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CONSUMATORI CONCORRENTI LAVORATORI FORNITORI DISTRIBUTORI STATO SOCI

RICAVI COSTI PROFITTI

Partiamo dal presupposto che l’imprenditore vuole massimizzare il profitto e per farlo può o aumentare i ricavi o ridurre i costi.

Per fare l’analisi si parte da questi punti:

1) il profitto non genera dividendi che vanno divisi,

2) l’imprenditore non promuove innovazioni sui prodotti, quindi il rapporto prodotto/mercato resta stabile,

3) l’impresa tratta un solo prodotto.

Poste queste basi se l’imprenditore vuole aumentare i ricavi può cercare di influire su 2 variabili: prezzo e quantità di beni. Se aumenta il prezzo si

scontra con i consumatori che quindi potrebbero rivolgersi a un concorrente o semplicemente non acquistare e in questo modo si ottiene una riduzione

dei volumi di vendita. Quindi far leva sul prezzo è limitato dall’elasticità della domanda. Se aumenta la quantità, e la domanda è sempre la stessa, vuol

dire che andiamo a cercare di sottrarre quote alla concorrenza.

Agire sui costi comporta dei problemi: le variabili su cui posso agire sono riduzione del costo unitario o uso meno risorse. Se si abbassa il costo unitario

si dovranno ridurre gli stipendi, i prezzi pagati ai fornitori, i margini ai distributori, gli interessi ai finanziatori. Non si possono cambiare le aliquote perché

sono statali e su di esse non vi è potere di scelta. Se si usano meno risorse vuol dire che si dovrà licenziare, acquistare meno risorse, fare meno

finanziamenti.

I vari gruppi sono in opposizione all’abbassamento del costo unitario e questo sembra non permettere all’imprenditore di ottenere vantaggi economici

durevoli e consistenti.

Si può uscire dal circolo vizioso facendo innovazione. Se si sostengono costi di ricerca e sviluppo e costi organizzativi si potranno trovare nuove

applicazioni delle tecnologie e nuovi modi per gestire l’azienda. A questi costi non corrisponde nessun gruppo sociale specifico, a meno che si

considerino i dipendenti che svolgeranno queste ricerche, che si ha la possibilità di ridurre senza difficoltà, ma riducendoli significherebbe avere una

redditività e produttività minore. Questi costi sono quelli che vengono tagliati più spesso, proprio perché tagliarli non comporta alcun conflitto.

Davanti a costi più alti per le voci di spesa, l’unica via percorribile sembra quella di aumentare il volume di attività e per farlo l’impresa deve trovare

delle occasioni per espandersi nel suo mercato o in altri e quindi deve innovare .

Quanto detto porta a 3 conclusioni:

1) Se non si fa innovazione difficilmente si cambierà l’equilibrio costi-ricavi;

2) Per innovare si sosterranno dei costi di ricerca e sviluppo, che invece normalmente sono i primi a essere tagliati;

3) Il profitto è una quantità minima che risente delle crisi perché le altre grandezze economiche sono rigide e mancano i processi d’innovazione.

Si può concludere che il reddito è il risultato degli accordi di cooperazione e dei conflitti che si generano tra impresa e gruppi sociali e quindi non è

determinabile unicamente dall’imprenditore.

5. LA TEORIA DEL <<SUCCESSO SOCIALE>> ED I RAPPORTI CON L’ETICA D’IMPRESA

Per analizzare questa teoria bisogna definire meglio il concetto di valore economico. Per capire cosa significa creare valore per un imprenditore

bisognerà capire le motivazioni di fondo che lo spingono a investire e a fare impresa. Secondo la piramide dei bisogni di Maslow si soddisfano in ordine

bisogni di sopravvivenza, sicurezza, socialità, affermazione e autorealizzazione. Applicando la piramide all’imprenditore si vede che questi cerca il

successo e questo gli deriva dalla sopravvivenza all’impresa, trovando un equilibrio tra costi e ricavi,con la quale si afferma nella classe sociale e nei

confronti dei concorrenti. La novità è la natura delle motivazioni imprenditoriali, per cui l’aspetto economico diventa solo un mezzo per raggiungere

obiettivi sociali e morali proprio. Le finalità imprenditoriali sarebbero di raggiungere il mix potere, prestigio e profitto (3P) e così attraverso il successo

della sua azienda, anche l’imprenditore otterrebbe un successo sociale. In quest’ottica, potere di mercato e profitto sono dei mezzi per superare la

concorrenza e raggiungere il prestigio, fine ultimo dell’imprenditore. La scalata sociale dell’imprenditore si baserebbe dunque sulla combinazione di

valori etici ed. Per il manager raggiungere le 3P potrebbe essere solo un modo per spostarsi in imprese più grandi e migliori. Migliorare l’azienda non

deriva da un rapporto stretto connessa, ma dall’interesse personale alla mobilità del manager, a cui l’impresa serve come strumento per dimostrare

capacità.

In generale si possono distinguere 3 situazioni tipo nella moderna teoria delle finalità, a cui corrispondo diverse teorie:

1. Imprenditore “visibile” e molto integrato nell’impresa: “teoria del successo sociale”;

2. Imprenditore meno visibile e integrato perché l’impresa non è il centro della sua attività: “teoria della massimizzazione del valore economico

dell’impresa nel lungo periodo”

3. Manager delegato: “teoria della mobilità”, l’impresa ha successo grazie a lui,quindi può muoversi in altre aziende e questo gli consente di affermarsi

socialmente.

