma il 1º è, dunque il 2º è.
2. Se il 1º è, anche il 2º è; ma il 1º non è, dunque anche il 2º non è.
3. Non sono possibili contemporaneamente il 1º e il 2º; ma il 1º è vero, dunque il 2º è
falso.
4. O il 1º o il 2º; ma non il 1º, dunque il 2º.
5. O il 1º o il 2º; ma non il 2º, dunque il 1º.
Il sillogismo aristotelico è formalmente valido anche se le premesse sono false.
Invece se il sillogismo stoico ha la prima premessa falsa, non si arriva a nessuna
conclusione. Per arrivare alla conclusione c’è bisogno sempre di un confronto diretto con
la realtà.
11.4. LO SCETTICISMO ACCADEMICO
11.4.1. ARCESILAO
Arcesilao Pirrone
Interessato anche al problema gnoseologico. Scetticismo è mezzo per procurarsi
imperturbabilità
Difficoltà che la conoscenza incontra da parte del Difficoltà conoscenza dovuta all’instabilità e alla
soggetto. indifferenza del reale.
Con lui lo scetticismo diventa la posizione ufficiale dell’accademia platonica.
Che rapporto c’è tra scetticismo accademico e lo scetticismo di Pirrone?
Come è possibile che la scuola di Platone, piuttosto ottimistica, sia diventata scettica?
75 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
In realtà Platone mantiene sempre una costante cautela critica nei confronti di un sapere
che, per la natura trascendente e remota del suo soggetto, non può mai venire fissato in
modo pieno e definitivo.
La scepsi* di Arcesilao è soprattutto un’arma polemica contro il dogmatismo degli stoici.
Stoici: è possibile raggiungere un sapere infallibile relativo alla realtà materiale e
diveniente.
La contrapposizione allo stoicismo può essere intesa come una polemica contro il
rimpicciolimento della filosofia nel materialismo e nel dogmatismo, in difesa del modo
socratico-platonico di ragionare.
Probabilmente Arcesilao ha come obiettivo della sua polemica soprattutto Zenone: Non si
può distinguere tra rappresentazioni comprensive o non comprensive! Se lo stoico vuole
attenersi alla regola di non avere opinioni, deve sospendere il giudizio su ogni cosa –
εποκή.
L’uomo può prendere decisioni nella vita pratica e quindi può cercare di raggiungere la
felicità attraverso il criterio dell’ έυλογον –il ragionevole. Il comportamento moralmente
buono infatti è quello che può essere difeso con buone ragioni.
Arcesilao ribadisce l’eudemonismo socratico-platonico in base al quale saggezza, bene
morale e felicità coincidono. L’epochè può essere intesa come il costante rinvio di ogni
giudizio definitivo. Infatti la ricerca è per sua natura infinita. Arcesilao non è privo di fiducia
nella ragione. Non rovescia la filosofia di Platone ma la prosegue.
*Scepsi: controllo critico degli oggetti del sapere. Non arriva a una conclusione certa di
questo controllo.
Scettici <-> Dogmatici
11.4.2. CARNEADE
È il secondo personaggio importante dell’accademia scettica. Pensiero legato a quello di
Crisippo. Polemizza con lui sulla disponibilità o non disponibilità dell’evidenza:
[praticamente è il raffinamento di un contrasto già delineato tra Arcesilao e Zenone]
moltiplica gli esempi di casi in cui non si può distinguere tra rappresentazione comprensiva
e non comp. Non si può decidere con sicurezza se una rappresentazione è prodotta solo
da un evento reale => occorre sempre sospendere il giudizio. Insiste sulla soggettività
delle percezioni sensibili.
T – πιθανόν.
EORIA DEL PROBABILE
Le rappresentazioni possono essere divise secondo due criteri:
1] Rappresentazioni percepibili come vere/ rappresentazioni non percepibili come vere
2] Rappresentazioni probabili/ rappresentazioni non probabili
Per l’uomo è possibile distinguere le rappresentazioni in base al secondo criterio, non al
primo.
Come capire se una rappresentazione è probabile?
Innanzitutto bisogna mettersi nelle condizioni migliori per avere una rappresentazione
76 LA FILOSOFIA ANTICA Profilo critico storico
affidabile. Poi occorre verificare la probabilità della rapp. confrontandola con altre, vedere
se ci sono indizi che spingono in senso contrario. Alla fine si potrà concedere alla rapp.
una ragionevole fiducia, pur nella consapevolezza che non è verità incontrovertibile.
11.5 ETICA E POLITICA
11.5.1.EPICURO: IL PIACERE
Secondo Epicuro tutti dovrebbero filosofare: filosofia= ricerca della felicità. Sembra la
prospettiva socratico-platonica, ma ci sono almeno due importanti differenze:
1) Epicuro considera l’ etica del tutto indipendente dalla politica;
2) il modello di felicità che propone non ha bisogno di fondazioni metafisiche e non
prevede un completamento di carattere escatologico (anzi, sarebbe dannoso!)
La felicità coincide col piacere. È un presupposto ovvio, non merita di essere dimostrato.
Edonismo non volgarmente inteso, ma legato all'αταρασσία – assenza di turbamento.
Mezzo migliore per ottenerlo è una vita altamente morigerata.
Distinzione che si trova in Cicerone, De finibus, tra:
piaceri in movimento, consistono nella soddisfazione attiva di un bisogno e
PIACERI CINETICI piaceri in quiete, stato di quiete che subentra dopo la soddisfazione,
PIACERI CATASTEMATICI
intermedio e neutro tra dolore e piacere cinetico.
In realtà è una distinzione non molto chiara e dalle fonti sembra che per Epicuro il piacere
identico alla felicità fosse quello cinetico…
Ma nel momento in cui afferma che “il piacere è il sommo bene” Epicuro deve ribattere alla
tradizione socratico-platonica che vede nel piacere forti turbamenti perché sempre
mescolato con il dolore e per sua natura insaziabile.
Ecco allora che Epicuro insiste nel definire il piacere come assenza di dolore: vuole
mostrare che il vero piacere non è quello violento e insaziabile ma quello lieve e delicato
che muove i sensi -> è lo stato che subentra alla soddisfazione di un bisogno.
Per provare piacere insomma una certa attività è comunque indispensabile.
Non ogni piacere deve essere scelto, alcuni non garantiscono l’assenza di dolore e di
turbamento. Distinzione tra piaceri:
naturali necessari -> sono sufficienti a produrre la felicità, a disposizione di tutti; Es.
o bisogni naturali, amicizia, filosofia
naturali non necessari -> non sono utili ad aumentare la felicità;
o non naturali e non necessari -> desideri che devono essere rifiutati perché
o compromettono l’indipendenza del saggio e non sono in grado di produrre
atarassia.
11.5.2. EPICURO: “ATARASSIA” E LIBERTÀ
Se felicità è assenza di turbamento, bisogna cercare di allontanare le preoccupazioni.
Per primo il timore della morte. “La morte non è nulla per noi perché quando ci siamo noi
lei non c’è e viceversa”. Morte come fine di felicità e piacere? No! Perché la qualità del
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