Capitolo Quinto

1. PREMESSA

La vita dell’impresa si sviluppa seguendo un complesso di decisioni. Anche il processo decisorio ha carattere sistematico perché le varie scelte si legano

ad un sistema che deve rispondere alle finalità da raggiungere e che deve tenere presenti le interrelazioni tra i vari atti decisionali. E’ chiaro che

all’interno del sistema sussiste un ordine gerarchico che vede le scelte di lungo tempo guidare quelle di breve tempo e inoltre le scelte di organizzazione

disciplinare quelle relative a parti specifiche e sempre più limitate di essa.

2. I PROFILI DELLA GESTIONE AZIENDALE

Gestire un’impresa significa governarla, cioè fare in modo che tutte le parti che servono a farla funzionare interagiscano come devono. Gestire significa

quindi prendere delle decisioni. La gestione è pertanto l’insieme delle decisioni che permettono all’azienda di funzionare e di raggiungere gli obiettivi

dell’imprenditore, le decisioni da prendere sono diverse. All’inizio si devono prendere quelle relative a un periodo di tempo lungo, per cui devo

muovere molte risorse: STRATEGICHE. Poi scelte le risorse, bisogna decidere come usarle: TATTICHE. Infine, fine fare le scelte che mi permettano di

mettere in pratica le altre due: OPERATIVE.

3. LA GESTIONE STRATEGICA E OPERATIVA

Con la strategia si definisce il contesto nel quale opera l’azienda, dato dal sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio-demografico, ma

strategia significa soprattutto scegliere in quale ambiente entrare, per capire dove collocare il prodotto, dove approvvigionarmi ecc. Il termine strategia

si applica sia all’atteggiamento dell’imprenditore che segue una via già applicata, sia a quello dell’imprenditore che sceglie di innovare. Resta sempre

vero che la gestione strategica si occupa di fare scelte sugli obiettivi da seguire e l’impiego delle risorse.

4. LA STRATEGIA E LE POLITICHE DI GESTIONE

Anche se la gestione ottimale dovrebbe essere fatta pensando al lungo periodo, spesso in azienda si guarda al breve periodo e si ripetono gli stessi

comportamenti piuttosto che innovare. In questo modo non si guarda più all’ambiente, con la conseguenza che si rischia di rimanere sempre più tagliati

fuori.

Di fronte ai cambiamenti si possono osservare 3 atteggiamenti o orientamenti strategici:

-ATTESA: ai aspetta che il mondo cambi e poi si adegua la gestione di conseguenza;

-ANTICIPATORIO: si cambia, sforzandosi di prevedere i cambiamenti;

-ATTIVO: ci si innova, cercando di influenzare l’ambiente con la propria gestione.

A questi 3 atteggiamenti corrispondono 3 modelli gestionali, cioè schemi di comportamento:

- ATTESA = RIPETITIVO, passivo, l’adattamento è in funzione di una variazione;

-ANTICIPATORIO = DIFENSIVO, risposta anticipata ai cambiamenti;

-ATTIVO = non si è vittima dell’ambiente, ma si ha una posizione di leadership nei suoi confronti.

L’atteggiamento attivo dipende dalla qualità di chi dirige, dalla posizione dell’azienda nell’ambiente e dalle sue dimensioni. A livello strategico, il modello

attesa probabilmente non ha una strategia di sviluppo e non innova nelle politiche di gestione, mentre gli altri due hanno obiettivi di lunga durata e

piani ben definiti. Strategia è quindi un comportamento dell’imprenditore di tempo lungo per raggiungere gli obiettivi primari della gestione,

considerando come si evolve il rapporto tra impresa e ambiente. In genere comunque la strategia è volta a migliorare sempre di più l’azienda.

Si riconoscono 3 strategie:

1. Complessive, o d’impresa. Gli organi di governo scelgono i campi in cui operare seguendo una certa strategia d’impresa. (di sviluppo o mantenimento

di posizioni già acquisite. Valutare come confrontarsi con la concorrenza che si può trovare nelle aree d’affari scelte;

2. Competitive, o d’area d’affari: obiettivi e politiche da adottare in base alla concorrenza;

3.Funzionali: sono fatte in base alle strategie competitive che si vuole attuare.

Capitolo Sesto

1. IL RAPPORTO TRA STRATEGIA COMPLESSIVA E STRATEGIA COMPETITIVA

Le scelte strategiche aziendali sono sempre guidate dalla preventiva valutazione delle possibilità di successo sul mercato. Nonostante ci sia una certa

gerarchia tra strategie complessive (corporate) e competitive saranno sempre le ultime a influenzare le prime. Anche se l’imprenditore può avere

preferenze di ordine differenti, la scelta ultima sarà in ogni caso legata allo studio delle aree in cui competere e alla valutazione delle risorse possedute o

acquisibili per potere concorrere con successo.

2. I PARADIGMI TEORICI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA

La produzione delle innovazioni non è il risultato delle trasformazioni aziendali, ma è soprattutto l’effetto di ricerca e sfruttamento di nuove innovazioni

da parte delle imprese. Va però detto che l’impresa transazionale (cioè che opera a livello mondiale) ha perso parte del suo potere sui mercati in cui

opera, per effetto dell’allargamento delle aree di mercato e del ruolo degli organismi sovranazionali nella determinazione delle regole competitive. Il

rapporto di interdipendenza è sempre vivo, poiché è raro che un’impresa sia del tutto libera da condizionamenti esterni nella formulazione dei suoi

comportamenti di mercato. A questo proposito vi sono dei paradigmi affermatisi

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Publisher
A.A. 2014-2015
51 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher la-cantante di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e gestione delle imprese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Catanzaro - Magna Grecia o del prof Colurcio Maria.